di Alessia Vitale e Adelia Branchina
Foto: Isabella Consiglio

“Catania circondata dalla lava”: questo è ciò che si sentirebbe tra le strade siciliane se ci trovassimo nel 1669. E’ proprio a partire da questa colata lavica, che ha cambiato significativamente la morfologia della città, che ha inizio la narrazione della mostra “Lo studio dell’Etna – tra strumenti e rappresentazioni”. «Il nostro obiettivo – dice Daniele Musumeci, docente universitario di Modelli Comunicativi della Scienza all’Università di Catania – era quello di mostrare la strumentazione scientifica che tra il 1700 e il 1800 è stata utilizzata per lo studio del nostro vulcano. Per questo scopo abbiamo messo a disposizione dei visitatori strumenti che solitamente sono sparsi per la città ma non hanno questa dignità di essere messi insieme secondo un filo narrativo».

Perché la mostra in un ex monastero

Molti sono i turisti che vengono in Sicilia per ammirare il vulcano attivo più alto d’Europa, che già secoli fa attirava la meraviglia e la curiosità di filosofi, scienziati e letterati. Ed è soprattutto grazie all’Etna che gli studi della vulcanologia, nei secoli, hanno fatto grandi passi avanti, perfezionando metodi e strumenti. Ma perché una mostra scientifica è stata esposta proprio al Monastero dei Benedettini, sede del dipartimento umanistico dell’Università di Catania? Una risposta ce la offre il professore Musumeci: «Lo studio e la strumentazione scientifica del passato appartiene solitamente a livello accademico alla storia della scienza che è un campo di studi che viene perseguito, spesso, più dagli storici e dai filosofi della scienza che dagli scienziati stessi». Bisogna, inoltre, considerare che nel Monastero è presente parte di quella famosa colata lavica del 1669 e che, a fine dell’ottocento questa struttura è stata anche adibita come sede centrale di uno dei primi osservatori geodinamici italiani. Attraverso questa esposizione non è, però, solo possibile ammirare l’evoluzione della strumentazione che ha reso la vulcanologia una disciplina sempre più sperimentale. Con la visione di un documentario di Haroun Tazieff del 1923, uno dei primi ad essere stato realizzato sull’Etna, è possibile, infatti, scoprire anche come 100 anni fa si raccoglievano i prodotti vulcanici. Con questa mostra è dunque possibile conoscere l’evoluzione degli studi vulcanologici, venendo a contatto con i resti di una delle colate laviche più invasive nella storia dell’Etna.

La mostra, a cura di Luigi Ingaliso, Federica Santagati, Germana Barone, Marina Paino, Valeria Roberti e Daniele Musumeci, è stata presentata dalle studentesse tirocinanti Anastasia Battaglia, Alessia Cristaldi e Valentina Fallea, assieme al professore Musumeci. È grazie a questa iniziativa e alla preparazione delle ragazze che conducono i visitatori in questo viaggio indietro nel tempo, che è stato possibile condividere con il resto del mondo un pezzo di storia che ha segnato in maniera inequivocabile la meravigliosa città di Catania. La mostra resterà aperta fino a giorno 30 aprile con i seguenti orari: dalle 14.30 alle 18.00 nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì e dalle ore 9.30 alle 13.00 il martedì, il giovedì e il sabato.


(Hanno collaborato: Anna Maria Altese, Chiara Gulli, Isabella Consiglio e Annalisa De Santis).

Un commento su “Ai Benedettini una mostra sullo studio dell’Etna tra strumenti e rappresentazioni

  1. Ottima iniziativa sia per fare conoscere la nostra città, attraverso il patrimonio storico e culturale ( in questo caso scientifico ), sia per valorizzare i giovani studiosi che rendono fruibile questa interessante realtà etnea.

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