di Don Antonino De Maria
Il viaggio apostolico di papa Francesco sembrava, a causa di dichiarazioni pubblicate dal Sinodo ortodosso presieduto da patriarca Neofit, ancor prima di compiersi, sotto un cielo nuvoloso. In realtà conoscendo molti personaggi e la situazione della Bulgaria non mi sono stupito granché.
Il Patriarca Neofit, succeduto al longevo Massimo, è persona gentile e affettuosa, ma si trova a guidare una chiesa povera e divisa, nella quale anche a livello episcopale si notano le differenti formazioni e indirizzi, che si guardi cioè alla Russia o alla Grecia. Il mio amico diacono Ivan Ivanov che ha fatto da interprete nel dialogo tra il Santo Padre e il Patriarca (ruolo che aveva svolto anche durante la visita di San Giovanni Paolo II) e con il quale ho fondato una associazione in Bulgaria Dialogus et Charitas, mi ha confermato che al di là delle dichiarazioni l’incontro è stato cordiale e fruttuoso per entrambi gli interlocutori. Ma alla fine della visita si è fatta sentire l’ala intransigente del Sinodo, guidata dal Metropolita Nikolai di Plovdiv, seconda città della Bulgaria.
I gesti e i simboli hanno tuttavia espresso la fraternità e il comune riconoscimento in un territorio nel quale la comunità cattolica è solo una piccola minoranza.
Così come spiega in una intervista rilasciata dal diacono Ivan “Il regalo del presidente bulgaro: la croce di Cristo – un simbolo del battesimo della Bulgaria e un segno della scelta di civiltà (fatta dal santo re Boris I).
I regali del primo ministro bulgaro: è il latte bulgaro (lo yogurt) – il simbolo della maternità e della filiazione; l’omophorion vescovile – il simbolo dell’autorità ecclesiastica suprema, usato fin dall’antichità come un gesto di rispetto reciproco e l’apprezzamento da parte dell’imperatore al patriarca (nella tradizione orientale); l’icona dei santi Cirillo e Metodio (i santi universali della Chiesa e co-patroni dell’Europa unita) – un simbolo del legame ecclesiastico, spirituale, culturale e politico tra l’Oriente e l’Occidente.
A nome della Chiesa ortodossa bulgara il gesto simbolico è stato espresso con il dono del quadro dipinto a mano che rappresenta la Cattedrale Patriarcale „Sant’Alexander Nevski“ come un simbolo della Bulgaria, della libertà bulgara e dell’indipendenza della Chiesa ortodossa bulgara. La benedizione che il Sinodo ha dato perché il Santo padre Francesco potesse pregare nella Basilica patriarcale dove i patriarchi bulgari vengono intronizzati e dove essi esercitano il loro ministero liturgico e pastorale; di adorare l’icona di San Cirillo e San Metodio; di sedersi sul trono vescovile [posto sul tappeto del patriarca stesso difronte all’altare dei santi fratelli] – è stato un grande gesto di gratitudine espresso da parte della Chiesa ortodossa bulgara al Papa Francesco come vescovo di Roma e successore della cattedra apostolica di San Pietro. Ecco come il patriarca bulgaro nel suo silenzio partecipava insieme al papa nella cattedrale Patriarcale.”
Il Papa rivolgendosi al Patriarca ha preso spunto dall’episodio di Tommaso (per gli orientali era la domenica dopo Pasqua e come per noi si legge la pericope dell’incontro di Gesù risorto con Tommaso) perché le piaghe della divisione tra i cristiani siano vissute nell’esperienza del Risorto, come occasione per chiedere e donarsi perdono e ricostruire la comunione eucaristica. Molti cristiani hanno testimoniato con il martirio il mistero pasquale anche in Bulgaria: un esempio di ecumenismo del sangue. Questi e molti altri fratelli nella fede ci chiedono di non chiuderci, di non arroccarci nell’esperienza della divisione ma di aprirci alla riconciliazione.
Papa Francesco ha dichiarato di venire a questo in contro con la nostalgia del fratello. Mi pare che oggi in molti, cattolici o ortodossi, stia crescendo, invece, quello che nell’entusiasmo del Concilio sembrava un atteggiamento vinto: la pretesa, cioè, di considerare se stessi unici detentori del vero cristianesimo e gli altri dei nemici da combattere o convertire. Questo avviene in tutte le Chiese: ci si dimentica che questa nostalgia del fratello non è di questi tempi. Sant’Agostino diceva ai Donatisti: finchè diciamo il Padre nostro, finchè ci diciamo figli dello stesso Padre, siamo fratelli e questo mi spinge a cercarvi, a cercare l’unità con voi. Al martirio e alla nostalgia del fratello si aggiunge un altro ecumenismo: quello del povero. Il Papa infatti nel suo discorso al Patriarca e al Santo Sinodo ha ribadito che oltre alla collaborazione culturale, c’è questo altro campo di una possibile azione comune: “Sono fiducioso che, con l’aiuto di Dio e nei tempi che la Provvidenza disporrà, tali contatti potranno incidere positivamente su tanti altri aspetti del nostro dialogo.
Intanto siamo chiamati a camminare e fare insieme per dare testimonianza al Signore, in particolare servendo i fratelli più poveri e dimenticati, nei quali Egli è presente.
L’ecumenismo del povero”. L’altro elemento comune è l’esperienza evangelizzatrice dei fratelli Costantino Cirillo e Metodio che San Giovanni Paolo II ha proclamato Patroni d’Europa. Gli evangelizzatori degli Slavi che hanno permesso il sorgere di una cultura slava scritta erano ben consapevoli dell’importanza dell’unità della Chiesa.
Pur nel fallimento della missione evangelizzatrice della Chiesa romana, essi non hanno immaginato una Chiesa slava unita con Costantinopoli e segnata dalla sua tradizione senza una reale unità con la Chiesa romana. Essi furono accolti dal Papa e la loro attività benedetta, mentre Cirillo moriva a Roma e veniva sepolto sotto San Clemente. Il fratello Metodio tornò in Moravia con la benedizione del Papa. Questa testimonianza, dice il Papa, è un’altra ricchezza comune: “Cirillo e Metodio, bizantini di cultura, ebbero l’audacia di tradurre la Bibbia in una lingua accessibile ai popoli slavi, così che la Parola divina precedesse le parole umane.
Il loro coraggioso apostolato rimane per tutti un modello di evangelizzazione. Un campo che ci interpella nell’annuncio è quello delle giovani generazioni. Quant’è importante, nel rispetto delle rispettive tradizioni e peculiarità, aiutarci e trovare modi per trasmettere la fede secondo linguaggi e forme che permettano ai giovani di sperimentare la gioia di un Dio che li ama e li chiama! Altrimenti saranno tentati di prestare fiducia alle tante sirene ingannevoli della società dei consumi. Comunione e missione, vicinanza e annuncio, i Santi Cirillo e Metodio hanno molto da dirci anche per quanto riguarda l’avvenire della società europea.
Infatti «sono stati in un certo senso i promotori di un’Europa unita e di una pace profonda fra tutti gli abitanti del continente, mostrando le fondamenta di una nuova arte di vivere insieme, nel rispetto delle differenze, che non sono assolutamente un ostacolo all’unità» (S. Giovanni Paolo II, Saluto alla Delegazione ufficiale della Bulgaria, 24 maggio 1999: Insegnamenti XXII,1 [1999], 1080). Anche noi, eredi della fede dei Santi, siamo chiamati ad essere artefici di comunione, strumenti di pace nel nome di Gesù. In Bulgaria, «crocevia spirituale, terra di incontro e di reciproca comprensione» (Id., Discorso durante la Cerimonia di benvenuto, Sofia,23 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 864), hanno trovato accoglienza varie confessioni, da quella armena a quella evangelica, e diverse espressioni religiose, da quella ebraica a quella musulmana.
Incontra accoglienza e rispetto la Chiesa Cattolica, sia nella tradizione latina che in quella bizantino-slava. Sono grato a Vostra Santità e al Santo Sinodo per tale benevolenza. Anche nei nostri rapporti, i Santi Cirillo e Metodio ci ricordano che «una certa diversità di usi e consuetudini non si oppone minimamente all’unità della Chiesa» e che tra Oriente e Occidente «varie formule teologiche non di rado si completano, piuttosto che opporsi» (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, 16-17). «Quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 246).
Al di là dunque dei protocolli e della diplomazia ecclesiastica si spera che un nuovo periodo di collaborazione tra le nostre Chiese continui quell’ecumenismo del povero al quale hanno contribuito tanti catanesi attraverso l’Opera Ss Cirillo e Metodio-Giovanni Paolo II che dalla nostra città e dalla nostra Chiesa, ha mostrato la carità dei cattolici nei confronti di molti bambini orfani della Bulgaria.