Per quanto non sia difficile ipotizzare la presenza di una comunità cristiana a Catania fin dall’inizio della diffusione del cristianesimo, per la posizione che la città ricopriva nel contesto politico ed economico dell’isola, allo stato attuale della ricerca storica essa è possibile documentarla con certezza solo a partire dal III secolo.
La prima testimonianza è collegata al martirio della vergine Agata durante la persecuzione di Decio (250-251); la seconda, al martirio del diacono Euplo nella persecuzione decretata da Diocleziano (303-304); e una terza, ci è fornita da una epigrafe, databile tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, che ci tramanda la notizia di un martyrium con basilichetta paleocristiana tricora, assicurando così che a Catania anche altri erano stati uccisi per la loro fede. Pure per la sede episcopale, come per altre dell’isola, non si hanno notizie certe se non fra gli inizi del IV secolo e le soglie del VI.
La tradizione, tuttavia, consolidatasi in seguito alla conquista bizantina, ha ritenuto come primo vescovo Berillo di Antiochia inviato dall’apostolo Pietro ad evangelizzare Catania nel 42.
Le lettere di papa Gregorio Magno indirizzate al vescovo Leone lasciano emergere il prestigio che Catania certamente doveva avere nell’ambito ecclesiastico dell’isola. Sappiamo, inoltre, che alcuni vescovi di questi primi secoli parteciparono a concili e sinodi, e particolare menzione merita la partecipazione del vescovo Teodoro al VII concilio ecumenico, il Niceno II (787), convocato per restaurare il culto delle immagini.
A questo concilio prese parte pure un diacono della chiesa catanese, Epifanio, in qualità di legato di Tommaso arcivescovo dell’isola di Sardegna, che pronunziò un solenne encomio del concilio.
La dominazione saracena, iniziata in Sicilia con lo sbarco a Mazara nell’827, impostasi a Catania in seguito alla caduta di Taormina nel 902, non impedì del tutto la vita delle comunità cristiane dell’isola benché private delle loro strutture giuridiche.
La ricostituzione delle diocesi siciliane poté compiersi dopo la riconquista dell’isola da parte dei normanni: Catania venne riconquistata nel 1071, e l’incontro avvenuto a Troina nel 1088 fra papa Urbano II e Ruggero il normanno servì anche a sancire i criteri a cui ispirarsi per la definizione delle circoscrizioni ecclesiastiche dell’isola.
Con bolla data in Anagni il 9 marzo 1092, Urbano II ricostituiva la diocesi di Catania e stabiliva che l’abate dell’abbazia benedettina di S. Agata, annessa alla cattedrale, ne fosse al contempo vescovo: il primo fu il bretone Ansgerio (1091-1124), fatto venire da Ruggero dal monastero calabrese di S. Eufemia. Non solo abate e vescovo: Ruggero volle anche che fosse signore feudale della città e dei territori annessi, con il diritto di giudicare e di esercitare il pieno dominio temporale tanto sopra i cristiani quanto sopra i saraceni.
La chiesa cattedrale, aperta al culto nel 1094, esprimeva tale accentramento di poteri nelle mani del vescovo: costruita attigua all’abbazia, rispondeva alla concezione della “ecclesia munita”, e ancora oggi è possibile ammirarne la concezione nelle tre absidi normanne.
Ultima propaggine del potere feudale dei vescovi catanese è stato il titolo di conte di Mascali: Carlo V nel 1540 elevò a contea il feudo di Mascali e la concesse all’allora vescovo Nicola Maria Caracciolo (1537-1568), col privilegio personale del mero e misto impero sul territorio. Di questo titolo si sono fregiati tutti i vescovi di Catania fino a che Pio XII non ha invitato tutti gli ecclesiastici ad abolire i titoli nobiliari.
Alla ricostituzione della diocesi in epoca normanna si connettono due istituzioni ecclesiastiche che sono perdurate per diversi secoli: i monaci-canonici e la così detta parrocchialità universa. Il capitolo della cattedrale fu prerogativa dei monaci benedettini fin dall’arrivo della prima comunità al seguito dell’abate-vescovo Ansgerio.
Non assicurando essi, pero’, l’assistenza religiosa ai fedeli e rilevando il persistere di alcuni abusi ed irregolarità il vescovo Nicola Maria Caracciolo ottenne da papa Pio V, con bolla del 10 febbraio 1568, la secolarizzazione del capitolo della cattedrale: ma la bolla venne eseguita sotto il governo del successore del Caracciolo, il vescovo Antonio Faraone (1568-1572).
Ma il clero diocesano, non potendo accedere al capitolo e agli uffici ad esso connessi, aveva ottenuto da papa Eugenio IV, il 31 marzo 1446, la erezione del capitolo della collegiata nella chiesa di S. Maria dell’Elemosina. Più a lungo è durata, invece, l’altra condizione giuridica della diocesi: il vescovo ha goduto del privilegio di unico parroco della città e della diocesi, con la chiesa cattedrale unica parrocchia, e il clero in cura d’anime equiparato a vicari sacramentali amovibili “ad nutum episcopi”.
Nonostante l’opera di riforma voluta dal vescovo Nicola Maria Caracciolo, che aveva preso parte al Concilio di Trento, e vari tentativi anche in seguito, tale condizione è perdurata fino a quando l’arcivescovo card. Giuseppe Francica Nava (1895-1928) nel 1919 ha eretto le prime parrocchie nei comuni della diocesi e l’arcivescovo Carmelo Patanè (1930-1952) nel 1944 ha iniziato ad erigerle anche nella città.
All’opera di ecclesiastici catanesi si deve la fondazione della locale Università degli Studi: sebbene vi fosse già stato nel 1434 il “placet” di Alfonso d’Aragona, l’inizio di attività del “Siculorum Gymnasium” si ebbe solo in seguito alla bolla di papa Eugenio IV del 1444, ottenuta grazie all’abate di S. Paolo Giovanni De Primis, in seguito vescovo di Catania (1447-1449) e cardinale, e portata in città dal beato Pietro Geremia O.P. (1399-1452), a cui il papa aveva commesso pure la esecuzione della bolla di fondazione del capitolo della collegiata.
Tra gli eventi naturali subiti dalla città e dai comuni della diocesi particolare rilevanza hanno avuto: il terremoto del 4 febbraio 1169 che distrusse la città e fece registrare 15.000 morti su 23.000 abitanti: sotto le macerie rimasero anche il vescovo Giovanni Ajello (1167-1169) e 44 monaci che, insieme con il popolo, prendevano parte ai vespri di S. Agata nella chiesa cattedrale. Seguirono tre grandi eruzioni dell’Etna: 1329, 1381, 1408 che distrussero gran parte dei boschi etnei appartenenti alla mensa vescovile dati in enfiteusi agli abitanti dei paesi pedemontani; in particolare, la colata lavica del 1381 giunse fino a Catania e copri’ lo storico porto di Ognina, detto il “Porto di Ulisse”.
Nel 1669 un’altra eruzione dell’Etna con la sua lava cancello’ otto fiorenti comuni – Nicolosi, Belpasso, Mompileri, Mascalucia, Camporotondo, S. Giovanni Galermo, Misterbianco, in seguito tenacemente ricostruiti dagli abitanti – e una parte della stessa citta’ di Catania, riversandosi nel mare.
A distanza di appena ventiquattro anni, l’11 gennaio 1693, l’apocalittico terremoto che colpì la Sicilia orientale distrusse la citta’ di Catania e i paesi etnei: nella sola città morirono 17.000 persone delle 25.000 che l’abitavano; il grande campanile crollò sul soffitto della cattedrale e di essa rimasero soltanto le tre absidi e le due cappelle della crociera.
Nella ricostruzione immediatamente seguita un ruolo del tutto particolare ebbero il vescovo Andrea Riggio (1693-1717), il clero, i religiosi, le monache e i fedeli che, in svariati modi, non mancarono di collaborare per la riedificazione di abitazioni, chiese, conventi e monasteri: oggi gran parte di essi sede di enti e uffici pubblici. A quest’opera di ricostruzione è in gran parte connessa pure la fisionomia artistica e culturale della città.
E non è certo mancata per il passato, come per il presente, una geniale e copiosa opera di carità che ha dato vita ad istituzioni di beneficenza e di assistenza, e ad alcuni degli stessi ospedali cittadini.
Per lo zelo del vescovo Giovanni Torres de Osorio (1619-1624) e del vescovo Michelangelo Bonadies (1665-1686) sono stati celebrati rispettivamente nel 1622 e nel 1668 i sinodi diocesani, e di essi ne vennero pubblicati gli atti. Si dovette attendere fino al 1918, anche a causa della particolare condizione politico-ecclesiastica dell’isola connessa all’istituto giuridico della legazia apostolica, per la celebrazione del successivo – e ultimo – sinodo diocesano.
Dei vescovi che hanno guidato la Chiesa catanese nel sec. XVIII un ricordo particolare va fatto per Salvatore Ventimiglia (1757-1771): diede impulso alla catechesi e provvide ad elaborare e far diffondere in diocesi un testo catechistico in siciliano, rimasto praticamente in vigore sino alla riforma di Pio X; promosse la dottrina tomista nell’insegnamento filosofico e teologico sia in seminario quanto nella locale Universita’ degli Studi, di cui il vescovo sin dalla fondazione era il Gran Cancelliere; elevo’ il livello culturale nella formazione del clero al punto che il seminario di Catania divenne uno dei centri di studio piu’ significativi dell’isola, fornito anche di una propria tipografia che stampo’ il Nuovo Testamento in lingua greca, classici latini e greci, e dal vescovo era stata predisposta pure la stampa dell’Antico Testamento il lingua ebraica.
L’impostazione data dal Ventimiglia alla formazione culturale dei chierici fu mantenuta da suoi successori e ricevette un peculiare riconoscimento dal re Francesco I nel 1827: i chierici che compivano il corso teologico in seminario potevano ricevere la laurea in Teologia, previo un esame da sostenere davanti ai professori della locale Universita’ degli Studi.
Nella prima meta’ del sec. XIX la diocesi ha visto definire la sua attuale configurazione territoriale : dal vasto territorio che abbracciava, piu’ o meno inalterato dall’epoca normanna, sono stati smembrati diversi comuni passati alle nuove diocesi di Acireale, Caltagirone, Nicosia e Piazza Armerina. In compenso, Pio IX, con bolla del 4 settembre 1859, elevava la Chiesa di Catania a sede arcivescovile immediatamente soggetta alla S. Sede e senza suffraganee, e il vescovo Felice Regano (1839-1861) per primo ha potuto godere del titolo di arcivescovo e del privilegio del pallio: titolo e privilegio di cui avevano goduto alcuni vescovi nel periodo medievale.
In seguito alla riforma voluta da papa Paolo VI (Lett. ap. Inter eximia dell’11 maggio 1978), non essendo l’arcivescovo di Catania metropolita non puo’ piu’ godere del privilegio del pallio. Ê Alla svolta socio-politica verificatasi nell’isola con il 1860 necessitava far seguire quella spirituale e pastorale della Chiesa di Catania. Di tale compito si senti’ investito l’arcivescovo Giuseppe Benedetto Dusmet (1867-1894): benedettino cassinese, abate del monastero catanese S. Nicola l’Arena dal 1858 – a causa della legge di soppressione del 1866 ultimo abate della serie iniziatasi con l’abate-vescovo Ansgerio -, potè essere nominato dopo sei anni di sede vacante per le note vicende della questione romana, e venne pubblicato cardinale nel concistoro dell’11 febbraio 1889 con la seguente motivazione: “dignis episcopo virtutibus, maximeque prudentia et charitate spectatum”Errore.
L’origine riferimento non è stata trovata.; è stato proclamato beato il 25 settembre 1988. Tutt’ora vivo nella memoria del popolo catanese per l’eroicita’ della sua carita’, capace di tenere in costante mobilitazione la comunita’ diocesana in favore dei poveri e dei bisognosi, seppe imprimere un orientamento squisitamente pastorale al clero e grazie alla sua statura spirituale acquisi’ autorevolezza in ambito ecclesiale e civile.
Alla sua fede venne attribuita la liberazione dalla colata lavica del comune di Nicolosi: tutti riconobbero che, sebbene le previsioni fossero ben diverse, la lava si fermò grazie all’intercessione di S. Agata e alla preghiera del “santo cardinale”, come comunemente ancora oggi molti lo appellano.
Dopo la dimensione caritativa della pastorale data da Dusmet, la diocesi conobbe l’impegno piu’ propriamente sociale agli inizi del sec. XX grazie alle direttive date dal successore, il catanese Giuseppe Francica Nava (1895-1928).
Negli anni della sua nunziatura a Bruxelles aveva conosciuto l’esperienza dei cristiani sociali belgi, favorito dalla sua formazione neotomista e impregnato della svolta impressa alla Chiesa da papa Leone XIII, durante il suo episcopato diversi sacerdoti vennero inviati a Lovanio e presso università’ pontificie per acquisire una piu’ solida formazione culturale da mettere a servizio degli alunni del seminario e per sostenere l’impegno sociale di quanti fra il clero condividevano le motivazioni ideali di don Luigi Sturzo. Questo nuovo stile pastorale si accompagnò ad una accresciuta attenzione per la catechesi e per la purificazione delle espressioni di religione popolare.
Questa dimensione caritativa e sociale impressa da Dusmet e da Francica Nava alla vita della comunita’ diocesana e alla formazione del clero è ampiamente emersa soprattutto all’indomani della II guerra mondiale e si è espressa nella fondazione di opere caritativo-assistenziali. Come pure, grazie all’associazionismo di Azione Cattolica, e alla presenza di diverse famiglie religiose operanti nel territorio diocesano, si è sviluppata la formazione spirituale e l’impegno apostolico del laicato.
La vita religiosa del popolo catanese riflette i caratteri propri della religiosità siciliana, molto vicina nelle sue espressioni a quella spagnola in conseguenza di diversi secoli di dominazione e di molti vescovi iberici. In particolare, oltre ai santi patroni cittadini e alla Vergine Maria, invocata sotto diversi titoli, una speciale devozione è riservata a S. Agata: verso di lei il popolo continua a nutrire un rapporto del tutto familiare e, considerandola quale modello dei valori più genuini della sua storia, a lei continua a rivolgersi nelle varie necessità, certo che l’intercessione della sua concittadina non verrà meno, come più volte ha avuto modo di sperimentarla per il passato. Ê La Chiesa di Catania annovera diversi santi e beati. Di essi, oltre quelli già ricordati, meritano una menzione: l’eremita di Adrano S. Nicola Politi (1117-1167), S. Guglielmo eremita (1284-1404), il domenicano beato Bernardo Scammacca (1430-1487), e ora la salesiana beata Maddalena Caterina Morano (1847-1908); e tra i venerabili servi di Dio: la monaca benedettina suor Agata Platamone morta in odore di santita’ nel 1565, il gesuita Bernardo Colnago (1545-1611) e Ignazio Capizzi (1708-1783); mentre è in corso la causa di beatificazione per la giovane Giuseppina Faro (1847-1871), la superiora delle domenicane del S. Cuore madre Giuseppina Balsamo (1887-1969), l’orsolina Lucia Mangano (1896-1946), il francescano Gabriele Maria Allegra (1907-1976) che, nei lunghi anni della sua missione in Cina, tradusse per primo il testo biblico in cinese; e da ricordare sono almeno il frate minore p. Giuseppe Guardo (1791-1874) morto in fama di santita’, mons. Francesco Castro (1824-1893) anima della pastorale giovanile e formatore, fra gli altri, del sacerdote Tullio Allegra (1862-1934) apostolo della spiritualita’ eucaristica e fondatore delle Suore Sacramentine.