
È ancora vivo il commovente ricordo del funerale di Papa Francesco in Piazza San Pietro davanti a duecentocinquantamila fedeli e della sepoltura nella Basilica di Santa Maria Maggiore che ha riportato davanti agli occhi del mondo la testimonianza di fede del Pontefice venuto dalla “fine del mondo”.
Eppure tante sono le voci che, subito, si sono levate sia a favore del suo magistero sia contro. Chi ha evidenziato alcuni aspetti e chi altri. Spesso facendo passare un’immagine deformata del pontificato di Francesco.
Una Chiesa “in uscita” e “lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”
Vorrei provare a proporre, invece, uno schizzo della sua immagine di Chiesa, o meglio i frammenti del sogno di Chiesa, che Papa Francesco ha cercato di realizzare con i suoi documenti, le sue scelte, i suoi gesti feriali. Nel suo discorso al Convegno di Firenze (2015) disse: “Sognate anche voi questa Chiesa”. E come è la Chiesa che Papa Francesco esortava a sognare? È una Chiesa “inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”. In definitiva, una Chiesa “in uscita” e “lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”. Inoltre è una Chiesa caratterizzata dalla “sinodalità”, dove tutto il Popolo di Dio, nelle sue diverse espressioni (vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi/e, fedeli laici) cammina insieme per le strade del mondo e i percorsi della Storia, con la “forza creativa” dello Spirito, che fa superare “la psicologia della sopravvivenza”, che rende “reazionari, paurosi”, chiusi “lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi”, fino a inaridire “il cuore privandolo della capacità di sognare“. Papa Francesco ha voluto una Chiesa che sa stare dentro la Storia, capace di riconoscere l’azione del Signore “nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente”. Ovviamente ciò equivale a una Chiesa che deve affrontare dei rischi, degli imprevisti, ma Francesco, con decisione, afferma “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EvangeliiGaudium, 49). Perciò, in questi giorni, criticando questa visione di Chiesa, qualcuno ha scritto che Papa Francesco ha desacralizzato il pontificato. Invece, scrive Cardini: “Francesco sogna una Chiesa che non consideri più la realtà preoccupandosi innanzitutto della propria sopravvivenza, ma che si lanci, che simetta in gioco e in discussione” (F. Cardini, Un uomo di nome Francesco, p 139).
Francesco e il Vaticano II
Il magistero di Francesco, in sintonia con il Vaticano II, ci offre l’immagine affascinante di una Chiesa profondamente evangelica e, per questo, attrattiva per la sua stessa bellezza. Il Card. Kasper osserva: “La ricezione del Concilio Vaticano II, anche cinquant’anni dopo la sua conclusione, non è ancora giunta alla fine. Papa Francesco ha inaugurato una nuova fase in tale processo di ricezione. Egli sottolinea l’ecclesiologia del popolo di Dio, il popolo di Dio in cammino, il senso della fede del popolo di Dio, la struttura sinodale della Chiesa […]”(W. Kasper, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica,p 65). Il sogno di Chiesa di Francesco deve prendere forma in una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. La categoria del “sogno”, ritorna spesso negli interventi di Papa Francesco. Ad esempio, in Evangelii Gaudium, 27:“Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa […]”. E a proposito della giusta rivendicazione dei diritti umani, soprattutto per i più poveri: “[…] il nostro sogno vola più alto” della semplice concessione del necessario (cf EG 192). In occasione della Via Crucis al Colosseo (2016), Francesco prega: “Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto”. A conclusione degli Esercizi spirituali con la Curia, nel 2016, Francesco sottolineava che era importante non solo leggere, ma anche “sognare il Vangelo”, e spiegava: “Alle volte pensiamo che il sogno sia una fantasia, come dipingere il cielo di blu. Eh no, il sogno è un’altra cosa. Ci vuole coraggio per sognare, il coraggio che hanno avuto i santi”.
Una chiesa povera per i poveri
E ancora, la Chiesa che ha sognato Francesco è una Chiesa povera: “Ah! Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, aveva esclamato subito dopo l’elezione. G. Campanini, come altri attenti osservatori, ha notato che la stessa scelta del nome ‘Francesco’ “del tutto inedita nella storia della Chiesa – indica una precisa scelta di povertà[…],pertanto,il tema della Chiesa dei poveri assume una rinnovata attualità”. Si tratta, in definitiva, di rintracciare le coordinate di una Chiesa fedele all’Evangelo del suo Signore Gesù. E per questo è necessario anche saper sognare: non per alienarsi dalla realtà, ma per riuscire a guardare oltre i limiti e le immancabili debolezze umane, puntando lo sguardo verso un orizzonte abitato dalla speranza, dove è sempre all’opera il Signore che “fa nuove tutte le cose”(vd.Ap.).
E sempre al Convegno di Firenze, Francesco indicò alla Chiesa italiana tre coordinate: Umiltà, disinteresse, beatitudine, spiegando che “questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa”. Infatti, “i sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste”. Lo specchio su cui ci dobbiamo guardare sono “le beatitudini”, potremo sapere così “se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente”. Pertanto, Francesco esortava tutta la Chiesa italiana a puntare “sull’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio”. Infatti, aggiungeva, citando Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, “L’opzione per i poveri è forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa”. Questa opzione“è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà”. E questo argomento della scelta preferenziale dei poveri, un tratto tipico del Vaticano II, è collegato con i beni materiali e le ricchezze della Chiesa. La lezione che ci arriva da S. Ambrogioè : “Aurum Ecclesia habet, non ut servet, sed ut eroget, et subveniat in necessitatibus” (La Chiesa possiede l’oro, non per conservarlo, ma per distribuirlo e per sovvenire alle necessità [dei poveri]”. Di conseguenza, il nostro aggiungeva, in linea con altri grandi Padri, che la Chiesa deve essere sempre pronta a spezzare i vasi sacri per soccorrere i poveri, vasi sacri viventi redenti col sangue di Cristo.
“I rifugiati sono la carne di Cristo”
Su questo comune sentire con i grandi Padri della Chiesa, si può collocare il discorso che Francesco rivolse, nel maggio 2013, ai rifugiati del “Centro Astalli” di Roma. Il Papa pose una domanda: “A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi?”. E la sua risposta, senza tanti giri di parole, spiazzò molti benpensanti, anche ecclesiastici: “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi”. Il Papa ha toccato così un nervo scoperto e ha evidenziato un problema che è sotto gli occhi di tutti, e che spesso ha prestato il fianco a una serie di critiche contro la Chiesa e la sua maniera di gestire i suoi beni immobili, usufruendo pure di determinate esenzioni e privilegi. Francesco ha affermato: “I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo (…)”. E questo perché i “conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo. Il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti”. Certamente, bisogna riconoscere che una nuova sensibilità, su questo tema della povertà ha segnato il cammino della Chiesa, da quando il vento dello Spirito l’ha scossa, con il grande evento del Concilio Vaticano II, anche se ancora resta molta strada da fare. Da allora, è stata avvertita, in maniera sempre più viva, l’urgenza che la Chiesa, che è di tutti, fosse “particolarmente la Chiesa dei poveri” (secondo la nota espressione di Giovanni XXIII, ribadita nei testi conciliari).
Foto Calvarese/SIR
Credo che difficilmente si sia avuto un Papa di Roma imitatore di Cristo, soprattutto nella autentica missione pastorale. Questo articolo ne traccia in maniera sintetica, ma esauriente il magistero, mettendo in rilievo la caratteristica fondamentale cioè la visione di una Chiesa in uscita, pronta a incontrare e aiutare i bisognosi di tutti i generi, soprattutto i poveri.