di Romana Romano

Strapieno il teatro Sipario blu per l’evento proposto dal coro di Comunione e Liberazione per ricordare l’esperienza e il valore del canto nella vita della comunità.

50 anni dalla rifondazione e più di 60 anni dall’inizio del canto comune in quella che fu Gioventù Studentesca a Catania. Il sottotitolo della locandina dice: “La nostra voce canta con un perché” citando un passaggio essenziale di uno dei brani emblematici dei primi anni “Povera voce” di Adriana Mascagni che ancora oggi è significativo per il Movimento di Comunione e Liberazione per ricordare quanto sia bello, importante e costruttivo dare voce comune all’esperienza cristiana. Come è stato esplicitamente ricordato, don Luigi Giussani chiedeva provocatoriamente: “Perché si canta? … perché nasce un coro?” aggiungendo in un’intervista del 1994 (Tracce, aprile 1994) “Il canto è l’espressione più alta del cuore dell’uomo … e l’inizio del canto del movimento è l’inizio del movimento…Si appartiene e sorge il canto… Si appartiene e si canta”.Dirà poi Adriana Mascagni: “Il canto è un modo per parlare con Dio” (Il Sussidiario, 22 dic. 2022).

Parlare con Dio e di Dio assieme agli altri

La caratteristica di quello corale è però parlare con Dio e di Dio assieme agli altri, quelli che l’incontro con Cristo ci svela e ci dona come fratelli. Ed ecco allora i canti allegri e gioiosi sia della tradizione che dell’espressività di alcuni compositori europei, come i padri Duval e Cocagnac, gli spirituals, i canti Scout e tutto quello che poteva aiutare nella vita della comunità, sia nella presenza caritativa nei quartieri della città sia nell’introduzione di un tema culturale in Università.

E in questa esperienza collettiva non si possono che ricordare le persone che ne hanno curato, nel tempo, l’armonia, non solo musicale. Il mitico don Ciccio Ventorino, prima di tutti, che chiamava al coro quelli che avevano potenzialità vocali e a cui non si poteva certo dire di no. Aveva il merito di cercare con pazienza e rigore il meglio nei polifonici da usare per la liturgia insieme al gusto e alla gioia con cui favoriva ogni altra espressione corale ovunque si fosse insieme, in montagna come su un autobus impiegato a coprire lunghe distanze. Era uno spettacolo guardarlo cantare e guardare con quanto divertimento riuscisse a farci cantare facendoci divenire spettacolo a noi stessi.


Poi il direttore è stato don Alfio Conti, compositore e persona di grande umiltà, che ha introdotto nella comunità brani di grande valenza culturale, musicando i Cori della Rocca di T. S. Eliot e preoccupandosi di fare del coro una piccola, ma vivace comunità dentro quella più vasta del Movimento.


Quindi l’attuale maestro, Fabio Nastasi che, nella fedeltà pregevole a favorire la preghiera comunitaria attraverso il servizio liturgico, sta facendo crescere accanto a lui altri capaci di dirigere, ma anche di cercare, valorizzare ed eseguire espressioni corali diverse, più legate alla contemporaneità come si è potuto apprezzare durante il concerto.
E poi i coristi: quasi 50 sul palco, molti di più nell’arco del tempo: voci splendide, voci, alcune, già in cielo. Ognuno con il suo timbro e la sua fedeltà ha contribuito all’insieme e all’armonia.
Durante l’evento di cui parliamo, non è certo mancata l’esperienza del canto comune, veramente assembleare, di tutto il pubblico. Quel canto in cui la partecipazione di ciascuno è più importante della perfezione formale, quel canto che sappia dar voce alla vita della comunità particolare e, in particolare, come accadeva con le canzoni di un altro grande nostro cantautore, Claudio Chieffo, che sapeva trovare l’espressione più adatta a rendere facile, quotidiano e vivo quanto don Giussani avesse predicato poco prima agli esercizi annuali o alle vacanze nazionali. E con una sua creazione: “Il popolo canta la sua liberazione” si è concluso quello che non è stato solo uno spettacolo o un’occasione di ricordo, ma è stato soprattutto espressione di gratitudine e di rilancio nel presente del compito che la comunità cristiana ha nel mondo: parlare di Gesù Cristo e parlarne in modo credibile e vero per noi, per i nostri amici e per questa nostra umanità così provata dalla guerra, dalla solitudine e dalla mancanza di senso.

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