di Gessica Scollo e Gloria Scollo
In Piazza Liguria, al padiglione A5, la fila fuori dalla mostra dedicata a Enzo Piccinini, medico chirurgo e instancabile educatore, si allunga con i visitatori che aspettano pazientemente il loro turno per entrare. In questo spazio di attesa, nel quale il tempo sembra rallentare, concedendo alla mente di vagare libera, gli sguardi si incrociano, si scambiano sorrisi e, quasi senza accorgersene, nascono conversazioni con persone con le quali, fino a pochi istanti prima, non si aveva alcun legame. “Incontro” è forse la parola che meglio racchiude l’essenza del Meeting. È un’arte, quella dell’incontro, che arricchisce come la lettura di un buon libro, lasciando un segno indelebile, suggerendo la bellezza dell’altro, del confronto, del condividere un pezzo di vita e di scoprirsi simili, anche solo per un momento.
In un dialogo improvvisato, abbiamo conosciuto Carlo Bortolozzo, parlando di letteratura ed esperienze personali, a testimonianza di come la letteratura avvicini e unisca. Insegnante di Lettere in un liceo di Verona, critico e saggista, quest’anno è stato ospite con il saggio «Con la stessa voce. Percorsi di letteratura e di interpretazione nella letteratura», edito da Ares, al Book Corner 2024, l’essenziale dei libri del Meeting di Rimini.
Il suo volto non è nuovo al Book Corner: «Negli altri anni ho intervistato altri scrittori, questa volta qualcuno intervisterà me. Esiste un rapporto molto stretto con gli amici del Meeting del Book Corner. Io credo che la letteratura sia inseparabile dall’amicizia: non si tratta solo di una trasmissione di dati eruditi, ma anche di un rapporto sorprendente, imprevedibile, come accade in questo momento, con persone che fino a un’ora fa non conoscevo; quindi, è un potente mezzo di relazione con altre persone».
Come ci spiega l’autore stesso: «Il libro si intitola “Con la stessa voce” non a caso. Io mi sento vicino, quasi fratello, agli scrittori che cito nel mio saggio. Però, inevitabilmente, la lettura porta a un’esperienza personale, e io ho fiducia che quello che sento, quello che scrivo, possa essere trasmesso anche ad altre persone, anche diverse da me. L’idea che “il bello” riguardi tutti non è solo una convinzione che condivido, ma qualcosa di cui ho fatto esperienza nei tanti anni di insegnamento: la cosa più bella è il rapporto con i miei studenti. In un famoso verso, Montale afferma di scrivere per cercare un fraterno cuore e io scrivo con lo stesso animo, cercando qualcuno da ascoltare e qualcuno che mi ascolti. Sono convinto che la letteratura sia questo: un incontro tra persone mediato dalla lingua. Mi sarebbe piaciuto moltissimo incontrare Leopardi, o che fosse qui con noi in questo momento. Non è possibile, ma leggendo le sue poesie è come parlare con lui, ed è questo che intendo quando dico che il bello riguarda tutti».
All’uscita della mostra, emozionati dal racconto intimo che l’amico Pier Paolo Bellini, insieme alla figlia Chiara Piccinini, una delle figlie di Enzo Piccinini, è riuscito ad allestire, continuiamo quella che è nata come una conversazione inattesa. Carlo Bortolozzo si sofferma sulla gratitudine: «Enzo Piccinini parlava molto di gratitudine. Io penso che sia una grande virtù, un grande sentimento, quello della gratitudine. Io ho ricevuto molto dalla letteratura». E aggiunge: «Ho ricevuto molto dai miei maestri e dai miei studenti».
A proposito dei suoi studenti, ai quali il saggio è dedicato Bortolozzo ci confida: «Mi ritengo insegnante, trattino, scrittore e le due cose possono coesistere, devono coesistere. Insegnare è un lavoro che permette di imparare continuamente. Sento che devo come sdebitarmi, che tutto l’amore che ho ricevuto deve essere in qualche modo restituito».
A conclusione della nostra conversazione riflettiamo sullo stato di salute della Letteratura e della lettura in Italia: «Leggere è immedesimarsi, rispettando le differenze. Immedesimarsi non vuol dire eliminare le differenze. Le differenze esistono, ma questo non deve essere un ostacolo. Al contrario, è un mezzo per favorire la conoscenza di sé, l’identità, il mistero che ci costituisce».
Pieno di fiducia sottolinea:
«Come insegnante e anche come semplice persona, penso che occorra crederci. Io tengo molte conferenze e sono convinto che solo credendoci davvero, si possa raggiungere gli altri. Io ho citato in un mio libro precedente una frase di Pamuk, premio Nobel turco, il quale asseriva di avere nei confronti degli altri una fiducia quasi infantile. Vale a dire che in fondo tutte le persone si assomigliano, esiste qualcosa che le unisce nonostante la differenza anagrafica, culturale. Il cuore è lo stesso, quindi io quando entro in classe o faccio una conferenza o scrivo, ho questa fiducia, non nelle mie competenze, ma nel fatto che se uno mette veramente tutto sé stesso può raggiungere un altro».