Le recenti elezioni europee hanno dimostrato che, in Italia, il partito di maggioranza è l’astensionismo, andando, purtroppo, oltre le previsioni dei sondaggi di Demopolis che prevedevano 20 milioni che dichiaravano di non andare a votare e altri 4 milioni di indecisi. Infatti sono stati ben 27 milioni gli italiani che non sono andati a votare. La percentuale dei votanti così è stata al 49,69% (meno di un italiano su due ha votato) e, per quanto riguarda la Sicilia il dato è sceso al 37,77% circa. Un calo significativo rispetto alle passate elezioni europee quando l’affluenza alle urne nel nostro Paese era poco più del 54,5%.

Questi dati ci dicono che l’appello del Messaggio della COMECE come quello della CESi, in vista  del voto europeo, è caduto nel vuoto. Non è stato raccolto, a partire dai giovani che erano stati chiamati in causa esplicitamente e sollecitati a esercitare questo diritto.

I Vescovi della Comece, infatti, avevano scritto: lanciamo un “appello a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai sedicenni che per la prima volta in alcuni Paesi andranno a votare, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione. Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà”. E aggiungevano: “L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea”.

Nessuno dubita che andare a votare equivale a compiere  un “gesto civico di partecipazione alla vita e alla crescita dell’Unione” e che l’astensionismo accresce il pessimismo e la sfiducia verso la politica, e quant’altro si può dire di anti-sociale e, in ogni caso, implica la rinuncia a scegliere lasciando spazio ad altri. E notiamo che, certamente, una percentuale di votanti meno della metà degli aventi diritto al voto, come sopra notato, denota una democrazia in affanno, che rimane nelle mani di sempre un minor numero di cittadini: pericolosa deriva questa, che può aprire la strada al totalitarismo.

Ma sorge spontanea una prima domanda: basta semplicemente recarsi alle urne per votare affinché  ogni cittadino possa dare, come scrivono i vescovi, il “proprio contributo alla vita sociale […] per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea”? E inoltre se, come accade, un partito, ad esempio, rispecchia le mie esigenze di giustizia sociale ma non persegue i valori della vita, della famiglia ecc. Mentre un altro partito, al contrario, si batte per questi valori, ma non per gli altri temi. Come posso votare, senza rimanere frustrato nelle mie attese? E ad ogni modo è chiaro che, come insegna il magistero sociale della Chiesa, nessun partito politico potrà mai rispondere completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana (vd Compendio dottrina sociale, n 573). 

Ed ecco allora la seconda domanda: quali iniziative intraprendere affinché l’appello dei vescovi europei non resti relegato nel mondo iperuranio delle buone esortazioni?

A questo proposito una risposta sembrerebbe arrivare dal Messaggio dei vescovi siciliani, che lanciano una interessante proposta formativa: “Per una scelta consapevole sarebbe opportuno condividere spazi di incontro e dialogo finalizzati alla edificazione del bene comune, soprattutto innestando fiducia e speranza nel cammino verso l’Europa rinnovata”.

Ma, ci sembra giusto osservare che tale proposta, se non vuol rimanere sul piano delle buone intenzioni, esige di essere concretizzata, in un momento tanto critico per la partecipazione alla vita democratica del Paese e ancor più dell’Europa. E, a mio avviso, occorrerebbe percorrere due strade: una che riguarda immediatamente la comunità cristiana che dovrebbe inserire nella sua progettualità pastorale “l’educazione all’impegno sociale e politico nella catechesi ordinaria dei giovani e degli adulti” (CEI, Con il dono della carità dentro la Storia,31). Infatti, nella dimensione sociale e politica i protagonisti sono i laici. Certamente sono lontani i tempi in cui, come narra Ignazio Silone in “Uscita di sicurezza”, nel suo paese i giovani, che chiedevano al parroco come intervenire di fronte a un’ingiustizia compiuta da un signorotto locale,  si erano sentiti rispondere: “A noi non interessano i fatti che succedono fuori dalla chiesa”. Ma se, per caso, ancora qualcuno pensasse così, si dovrebbe confrontare con l’insegnamento di Papa Francesco che, nel documento sulla chiamata alla santità, afferma: è un “errore” considerare l’impegno socio-politico “qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanente, comunista, populista” (Gaudete et exsultate 101). I cristiani (e ogni cittadino), pertanto, dovrebbero essere formati alla democrazia partecipativa, che non si può esaurire nel voto, limitandosi a dare una delega a un candidato, ma va ben oltre. Infatti, i fedeli laici hanno “il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società […]. Come cittadini dello Stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare  alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune” (Benedetto XVI, Deus caritas est,  29).

La seconda strada da percorrere, riguarda una sorta di accompagnamento per coloro che hanno una diretta responsabilità politica, specie se cattolici, che militano in diverse formazioni partitiche: “Ai laici impegnati la Chiesa deve anche il servizio della formazione” (CEI, Le comunità cristiane educano al sociale e al politico, 8). Giovanni Paolo II, al Convegno Ecclesiale di Palermo (novembre 1995), aveva raccomandato un discernimento personale e comunitario, affinché “i fratelli di fede, pur collocati in diverse formazioni politiche, potessero dialogare, aiutandosi reciprocamente a operare in lineare coerenza con i comuni valori professati”. Il Papa, infatti, aveva precisato che la nuova realtà dei cattolici presenti in tutte le formazioni partitiche non doveva essere confusa con una  loro “diaspora” culturale, che li portasse a ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, magari fino al punto di mettere da parte gli insegnamenti e i principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona, sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. (vd (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Ecclesiale di Palermo, 10). Papa Francesco, rivolgendosi ai parlamentari del PPE (11.6.2023),  aveva ribadito lo stesso concetto: pur ammettendo  un certo pluralismo interno, “su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti”. E, pertanto, come leggiamo nel citato documento CEI Le comunità cristiane educano al sociale e al politico (n 9), è necessario il confronto, che le comunità cristiane sono chiamate a favorire “mediante forum, tavoli di confronto e altre iniziative di dialogo a diversi livelli: locale, intermedio, nazionale”, attuando un autentico discernimento comunitario, urgente per evitare che la pluralità di opzioni si risolva nella deriva di una diaspora dispersiva, che rende ininfluenti i cattolici in politica. “È difficile per tutti, in presenza di opzioni culturali diverse, fare scelte coerenti con la fede che si professa”. E tuttavia, “la diversità di appartenenze di partito non deve impedire ai cristiani la possibilità di costruire progettualità comuni, ispirate alla visione cristiana dell’uomo e ai principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa. Dai cristiani si ha diritto di aspettarsi maggiore coerenza sia nei contenuti che nella prassi politica” (vd . Idem). Ovviamente quanto detto vale per la politica europea, nazionale, regionale, comunale.

E allora, mi sentirei di dare un suggerimento ai vescovi siciliani che hanno firmato il citato Messaggio. Innanzitutto occorrerebbe un potenziamento della pastorale sociale (come ha ricordato Papa Francesco la scorsa settimana parlando ai preti romani) affinché la sensibilità per questi temi attraversi tutte le fasce della comunità cristiana. Inoltre, si potrebbero attivare in ogni diocesi, qualcuna delle iniziative sopra elencate (forum, tavoli di confronto) coinvolgendo in prima persona i fedeli laici, impegnati in politica, per una formazione ai valori della dottrina sociale della Chiesa affinché esercitino con maggiore coerenza il loro mandato. Per tutto  ciò, mi sembra necessario il coinvolgimento di associazioni, gruppi, movimenti ecclesiali, in comunione con i vescovi,  per dare nuovo ossigeno al gusto della partecipazione politica. Per questo mi sembra sempre attuale l’affermazione dell’allora card. Ratzinger: “I cristiani credenti dovrebbero contribuire a che l’Europa riacquisti il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità”.

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