“Io vengo dal giornalismo di strada e nasco come cronista, per me la formazione di un giornalista viene dal fare, battete ferro fin da subito e non aspettate di finire il percorso di laurea per iniziare”. Daniela Pozzoli, caporedattrice di “Avvenire” si racconta durante una lezione del corso di Storia e Tecnica del Giornalismo dell’università di Catania. A interrogarla studentesse e studenti di Scienze per la Comunicazione del Disum.
Ci racconti di più sulla sua esperienza e come è diventata caporedattrice.
“Durante la mia carriera ho visto tanti colleghi passarmi avanti, assumendo nel giornale in cui lavoro ruoli più rilevanti mentre io rimanevo redattore ordinario. Poi, con l’arrivo di un nuovo caporedattore anche le donne hanno assunto ruoli di maggiore importanza. Tutto dipende da che persona hai davanti, se premia il lavoro che fai o meno”.
Nella sua carriera ha trovato ostacoli o le è stata sbattuta qualche porta in faccia?
“Mai, neanche una censura. Faccio cronaca dai tempi dell’AIDS, quando si parlava con difficoltà di preservativi: immaginate quanto rumore abbia fatto introdurre un termine come questo in un giornale. Solo una volta mi ritrovai a non firmare un’intervista, perché mi trovavo in disaccordo con la persona intervistata. Ricordatevi che un giornalista ha la possibilità di scrivere un articolo evitando di mettere il suo nome, è un suo diritto”.
Qual è il momento più significativo della sua carriera?
“La scorsa estate sono stata a Lisbona e ho raccontato per 7-8 giorni tante storie di ragazzi che venivano da ogni parte del mondo per la Giornata mondiale della Gioventù. Volevo diffondere il loro messaggio, volevo che tutti sapessero che vogliono genitori in grado di mettersi in contatto con i figli e di essere più umani nei loro confronti, ci tenevo come inviata e come mamma e spero di esserci riuscita”
A volte la necessità di raccontare una notizia prende il sopravvento sul rispetto della persona. Come comportarsi in questi casi?
“Se raccontate una notizia delicata evitate di scendere nei dettagli. A volte troppi dettagli scabrosi non sono cronaca ma un sotterfugio per conquistare ‘like’. La notizia l’abbiamo davanti a noi ed è il nostro punto di riferimento, ma dobbiamo trattarla affinché sia pubblicabile. Se un giornalista commette un errore (per esempio altera la verità di una notizia solo per ottenere uno scoop) allora è giusto sanzionarlo”.
Cosa ne pensa dello stato di salute dell’informazione in Italia?
“Quando la mattina leggo la rassegna stampa noto come l’informazione sia drogata e faziosa, con tanti dilettanti e pochi professionisti. Molte notizie finiscono in rassegna solo perché ci fanno comodo, altre non sono neanche notizie, ma teorie complottistiche e assurdità simili. Questo non fa bene al giornalismo italiano”.
Che consiglio dà ai giovani giornalisti per rapportarsi all’informazione?
“Usate sempre la testa e date un occhio anche ai giornali stranieri quando verificate le notizie. I giornali inglesi, per esempio,hanno dipartimenti dedicati esclusivamente al fact-checking e le loro fonti sono abbastanza affidabili. Non leggete un solo giornale e variate il più possibile, ma quando potete, provate a leggere il cartaceo, ha ancora il suo perché e ha accompagnato me e molti altri colleghi nel cammino professionale”.
Quali sono i pro e i contro dell’essere una giornalista?
“È il mestiere più bello del mondo, ma il mio è un giudizio viziato. Per tutta la vita mi sono mantenuta facendo tutto quello che avrei voluto fare, negli ultimi 30 anni sono sempre andata a lavorare al giornale con tanto piacere. Tra i contro, il distacco con la famiglia: tornavo spesso a casa con i miei figli che già dormivano ed è stato difficile stare lontana da loro, ma gli immensi sacrifici fatti sono stati ripagati”.