Mons. Luigi Renna ha voluto ricordare la figura a lui tanta cara di don Tonino Bello, conosciuto certamente durante gli anni della formazione nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese di Molfetta, quando il servo di Dio era il Pastore di quella Diocesi, in una parrocchia dove è presente il movimento cattolico Pax Christi, del quale don Tonino fu Presidente nazionale. Di seguito il testo dell’omelia dell’Arcivescovo:
Carissimi fratelli e sorelle,
ho voluto, d’accordo col vostro parroco Don Alfio Carciola, celebrare la Santa Messa nel 30º anniversario della nascita al cielo di Don Tonino Bello, perché ho trovato in questa comunità parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo un legame già consolidato con don Tonino, a motivo soprattutto della presenza di Pax Christi. Ciascuno di noi ha dei ricordi personali di mons. Bello: l’emozione dell’incontro con lui, se lo abbiamo conosciuto dal vivo; il coinvolgimento che la sua testimonianza e la sua parola hanno creato anche in chi lo ha conosciuto solo attraverso gli scritti.
Indubbiamente la sua personalità ha lasciato un segno che noi vogliamo tenere vivo nei cuori, così come la Chiesa fa con i testimoni del Vangelo. Ci sono testimoni che il Signore suscita in ogni tempo per la Chiesa e per il mondo, che rivelano come ciascuna delle beatitudini, la “Magna Charta” del cristianesimo, non sia una utopia irrealizzabile, ma una via percorribile perché già percorsa dai santi.
Il brano della prima lettura che è stato proclamato, tratto dagli Atti degli Apostoli (cf. At 5,17-25), ci presenta un episodio che ci aiuta a comprendere la profezia di chi non ha timore di annunciare il Vangelo. Un angelo viene mandato dal Signore a liberare gli apostoli che erano stati imprigionati e chiusi scrupolosamente nelle carceri del sommo sacerdote; essi vengono liberati non per mettersi in salvo e per fuggire, per avere “salva la pelle”, ma per annunciare il Risorto. Gli apostoli liberati infatti ritornano nel tempio per insegnare, con uno stile così disarmante e pacifico, che li porterà ad essere arrestati di nuovo.
Nella pericope che leggeremo domani ascolteremo la risposta che darà Pietro: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29). Questo episodio degli atti mette in rilievo due aspetti della testimonianza di vita di Don Tonino Bello. Il primo è quello del coraggio dell’annuncio. È un coraggio che dobbiamo chiedere, perché il Signore mandi il suo messaggero ad aprire la prigione in cui come gli apostoli possiamo essere chiusi. A volte quel carcere è un impedimento alla libertà dell’annuncio; altre volte diventa una prigione comoda, nella quale vorremmo rimanere per non avere fastidi.
Don Tonino è stato liberato tante volte dalla “prigione” di chi voleva che le sue parole fossero così caute da non avere più il sapore del Vangelo. Egli preparava le sue omelie davanti al Tabernacolo, ed ha lasciato che il Vangelo vibrasse e con esso l’insegnamento profetico della Chiesa. Il 13 gennaio del ’91, ad esempio, usciva una “Lettera ai parlamentari” che erano in procinto di prendere decisioni in merito all’intervento nel conflitto del Golfo Persico. Qualche giorno dopo scrive sul giornale diocesano citando Giovanni XXIII – non possiamo non ricordarlo nel ’60 della “Pacem in terris”: “Sconcerta questa incredibile follia che, data la sua lunga incubazione, non possiamo neppure più attenuare come “raptus” improvviso. No, non è un “raptus” momentaneo, è pazzia bella e buona.
A qualificare la guerra in questi termini, è un altro grande pontefice, Giovanni XXIII. In un passaggio della “Pacem in terris” del 1963 affermava che ritenere la guerra strumento adatto a ricomporre i diritti violati “alienum est a ratione”; è alienante, cioè, roba da manicomio.” Miei cari fratelli e sorelle, da allora la profezia della Chiesa è stata più incisiva, e le parole del Vangelo, nella bocca del Papa, dei Vescovi, dei cristiani, risuona con lo stesso linguaggio. Lasciamo queste parole risuonino ancora, anche se sono inascoltate: la via seguita nel preoccuparsi di armare più che di dialogare, non sta portando a nulla.
Non ci sono alternative nel pensiero della Chiesa sulla pace rispetto all’invito al dialogo e al disarmo. Infine l’obbedienza. Don Tonino amava molto andare alla radice delle parole e diceva che obbedienza, quella di cui parla San Pietro davanti al Sinedrio, ha la sua etimologia in “ob-audire”: ascoltar stando di fronte. E spiega: “Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch’io mi sono progressivamente liberato del falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, ed ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari.
(…) C’è una frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: “obbedire in piedi”. Sembra una frase sospetta, invece è la scoperta dell’autentica natura dell’obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l’altro che risponda”. Eco don Tonino è stato uno che ha risposto con il suo annuncio e la sua vita, ad Uno che gli ha parlato, il Signore. E ci ha insegnato ad obbedire dopo aver ascoltato, ad ascoltare… La sua profezia sia di esempio per noi: la Parola non rimanga imprigionata; la nostra obbedienza e la richiesta di consenso, nascano sempre dall’ascolto e non mettano mai nessuno in ginocchio.
+ Luigi