Sui volti dei tanti che, nella fredda mattina di martedì 7 febbraio, hanno partecipato alla cerimonia di intitolazione del Largo Francesco Ventorino, a Catania, si leggono i segni di un’opera educativa ancora viva. Quella di mons. Ventorino, il prete catanese che per molti è stato semplicemente “don Ciccio”, è infatti un’eredità feconda, tuttora capace di coinvolgere e appassionare. Tantissimi, infatti, i partecipanti intervenuti alla cerimonia: dai bambini della scuola Ventorino alle numerose persone, giovani e anziani, in vario modo segnati dall’incontro col sacerdote.
Una profonda gratitudine dominava le parole di Massimo Palumbo, presidente della Fondazione Sant’Agata, nell’introdurre l’evento: «Per la vita di tanti di noi don Ciccio è stato una persona fondamentale e determinante, per la pienezza di vita che ci ha testimoniato e in cui ci ha coinvolti, e non saremo mai sufficientemente grati per la sua paternità, la sua amicizia e la sua testimonianza». Gli ha fatto eco il prof. Alfio Pennisi, responsabile catanese della Fraternità di CL, che ha letto il lungo elenco di autorevoli personalità che hanno volentieri sottoscritto l’istanza per la intitolazione di uno spazio della città di Catania a don Ventorino.
È stata proprio l’operosità generata dalla passione educativa di don Ciccio al centro dell’intervento di S.E. Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania che, a un anno dal suo insediamento nella città etnea, ha ricordato tante attività che oggi operano per il bene di Catania: «penso, in particolare, all’Istituto Ventorino e alla Scuola Mammola, al lavoro dei volontari in carcere, al Banco Alimentare e alle iniziative della Fraternità di CL e della Fondazione Ventorino. Queste sono le opere che permettono di comprendere appieno il ruolo e la figura di don Ciccio». Con la speranza che questa testimonianza possa raggiungere le più giovani generazioni, Renna ha concluso così: «Don Ciccio vive in coloro che egli ha formato».
S.E. Mons. Salvatore Gristina, Arcivescovo Emerito di Catania, ha poi sottolineato la grande gioia di don Ciccio nello svolgimento della sua attività di cappellano della Casa Circondariale di Piazza Lanza, attività che ha svolto negli ultimi anni di vita: «fino all’ultimo nostro incontro non finiva di ringraziarmi per questa missione».
Un’opera educativa instancabile, come ha documentato l’intervento di S.E. Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo Emerito di Monreale, e capace di coinvolgere presbiteri e laici insieme: «grazie a lui il mio sacerdozio ha avuto una spinta nuova, una pienezza di vita… il centuplo».
A lanciare una grande sfida, prima del tradizionale Inno a Sant’Agata intonato dal coro degli studenti dell’Istituto, sono state le parole di S.E. Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana: «Non stiamo consegnando alla storia un fatto bello ma passato. Ciò che don Ciccio ci ha testimoniato è vivo, è qui. Questa nostra gratitudine e memoria deve costituirsi in una catena, perché ciò che abbiamo imparato dal suo sguardo diventi motivo di costruzione della Chiesa e della storia. La frase di san Paolo che don Ciccio scelse è “Per me vivere è Cristo”. Noi ringraziamo Cristo perché in don Ciccio si è fatto conoscere in modo convincente alla nostra vita». Così mons. Baturi ha indicato ai presenti la strada ancora da compiere: «siamo tutti chiamati a trasmettere a chi incontriamo la stessa passione per Cristo e per la Chiesa che hanno animato la vita di don Ciccio. In questa catena adesso ci siamo noi, perché ciò che abbiamo imparato dal suo sguardo diventi motivo di costruzione della chiesa, della storia».