di Don Piero Sapienza
Il Seminario di Catania compie 450 anni dalla sua fondazione canonica, avvenuta il 18 aprile 1572, essendo vescovo di Catania Antonio Faraone. E’ bene però tenere presente che di fatto il nostro Seminario aveva cominciato a muovere i primi passi sin dal 1569, quindi ad appena sei anni di distanza da quando il Concilio di Trento, nella sua XXIII sessione del 15 luglio 1563, aveva stabilito l’istituzione dei Seminari per un’adeguata formazione dei sacerdoti. Si può così evidenziare la sensibilità pastorale di Mons. Faraone nel recepire il Concilio tridentino e, in particolare, per quanto riguarda la preparazione al ministero dei futuri ministri sacri.
Le cronache del tempo, custodite nell’Archivio storico del nostro Seminario, narrano che il primo gruppo di seminaristi era costituito da circa una dozzina di ragazzi (dai 12 anni in su, come prescriveva il Concilio), che alloggiavano nei locali della canonica della Cattedrale, vivendo “modestamente in bono esemplo”, attendendo allo studio della grammatica, del canto e alle loro pratiche religiose. Nel 1580, viene inviato alla Diocesi di Catania il visitatore regio Don Pietro Manriquez, il quale, nella sua relazione sul Seminario, osserva che i locali in cui vivevano i seminaristi erano troppo angusti e disagevoli e, pertanto, sollecita il vescovo Vincenzo Cutelli a provvedere alla costruzione di un edificio più adatto. Dopo otto anni di attività, quindi, la condizione logistica del seminario di Catania era piuttosto precaria.
Tuttavia, le raccomandazioni del visitatore regio caddero nel vuoto. E infatti, ancora nel 1604, perciò dopo quasi 25 anni, un altro visitatore regio Don Filippo Giordi rinnova le stesse raccomandazioni al vescovo Giovanni Domenico Rebiba. Ma bisognerà attendere il 1610, allorchè il Patriarca Fr. Bonaventura Secusio, da qualche anno vescovo di Catania “risolveva di fabbricare la casa del Seminario nella Chiesa di San Martino per essere vicina alla Cattedrale e nel piano di essa”. Nel 1615, i seminaristi lasciavano la canonica della Cattedrale e si trasferivano nella nuova sede del seminario, che fino al 1688 subì varie modifiche, tra le quali la costruzione di una nuova Cappella nel 1668. Nel tragico terremoto del 9 gennaio 1693, che rase al suolo Catania, anche il seminario venne totalmente distrutto, pagando il suo contributo di vittime. Infatti, un cronista del tempo (Privitera) racconta: “nel comune eccidio si rovinò il celebre Seminario seppellendovi sotto le pietre molti alunni convittori. Erano tutti 28, ne morirono 21, ne restarono 7”. Con decreto dell’ottobre 1696, il vescovo Andrea Riggio Saladino riapriva ufficialmente il Seminario.
E poiché il sito dove esso prima sorgeva, era stato destinato dal Senato della città ad altro uso, i seminaristi, per riprendere la loro vita comunitaria, furono sistemati alla meglio sulla cortina della Porta dei Canali. Ma, ancora una volta, questi locali della cortina delle mura spagnole si rivelarono non adatti a rispondere alle diverse esigenze richieste dalla formazione dei giovani seminaristi. Pertanto, la Deputazione del Seminario faceva presente al vescovo Riggio che “non avevan sito li figlioli”. E il vescovo, da parte sua, riconoscendo legittime queste osservazioni, cedette un’ala del distrutto palazzo arcivescovile per la costruzione del nuovo Seminario. Così “nel giorno glorioso di S. Orsola Vergine e Martire a dì 21 Ottobre 1706 ad hore 20 e 50 minuti si è buttata la prima pietra al cantone che fa la strada Uzeda ad honore e gloria di Dio, S. Agata Vergine e Martire catanese ed il glorioso S. Carlo Borromeo”. Si tratta dell’edificio che sorge in Piazza Duomo, chiamato ancora oggi “Palazzo dei Chierici”, opera dell’architetto Alonzo Di Benedetto. A questo punto, mi sembra opportuno focalizzare l’attenzione sulla seconda metà del secolo XVIII, perché in questo periodo il Seminario di Catania conobbe momenti di grande splendore spirituale, morale e culturale.
Si tratta del tempo dell’episcopato (1757-1772) di Mons. Salvatore Ventimiglia, palermitano dei principi di Belmonte. Mons. Ventimiglia inizia il suo ministero episcopale a Catania all’età di 37 anni circa, e trova una situazione ecclesiale, a dir poco, disastrosa, soprattutto tra il clero. Le cause di questi mali risalivano agli anni dell’esilio di Mons. Riggio (1713) e al fatto che i suoi successori (A. De Cienfuegas e A. De Burgos non avevano mai messo piede a Catania e R. Rubi morì alcuni mesi dopo l’inizio del suo episcopato). Il vescovo P. Galletti, che dal 1729 guidò la diocesi per 28 anni, non dimostrò di essere un pastore premuroso né un punto di riferimento per il clero sbandato della diocesi. Il numero di preti, che Ventimiglia trovò al suo arrivo a Catania, era 1.688 per una diocesi di 123.322 abitanti. I sacerdoti non osservavano le norme canoniche, tra loro dominava un generale e diffuso rilassamento morale e, infine, non possedevano un’adeguata preparazione culturale e teologica. Tutto ciò, ovviamente, implicava delle ripercussioni negative sull’andamento pastorale e sulla vita di fede del popolo di Dio.
Ventimiglia sa molto bene che per curare i mali della chiesa catanese deve, innanzitutto, por mano a una profonda riforma spirituale, morale e culturale del Seminario. Egli, infatti, afferma: questa sarà tra “le prime sollecitudini del nostro pastoral governo”, notando che “ne’ primi più felici secoli della Chiesa”, i vescovi attribuivano fondamentale importanza “all’educazione” dei futuri sacerdoti. E a tal proposito emana tre editti in cui espone le linee principali e le direttive per raggiungere questo scopo: 1 ottobre 1758, 2 settembre 1759 e, infine, 29 agosto 1770. Tra l’altro, il vescovo stabilisce che per essere ammessi nel seminario diocesano bisogna avere 14 anni e il percorso formativo durerà dieci anni. Il pastore vuole seguire da vicino (“sotto l’occhi nostri”, come egli scrive) i seminaristi per discernere la loro vocazione insieme ai superiori.
E volendo essere concreto, Mons. Ventimiglia per venire incontro a coloro che avevano difficoltà economiche non solo istituì delle borse di studio, ma anche “con il suo denaro […] mantenne in seminario coloro che ricchi d’ingegno poveri erano di fortuna” (così scrive il Ferrara). Inoltre, contribuì con i suoi soldi, all’ampliamento dei locali del seminario, portando a compimento l’opera dell’architetto Di Benedetto. Ma la lungimiranza del vescovo si manifestò nella riforma integrale della formazione sacerdotale, che puntava a un modello di prete impegnato ad “edificare il Mistico Corpo di Gesù Cristo” (come si legge nell’editto del 1758), che si distingueva per la “santità” della vita e, allo stesso tempo, per la sua solida preparazione intellettuale, capace di rispondere alle istanze che provenivano dalla cultura illuministica e di dialogare con gli uomini del proprio tempo. Per attuare il suo progetto educativo, il vescovo nomina un nuovo rettore del seminario e un nuovo direttore spirituale, due preti che si distinguevano per il loro profilo spirituale e la loro preparazione culturale.
Allo stesso tempo, rinnova e amplia il corpo docente, chiamando anche da fuori (es. da Palermo, da Siena) professori molto validi. Il corso degli studi prevedeva: due anni di grammatica, due di lettere umane, due di filosofia, quattro di teologia. Inoltre, lungo il corso degli anni, Ventimiglia inserisce corsi di scienze esatte e naturali, dotando il seminario degli opportuni strumenti scientifici (“machine di fisica”).
Il Ferrara nota che, in tal modo, “da quell’angolo remoto di Europa colla evidenza dello sperimento si fu a parte del metodo con il quale il secolo cominciò a studiare le leggi dei corpi”. Ma è interessante notare l’impostazione che il vescovo volle dare agli studi teologici. Egli, rifacendosi all’antica prassi della Chiesa, mette alla base la Sacra Scrittura e le opere dei Padri della Chiesa. Innovazione importante per quel tempo e che anticipa ciò che due secoli dopo proporrà il Concilio Vaticano II. Il progetto pedagogico di Mons. Ventimiglia, infine, si attuava anche fornendo concretamente, come egli scrive, “tutti i mezzi più opportuni all’educazione e al profitto de’ Chierici così nella pietà come nelle lettere”. Infatti, egli volle che il seminario avesse una tipografia propria per stampare i testi su cui i seminaristi avrebbero dovuto studiare. E così il sacerdote catanese, prof. Sebastiano Zappalà-Grasso, pubblicò nell’anno 1770, con i tipi del seminario una celebre grammatica latina e italiana, in due volumi: “Cento lezioni che contengono le regole grammaticali delle due lingue Latina ed Italiana” (conservata ancora oggi nella biblioteca del seminario di Catania). La tipografia possedeva anche i caratteri greci ed ebraici, cosicché lo studio dei Padri e della Bibbia poteva essere fatto sui testi originali.
Non mancarono certamente le resistenze da parte di alcune frange di scontenti e le difficoltà per attuare questa ambiziosa riforma, come si evince anche dall’ultimo editto. Ma, in ogni caso, l’azione educativa per la formazione dei futuri presbiteri, portò i suoi frutti per lungo tempo, e il seminario di Catania si rese famoso per l’alta qualità delle scienze ecclesiastiche, nonché per gli studi classici e di letteratura italiana. Infatti, Mons. Deodato Moncada, vescovo di Catania dal 1773 al 1813, successore di Ventimiglia, all’inizio del suo ministero in diocesi, poteva esprimere la sua soddisfazione, scrivendo, nell’editto del 30 settembre 1773, di aver trovato il seminario “in ottimo stato” sia per quanto riguarda la formazione dei seminaristi nella pietà e nelle lettere, sia per quanto riguarda lo stato dell’edificio e la situazione economica. Moncada prosegue il corso riformatore avviato dal suo predecessore e la sua attenzione per la formazione dei seminaristi si evidenzia, fra l’altro, facendo redigere le nuove Regole del Seminario.
Regole che vengono stampate e pubblicate nel 1788 e, da notare, sono le uniche che ci sono pervenute, dato che quelle emanate dai vescovi Giovanni De Torres nel 1621 e Michele Angelo Bonadies 1684 sono andate perdute. I successori di Moncada, lungo il XIX secolo, continuarono a dare nuovi impulsi per rinvigorire la formazione dei futuri preti. Nel corso degli avvenimenti politici del 1848, le truppe regie borboniche occuparono il primo piano del seminario, che poi fu ceduto in enfiteusi al Comune.
Nel gennaio 1865, il Demanio si impossessò di tutto l’edificio e il seminario fu chiuso. Per quasi tre anni, i seminaristi vissero nelle loro famiglie, e quelli catanesi si ritrovavano insieme ogni giorno nella Chiesa di Santa Maria della Lettera per le pratiche di pietà comuni. Il Card. G. B. Dusmet, il 24 novembre 1867, ottenne l’autorizzazione per riaprire il seminario, utilizzando e riadattando quelli che prima erano stati i magazzini dello stesso (dove adesso c’è il Museo diocesano) e nominò rettore il Can. Caff, che si distinse per la sua opera educativa e per la sua generosità. Infatti, egli fece costruire a sue spese il Seminario di villeggiatura a S. Giovanni La Punta. Il Card. Giuseppe Francica Nava, vescovo di Catania dal 1895 al 1928, puntò a formare un clero colto, e per questo inviò i migliori seminaristi a completare i loro studi nelle Università pontificie romane e a Lovanio.
Altri furono indirizzati nelle Università statali per laurearsi nelle discipline letterarie, filosofiche e scientifiche. In tal modo, il seminario ebbe un corpo docente ben qualificato. Durante la seconda guerra mondiale, i seminaristi lasciarono la sede di piazza Duomo, salvando i volumi della Biblioteca, che portarono nel Seminario di S. Giovanni La Punta, dove si stabilirono per tutto il periodo bellico. Nel luglio del 1943, durante i bombardamenti anglo-americani, il seminario di città fu gravemente danneggiato, tanto che il vescovo e i superiori decisero in seguito di edificare un nuovo edificio. La prima pietra fu posta nella festa dell’Immacolata del 1945, e i lavori iniziati il 2 aprile 1946, furono in parte completati alla fine del 1950.
L’inaugurazione avvenne il 15 agosto del 1951. Nei decenni successivi, il Seminario di Viale O. da Pordenone fu completato: la sistemazione dell’area antistante, l’ala di levante, le camerette, e la Chiesa, inaugurata agli inizi degli anni’70 (essendo i lavori, iniziati a metà degli anni ’60). Mi è sembrato utile ricordare a tutta la comunità diocesana l’anniversario della fondazione del nostro Seminario, nonché offrire alcuni spunti della sua lunga Storia, perché anche se oggi da tante autorevoli voci, giustamente, si invoca una nuova visione per la formazione dei futuri preti, nessuno può dimenticare le radici da cui veniamo. Nell’agosto del 1963, per XLV Festa del Papa, che aveva come tema “I seminari nella vita della Chiesa” (cadeva il 400° anniversario dell’istituzione dei seminari), il Rettore Mons. Rocco Rapisarda, nella sua relazione davanti al clero intervenuto per l’occasione, evidenziava i problemi del seminario di Catania in quel periodo, in vista di un adattamento alle esigenze dei tempi, affinché quella istituzione divenisse sempre più “scuola di autentica carità fraterna e generosità apostolica, e al tempo stesso palestra di umane virtù e di cultura”.
Una sintesi storica, culturale ed ecclesiale davvero eccellente dei 450 anni del Seminario di Catania e un prezioso contributo da partecipare e che rende onore a tutta la Comunità Diocesana e alla Città di Catania.
Ho gradito molto conoscere la storia del seminario, è veramente bella e mi è venuto in mente : perché non fare conoscere questa ai giovani? magari facendo visitare la struttura, e spiegare tutto lì sul posto.grazie