Trump dichiara il 2 aprile “Liberation day” dell’America, riportando le lancette della Storia indietro di circa tre secoli, ai tempi del protezionismo economico della Francia di Luigi XIV e del suo ministro Colbert. Anche se bisogna riconoscere che il protezionismo si è sempre affacciato lungo il corso dei tempi e fino ai nostri giorni, in diversi circostanze in alcuni Paesi, ma, ovviamente, in una cornice generale che è quella contrassegnata dalla globalizzazione. Già, dopo la caduta del muro di Berlino (novembre 1989) e la conseguente fine della guerra fredda, molti cominciavano a definire il mondo il “villaggio globale”. Le stesse regole dell’Organizzazione mondiale del commercio sembra che vadano in questa direzione di apertura e di sana collaborazione per il bene comune di tutti. Pertanto, l’imposizione universale dei dazi del Presidente americano, provvedimenti che colpiscono quasi tutto il mondo (salva la Russia, guarda caso), anche se diversificati – e poiin parte sospesi per 90 giorni – non appaiono come un bene per nessuno, inclusa la stessa America: bastava fare quattro conti, per capire che questa decisione danneggia non solo i Paesi che subiscono i dazi, ma anche gli stessi Stati Uniti, i cui cittadini da ora in avanti se dovranno comprare, ad esempio, un’auto che ha subìto i dazi, la dovranno comprare a un prezzo maggiore (come accadrà per qualsiasi altro prodotto colpito da queste misure).

Quali conseguenze Sulla pelle delle persone?

Che incidenza può avere sulla pacifica convivenza umana, il tornado Trump? Noi vorremmo leggere, con i criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa, questo evento, che ha sconvolto il mondo, ha messo in crisi tutte le borse, ha fatto andare in fibrillazione la politica,  fa temere una forte recessione e la perdita di una gran quantità  di posti di lavoro. E pertanto, oltre i numeri dei listini delle borse, queste misure trumpiane avranno un impatto molto grave sulla pelle delle persone. Intanto, bisogna dire che “la dottrina sociale ha più volte messo in luce le distorsioni del sistema commerciale internazionale causate dalle politiche protezionistiche […]”. E ne viene spiegato il motivo: “Oggi più che mai il commercio internazionale, se opportunamente orientato, promuove lo sviluppo ed è capace di creare nuova occupazione e di fornire utili risorse”. Pertanto, le relazioni economiche internazionali dovrebbero ispirarsi a determinati criteri eticiche assicurino “il perseguimento del bene comune e la destinazione universale dei beni; l’equità nelle relazioni commerciali; l’attenzione ai diritti e ai bisogni dei più poveri nelle politiche commerciali e di cooperazione internazionale” (Compendio….n 364).

Una globalizzazione nella solidarietà

In tal modo, la Dottrina sociale, tenendo presente la natura delle dinamiche attuali, contrassegnate dalla globalizzazione, mette in guardia dal ritenere che la libera circolazione di capitali e di ricchezza possa essere di per sé “sufficiente a favorire l’avvicinamento dei Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati” (Compendio… n 363). C’è, allora, una sfida importante, che la Comunità internazionale deve saper cogliere: “assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”, infatti, se così non fosse, sarebbe gravemente leso il bene comune della famiglia umana, perché i poveri sarebbero destinati a restare sempre più poveri, mentre i ricchi diventerebbero sempre più ricchi (vd Compendio…n 364). Si tratta, perciò, di attuare concretamente politiche economiche che siano improntate dalla giustizia sociale perché “la libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale” (Compendio…n 366). Viene chiamata in causa la responsabilità delle organizzazioni internazionali affinché svolgano un’azione incisiva capace di “collocare l’attuale processo di crescita dell’economia e della finanza su scala planetaria in un orizzonte che garantisca un effettivo rispetto dei diritti dell’uomo e dei popoli nonché un’equa distribuzione delle risorse, all’interno di ogni Paese e tra Paesi diversi” (ivi). E tutto ciò presuppone che sia tenuto presente sempre “il principio dell’universale destinazione dei beni” (Compendio…n 367). In sintesi, il Magistero sociale prendendo atto del fenomeno della globalizzazione mette in evidenza rischi e opportunità. Infatti, una globalizzazione senza regole etiche, provocherebbe esiti drammatici soprattutto a danno degli strati più deboli e indifesi della popolazione mondiale. Pertanto, la politica deve indirizzare i processi economici tenendo conto anche dei parametri morali. Lo sviluppo economico, infatti, può essere duraturo se si dispiega “all’interno di un quadro chiaro e definito di norme e di un ampio progetto di crescita morale, civile e culturale dell’intera famiglia umana” (Compendio…n 372). Questo è l’orizzonte entro cui si colloca la globalizzazione con le sue potenzialità positive, in vista del raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l’umanità, vale a dire, la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Oggi, l’equa distribuzione delle risorse esige che si prenda atto “dell’interdipendenza — economica, politica e culturale — che unisce ormai definitivamente i popoli tra loro e li fa sentire legati ad un unico destino. I problemi sociali assumono sempre più una dimensione planetaria. Nessuno Stato può più affrontarli e risolverli da solo. Le attuali generazioni toccano con mano la necessità della solidarietà e avvertono concretamente il bisogno di superare la cultura individualistica”(Compendio …n 373). Tutto ciò equivale a dire che nessuno (nemmeno in campo economico) può pensare di salvarsi da solo.  E’ una visione, questa, distante anni luce dal protezionismo lanciato muscolosamente da Trump, il quale non si è posto nemmeno il problema di dialogare con gli interlocutori degli altri mercati, ma ha messo le carte in tavola (anche concretamente con le sue enorme tabelle che mostrava a tutte le Tv del mondo), quasi come una dichiarazione di guerra. Alcuni parlano di “mafia state”, o di “potere stupido” (dump power).  

In questi ultimi giorni, su “Vatican news”, il professor Sapelli ha affermato che i dazi di Trump si devono leggere all’interno di una logica di potere, in un tempo in cui “persino la conquista territoriale è tornata ad essere centrale”. E molto opportunamente, lo studioso cita Paul Krugman per rilevare “che il commercio si fa con le filiere, col tessuto industriale, non coi dazi”

Tra le persone che non si sono scomposte di fronte alle dirompenti posizioni di Trump, la Premier Meloni, che ha fatto quasi spallucce con il suo “non creiamo allarmismi”, ripetuto in tutte le salse, forse sicura che il suo rapporto ideologico con Trump riuscirà a farle ottenere un cambio di strategia. E, nello stesso governo, anche il ministro leghista Giorgetti sembra suonare la stessa musica della Meloni: “non lasciamoci prendere dal panico”.

Mercati chiusi e mercati aperti

Ha fatto bene, a mio avviso, la Commissione Europea che, pur prevedendo delle contro-misure, vuol lasciare aperto il dialogo. Nessuno, infatti, vorrebbe una “guerra dei dazi”.

In sintonia con quanto abbiamo cercato di esporre sopra, ci sembrano le dichiarazioni del Presidente Mattarella con la sua distinzione tra “mercati chiusi” e “mercati aperti”: “I mercati chiusi, contrapposti mettono in pericolo la fiducia tra i Paesi e la collaborazione internazionale, mentre mercati aperti, con commerci comuni, creano rapporti di fiducia, una tessitura di collaborazione che garantisce la pace. Per questo la nostra posizione è chiarissima: per la pace nel mondo e per il vantaggio delle popolazioni occorre avere mercati aperti, e questa è una regola di civiltà”. 

Ci auguriamo che, guarendo dalla “follia” del potere, si possa ragionevolmente tessere una solida  trama per globalizzare la solidarietà e percorrere sentieri di pace.

Foto Ansa-Sir

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