
Nel messaggio per la Quaresima 2025, il nostro arcivescovo monsignor Luigi Renna, tra gli altri aspetti propri di questo tempo forte, quali la preghiera e il digiuno, ha tanto esortato alla carità intesa anche come “miracolo sociale”. Un invito a una particolare attenzione soprattutto alle fragilità umane e di misericordia verso i fratelli che hanno sbagliato, ad esempio i detenuti, anche contribuendo al Progetto Senza Catene. È stata individuata in particolare la V domenica di Quaresima come giornata di raccolta, ma soprattutto come culmine di un camino di maggiore sensibilità e attenzione caritativa.
Il nostro Pastore auspica che tutti possiamo avere uno sguardo attento, in generale, alle tante necessità di tanti fratelli e sorelle, «chiedendo al Signore di darci un cuore nuovo». Allora davvero sarà Pasqua!
Ecco, dunque, che si vorrebbe condividere una breve storia della carità a Catania, limitatamente ad alcuni periodi e a poche persone rispetto alla grande mappa che, grazie a Dio, traccia nel nostro territorio le coordinate evangeliche dell’amore cristiano.
Sant’Agata e il beato Dusmet
Non senza esagerare, vorremmo chiamare Catania la città della carità perché la città di sant’Agata prima di tutto. Sappiamo dalla tradizione come le vergini consacrate dei primi secoli dell’era cristiana esprimevano la loro totale appartenenza al Signore in comunione con la Chiesa locale e dedicandosi al prossimo, soprattutto ai poveri. Anche la nostra Santa Patrona ha fatto sicuramente così, divenendo dono di considerazione e di cura per tanti bisognosi. E poi il santo per eccellenza della carità, il beato cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet insieme a tanti altri strumenti preziosi che hanno incarnato nella nostra arcidiocesi la sollecitudine di Cristo verso tutti gli uomini. Basti pensare alla solidarietà fattiva e in presenza dello stesso Cardinale, del clero e varie persone durante le epidemie di colera o le colate laviche che hanno lambito alcuni paesi etnei.
Anna Grimaldi Zappalà
Faremo riferimento soltanto al periodo storico che abbraccia l’episcopato Dusmet e quello del successore cardinale Giuseppe Francica Nava, altro gigante della carità. La nostra meditazione in proposito ha preso le mosse da un approfondimento richiestoci l’anno scorso sulla baronessa Anna Grimaldi Zappalà, una figura di spicco, tra tante altre, nella Catania tra Ottocento e Novecento. Nel costante attivismo all’interno del laicato cattolico, ella ha precorso i tempi ponendosi come un leader al femminile di indiscusso valore e attestazione. Il suo operato dal 1918 si è intrecciato con l’attività vincenziana della venerabile suor Anna Cantalupo fdc, icona della carità a Catania.
Nata dal barone Enrico Grimaldi Paternò Castello e da donna Eutalia Francica Nava Guttadauro, la baronessa Anna già in famiglia “respirava” in un clima di grande apertura sociale e caritatevole: ad esempio l’attitudine a far beneficenza da parte della nonna materna Caterina Guttadauro, sorella di quel Giuseppe che è stato insigne pastore della Chiesa di Caltanissetta, e mamma del cardinale Giuseppe Francica Nava.
I due coniugi Auteri-Paternò Castello e la giovane Giuseppina Faro
Per rintracciare il filone caritativo che anima la Catania di fine Ottocento è imprescindibile il richiamo alla soppressione del 1866 che, con la chiusura di monasteri e conventi che davano lavoro e erogavano grandi beneficenze, fu causa di un aumento esponenziale della povertà. Come ebbe anche a dire il benedettino Giacomo Maggiore – che per amore verso la sua gente rimase fedele al suo incarico di parroco a Santa Maria di Licodia – «la fame non ammette dilazioni». C’era di conseguenza un crescendo di attenzione ai bisogni della gente che animava religiosi e laici della città e pure dei paesi etnei. Una di queste figure, sensibili alle necessità altrui, fu la serva di Dio Giuseppina Faro, appartenente a una delle famiglie più in vista del comune di Pedara. Pensiamo anche a due coniugi catanesi, Angelina Auteri, in seguito divenuta carmelitana e il marito Ignazio Paternò Castello divenuto un padre barnabita, che si adoperarono a favore delle giovani di Mirabella Imbaccari dove avevano delle proprietà, creando un’opera sociale che offrisse lavoro consolidando la tradizione del tombolo.
A volte si trattava di forme assistenziali legate a iniziative personali che magari si allargavano ad una ristretta cerchia di simpatizzanti per cui il Dusmet, da arcivescovo, diede forma stabile ad alcune di queste fondandone altre, soprattutto nel 1890 l’Opera del soccorso agli infermi poveri a domicilio per la quale volle in diocesi le Figlie della Carità così pure altre Congregazioni religiose. Fu coadiuvato anche da tanti sacerdoti e fedeli, in particolare dal segretario, il benedettino padre Luigi Taddeo della Marra.
È bene soffermarsi un poco sull’apertura che il successore, il cardinale Giuseppe Francica Nava barone di Bontifé, mostrò nel suo ministero a imitazione di quanto stava avvenendo in altre parti dell’Italia e dell’Europa. Sostenitore del cristianesimo sociale di Leone XIII, si muoveva in sintonia con il procedere degli avvenimenti e movimenti. Privilegiando il momento educativo, si adoperò per formare un nuovo laicato cattolico. Di qui l’azione riformatrice del clero cui diede vigore e il fiorire di opere economico-sociali grazie anche alla collaborazione con don Sturzo.
La sollecitudine alla carità è dunque legata alla “questione sociale” perseguita da parecchi vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, ma pure laici e laiche, ad esempio Marianna Amico Roxas la quale ha innestato la regola di sant’Angela Merici sul laicato femminile anche consacrato presente in Sicilia. Ecco che a Catania la carità cristiana si amalgama sempre più con quella cittadina grazie a persone di buona volontà che hanno collaborato e reso possibile la realizzazione di tante piccole e grandi opere.
I sacerdoti e le donne della carità
Tra i tanti sacerdoti votati alla causa della carità vogliamo ricordare mons. Francesco Pennisi che si è dedicato dal 1924 al 1932, anno in cui verrà nominato Rettore del Seminario Arcivescovile, alla formazione della gioventù che frequentava la Casa della Carità e al servizio ministeriale dei poveri e padre Francesco Ricceri, che sarebbe diventato vescovo di Trapani dal 1961 al 1978, il quale durante la Seconda guerra mondiale, si adoperò sostenuto da un nutrito gruppo di esponenti del laicato cattolico. In particolare, costoro animarono il comitato caritativo arcivescovile che aprì cucine economiche in grado di distribuire giornalmente diverse migliaia di razioni alimentari. Monsignor Ricceri nel settembre del 1943 aveva infatti fondato il Comitato caritativo arcivescovile catanese, insieme con la duchessa Carmela Trigona di Misterbianco e la signora Lina Petroncelli Vagliasindi. Contemporaneamente la signorina Francesca Nicotra, all’interno dell’Azione Cattolica, aveva fondato nelle parrocchie un ufficio di assistenza. L’assistenza ai soldati, approvata e benedetta dal nuovo arcivescovo mons. Carmelo Patanè, andava intensificandosi, ma ci fermiamo qui.
Abbiamo mostrato soltanto alcuni dei tanti tasselli – senza parlare di tanta carità ancora viva ai giorni nostri – che arricchiscono il variegato mosaico della nostra identità civile e religiosa perché è importante che non vada assolutamente perduta parte della nostra memoria storica ed ecclesiale.