
“La fantasia al potere” era uno degli slogan che circolavano negli anni della contestazione sessantottina. Oggi, registrando tutto quello che accade nel mondo della politica, a tutti i livelli sia nazionali che internazionali, potremmo modificare quello slogan dicendo: “la follia al potere”!
Alcune settimane fa, tutto il mondo ha visto in diretta Tv, il disastroso incontro/scontro tra Trump e Zelensky. Tra i più disparati commenti abbiamo sentito chi dice che si è trattato di una trappola che il governo americano ha teso al Presidente ucraino e chi, invece, sostiene che il dibattito ha preso una brutta piega.
Ad ogni modo, chi ha il minimo di buon senso, per lo meno, rimane indignato vedendo la tracotanza con cui il Presidente USA brandisce il suo potere, come una mazza, fuori da ogni logica di dialogo e di rispetto per l’altro. Così, ad esempio, in questi giorni, ha esibito agli occhi del mondo il rimpatrio forzato in Colombia di un folto gruppo di sospettati di terrorismo, tutti incatenati. E come se ciò non bastasse, il The Donald ha commentato questa sua iniziativa sui social con parole pesantemente sprezzanti contro queste persone, dimenticando che anche al delinquente più incallito deve essere riconosciuto almeno un barlume della sua dignità umana. L’altezza della sua posizione politica ed economica sembra provocargli una sorta di vertigine che, di conseguenza, determina un certo “oscuramento dell’intelligenza”, tanto da indurlo a pensare che può decidere su tutto e sulla pelle di tutti gli interessati: se Gaza deve diventare un resort, oppure se l’Ucraina deve fare la pace alle condizioni imposte da Putin, trasformando il popolo ucraino da aggredito in aggressore. Lo stesso giudizio offensivo sull’Europa, nata a suo dire, per “truffare” o per sfruttare gli Stati Uniti, scaturisce dalla condizione sopra accennata. In questo caso, però, sarebbe opportuno che qualcuno gli consigliasse di leggere qualche buon libro di Storia, dove il tycoon potrebbe leggere che l’Europa nasce dal sogno di una pace duratura di De Gasperi, Schuman, Adenauer.
Trump, Putin e la politica delle annessioni
Tra le molte reazioni critiche del mondo politico e della cultura, bisogna dire che invece si distingue, il solito Salvini, il quale non perde occasione per elogiare Trump; lo aveva fatto a Madrid, alcune settimane or sono, e lo ha ripetuto in questi giorni a proposito dello scontro con Zelensky. E qui non posso fare a meno di ricordare la famosa opera di Erasmo da Rotterdam: Elogio della Follia (1508), che certamente Salvini non conosce, ma tant’è! Il pensatore olandese, in un capitolo del suo libro, ci offre una descrizione delle attività politiche dei governanti, con giudizi non certo lusinghieri, che sembrano restituirci uno spaccato dei nostri giorni. Cosa dovremmo dire, ad esempio, dei discorsi aggressivi e arroganti di Trump su tutto e contro tutti? Dei proclami di espansione e di annessione di alcuni Stati sovrani? Ad esempio: al Canada conviene far parte degli Stati Uniti. E alcuni di questi obiettivi sembrano speculari con quelle di Putin, che punta ad assorbire nella Grande Madre Russia i Paesi Baltici (tanto per fare un esempio), consapevole di svolgere una grande missione moralizzatrice verso Oriente contro la decadenza dell’Occidente. Ed è ancora più triste sentire che il Patriarca di Mosca, Kirill, dia la sua benedizione a questi sogni malsani del suo Presidente, fermo ancora ai tempi delle antievangeliche alleanze tra trono ed altare.
E che dire, ancora, della guerra commerciale, scatenata da Trump, con tutta la sfilza di dazi che ha imposto, fino a quelli del 200 per cento sui vini, usando, fra le altre cose, le parole come clava? Alimentando così sotto la cenere venti di guerra: altra follia della Storia, come diceva Papa Giovanni XXIII.
L’Europa in mezzo al guado
Questi scenari inquietanti hanno fatto sì che l’Europa cominciasse a parlare di “riarmo” (RiArm Europe). E ciò, a sua volta, ha scatenato una miriadi di reazioni: dall’approvazione alla negazione del progetto.
Ma a questo punto, mi sembra opportuno fare qualche precisazione. Innanzitutto, è sbagliato usare la parola “riarmo”, che nella lingua italiana suppone che prima vi fosse stata un’Europa armata, poi in disarmo, e adesso si ri-arma, ovvero si arma di nuovo. Ma non è stato mai così.
Inoltre, molti cosiddetti “pacifisti” si scandalizzano e magari riempiono le piazze, come è avvenuto sabato 15 marzo a Roma, in un coktail di sigle, che magari manifestavano per obiettivi diversi.
E’ chiaro che non possiamo accettare l’antico adagio latino: “Si vis pacem para bellum” (=Se vuoi la pace, prepara la guerra); piuttosto diciamo: “Se vuoi la pace prepara istituzioni di pace”, ad esempio, strutture che favoriscano il bene comune, la giustizia sociale e l’equità, il lavoro decente per tutti, il superamento della povertà educativa, che alimenta la criminalità organizzata ecc. Infatti come leggiamo nella “Populorum progressio” di Paolo VI, le condizioni di diseguaglianza, di ingiustizia, sono le premesse per la guerra: i popoli della fame interpellano i popoli dell’opulenza.
Il progetto di una Comune Difesa Europea (CED) era già stato avanzato dal nostro De Gasperi, che ne discuteva con gli altri due padri fondatori dell’Europa: Adenauer e Schuman. Innanzitutto, il sogno comune per creare l’Europa unita era quello di assicurare la Pace, come in tante occasioni essi hanno ribadito. Una pace che sarebbe stata garantita dal progresso comune dei Paesi europei. Ma, allo stesso tempo, De Gasperi (nel dicembre 1951) osservava che era necessario “formare una comunità di difesa, che abbia a suo programma non di attaccare, non di conquistare, ma solo di scoraggiare qualsiasi attacco dall’esterno in odio a questa formazione dell’Europa unita”. In altre parole, il primo obiettivo era quello di “mettersi insieme per la difesa della propria libertà”. Perciò, precisava De Gasperi, non si tratta di “creare un’organizzazione di armati”. Egli, comunque, era consapevole che la proposta non sarebbe stata facile da accettare e che si sarebbero sollevate tante obiezioni. Infatti, “non si tratta di mettere insieme carbone e acciaio ma uomini armati, eserciti” e, allora, “nascono titubanze”. Ma bisogna avere la pazienza per dialogare, anche a lungo, perché “bisogna scegliere: o parlare, discutere, fare appello alla ragione, oppure ricorrere alla forza […] fatti bene i conti, le teste è meglio contarle che decapitarle”. (vd M.R. Catti De Gasperi, La nostra patria Europa, p 61-64). Ma la proposta della CED non andò in porto per l’opposizione del Parlamento francese. Le nuove situazioni internazionali ripropongono adesso il problema di una Comune Difesa Europea.
Il magistero della Chiesa e le armi
Ma cosa dice il Magistero sociale della Chiesa sulla pace e sul possesso delle armi? In primo luogo afferma che “La pace è un valore e un dovere universale e trova il suo fondamento nell’ordine razionale e morale della società che ha le sue radici in Dio stesso” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa 494). E pertanto, esso “condanna «l’enormità della guerra», che è un «flagello», «il fallimento di ogni autentico umanesimo », «è sempre una sconfitta dell’umanità »”(497). L’ideale proposto come unameta da raggiungere è un «disarmo generale, equilibrato e controllato». Fatte queste precisazioni, che sono una costante di tutto il magistero sociale della Chiesa, si pensi a Benedetto XV che per scongiurare la I guerra mondiale l’aveva definita “inutile strage”, fino alle ripetute condanne di papa Francesco, il Compendio osserva che “Le esigenze della legittima difesa giustificano l’esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace” (502). Se si scatena una guerra di aggressione (intrinsecamente immorale), allora “i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi (500). Si veda il caso della Russia che ha aggredito l’Ucraina. Pertanto, “non bisogna dimenticare che altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni” (500). Ma il Compendio aggiunge anche qualche altro elemento, che attiene all’aiuto che la Comunità Internazionale deve offrire al popolo aggredito ingiustamente:“Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l’importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace…”(499). E anche in questo caso non bisogna mai dimenticare che la pace si deve perseguire con i negoziati, con l’obiettivo di ristabilire condizioni di giustizia, nel rispetto del diritto. E tuttavia è importante tenere presenti le ragioni che devono stare alla base di un dialogo per trattare la pace: «È lecito sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni » (499).Ci auguriamo che queste sagge parole del Magistero sociale della Chiesa possano penetrare nel cuore di coloro che hanno nelle mani le sorti del mondo, essendo prima, però, passate dentro le loro teste per guarirle dalla “follia della guerra”.
Foto ANSA-SIR