Qualcuno leggendo il mio articolo sul “suicidio assistito”, forse, si sarà chiesto come potrebbero i parlamentari cattolici, nel dibattito politico, difendere la sacralità della vita dall’embrione al suo compimento naturale, dato che essendo in una democrazia e in una società sempre più pluralista, è scontato che vi siano posizioni diverse che rispecchiano visioni antropologiche molteplici, spesso in contrasto con quella dei cattolici. Inoltre, bisogna tenere presente che nello stesso mondo cattolico, le posizioni su certi temi di biopolitica (ad esempio: aborto, fine vita, teorie del gender, adozione di bambini e matrimonio tra persone dello stesso sesso ecc. ), sono variegate e si estendono lungo un arco che può andare dall’integralismo al lassismo e al relativismo. La conseguenza di questo caleidoscopio di opinioni è che la voce dei cattolici su certi valori fondamentali diventa insignificante, inutile e irrilevante perché non manifesta più il suo statuto specifico, facendo così il gioco degli ambienti laicisti che, dalle loro sponde ideologiche, vorrebbero neutralizzarla. Ma i cattolici non sono “una realtà a parte del Paese”, si affermava già nel Convegno Ecclesiale di Palermo (novembre 1995), ed emarginare ovvero eliminare la loro specifica presenza sarebbe nocivo per il bene stesso del Paese.

Le tre coordinate dei politici cattolici

Pertanto, per non essere come il “sale insipido”, di evangelica memoria, e per superare la poltiglia valoriale, di cui sopra, è necessario, a mio avviso, che i parlamentari cattolici tengano presenti tre coordinate inseparabili: la  formazione, il reciproco confronto pur impegnati nei diversi partiti, il dialogo con tutte le altre forze politiche di diversa ispirazione.

La formazione. Oggi più che mai c’è bisogno di politici competenti e preparati, capaci di esprimere alte idealità. In particolare, i politici cattolici dovrebbero testimoniare la coerenza con la fede professata, sia nei contenuti che nella prassi politica. E proprio a tale scopo, la comunità ecclesiale ha il dovere di offrire loro il suo servizio formativo, alla luce del Vangelo e dei criteri di riferimento per la prassi, elaborati dalla Dottrina sociale della Chiesa. Tale formazione esige un assiduo approfondimento per rispondere alle sfide del nostro tempo e permetterà al fedele laico di non omologare le sue scelte politiche alla moda della maggioranza o seguendo, pedissequamente, gli ordini di scuderia del proprio partito. Pertanto, è fondamentale che la formazione faccia maturare la capacità di discernimento. Si tratta, perciò, di un  compito delicato e complesso.

Su questo argomento è intervenuto Mons. Renna, nella qualità di Presidente del Comitato scientifico per l’organizzazione delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, in occasione del Convegno de “La Rete di Trieste”, tenutosi a Roma qualche settimanafa. Ai partecipanti (circa 400), l’Arcivescovo ha detto: “Molti di voi vengono da un percorso di formazione a cui sono debitori a Diocesi,associazioni, movimenti. Molti di voi continuano a formare e rendono un servizio insostituibile alla Chiesa e al Paese, e ha ricordato che, a Trieste, Francesco ha lanciato un appello molto chiaro: “Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa?[…]”. E  Mons. Renna sottolineava che è appunto attraverso la formazione che il politico cattolico può riconoscere che “i valori di riferimento hanno indubbiamente una gerarchia, ma vanno compresi tutti: dalla dignità dell’embrione e della vita del malato terminale, a quello del lavoratore e del migrante”.

La Lettera a Diogneto mi sembra di sorprendente attualità perché ancora ci può illuminare sulla corretta relazione tra i cristiani e il mondo; nel nostro caso, sull’apporto originale che i cattolici con una loro identità, ben formata, possono dare alla vita del nostro Paese.

Luoghi di confronto e di dialogo

A questo punto, entra in gioco la seconda coordinata: i cattolici impegnati in politica devono ricercare luoghi di confronto, di dialogo e di condivisione dei valori umani e cristiani. E in un momento storico come il nostro, dove si registra una eclissi, se non addirittura un tramonto di tanti valori, questo stile dialogico tra cattolici potrebbe dare risultati positivi per la rigenerazione etica della società.

Nel citato intervento, il nostro Arcivescovo esorta i convegnisti: “Non cedete a chi vuole vederci divisi. Il dialogo trasversale tra tutti i cattolici presenti nei vari partiti farà bene non solo ai credenti, ma all’intero Paese”.E propone la metafora del poliedro, cara a papa Francesco, perché “riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (E. G. 236).

Queste linee di Mons. Renna si muovono sulla stessa lunghezza d’onda dei molteplici interventi della CEI sulle questioni socio-politiche, sin da quando, dalla fine degli anni ’90, si iniziarono a delineare i nuovi assetti politici, dopo la fine della D.C. La legittima pluralità di opzioni politiche dei cattolici pose alle comunità cristiane una nuova domanda di accompagnamento: come favorire i loro rapporti, mediante forum, tavoli di confronto e altre iniziative di dialogo a livello locale, intermedio, nazionale. L’obiettivo proposto: creare le condizioni per un autentico discernimento comunitario. Essere cristiani nel fare politica e compiere scelte coerenti con la fede richiede confronto e  discernimento per evitare che la pluralità di opzioni si risolva nella deriva di una diaspora dispersiva (vd CEI, Le comunità cristiane educano al sociale e al politico 22). Ma dando uno sguardo all’esperienza, si può affermare che queste indicazioni dell’episcopato italiano, risalenti a più di trent’anni fa, sono rimaste sulla carta. Indice, questo, di una comunità cristiana che fatica a entrare in questa nuova ottica. 

Il dialogo con le  forze politiche di diversa ispirazione

Il cristiano, ben formato e con la sua precisa identità, riconosce  i valori morali universali e immutabili (anche specifici della fede cristiana) e li condivide con i fratelli di fede, pur militando in formazioni partitiche diverse. Tuttavia non li può imporre tout-court nelle leggi dello Stato, il quale comprende in sé posizioni culturali, visioni etiche  e religiose diversificate. Il parlamentare cattolico deve tendere verso i valori assoluti, ma deve anche essere capace di mediazione culturale (l’arte della buona politica è anche questo). Ciò non equivale, però, a scendere a “compromessi”, nel senso negativo del termine. Infatti, la mediazione è la capacità di saper dialogare con le altre forze politiche, per poter tradurre quei valori immutabili in questa e quest’altra circostanza storica ben determinata, cercando di ottenere il maggior bene possibile, attraverso la legge migliore possibile, che si può formulare in questo preciso frangente (vd Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nn 560-570).

Il Cardinale Martini, con molta lucidità, osserva che bisogna prendere atto che ci troviamo in una situazione pluralistica e complessa, dove ciò che la coscienza etica cristiana vede come un bene morale, urgente e indifferibile, non sempre può essere tradotto immediatamente in legge, perché bisogna fare i conti col consenso di molti. Pertanto, saggezza e prudenza politica suggeriscono di seguire l’antico principio pedagogico della “sapiente gradualità”. Questa prassi non equivale a rifiutare quel preciso valore morale oppure a ritenerlo di poco conto, perché si deve coniugare con l’impegno di un dialogo paziente, capace di porre le premesse necessarie per fare maturare una mentalità comune, capace di arrivare ad un consenso sufficientemente diffuso. Non bisogna dimenticare che “quanto più un valore è eticamente  rilevante, tanto più è impegnativo e perciò più bisognoso di maturazione a livello di costume. Pertanto non ogni lentezza nel procedere è necessariamente un cedimento”. La fretta oppure arroccarsi rigidamente sulle proprie posizioni etiche (anche giuste e sacrosante), piuttosto che affrontare  la fatica di proporre “cammini positivi”, alla fine non portano da nessuna parte (vd. C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare). Papa Francesco nota: “In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale”. E’ un dialogo che deve essere arricchito da argomenti razionali, da varietà di prospettive, fino ad accettare alcuni valori permanenti, anche se non è sempre facile riconoscerli. Per questo il consenso è una realtà dinamica (vd Fratelli tutti n. 211). E d’altronde, non bisogna dimenticare che S. Tommaso D’Aquino, nella Summa theologica, insegnava che anche i principi della legge morale naturale, possono incontrare difficoltà nei loro passaggi per giungere alla loro applicazione concreta, perché la persona umana subisce una serie di condizionamenti socio-culturali, che vanno dal tipo di educazione ricevuta, agli ambienti in cui si vive, ecc. Si può capire così l’importanza di una lungimirante educazione per illuminare le coscienze, anche sul piano dei valori morali naturali.

La rete di Trieste

A mio avviso, le comunità ecclesiali, nelle varie diocesi italiane, si dovrebbero muovere e attrezzare per dare seguito all’intuizione de “La Rete di Trieste”, “favorendo sinergie per il bene comune”, come esorta Papa Francesco. Tuttavia, penso che la diocesi di Catania potrebbe essere un volano per la Chiesa Italiana, sia per la competenza e la particolare sensibilità di Mons. Renna su queste problematiche come anche per le responsabilità che ricopre alla CEI a livello nazionale, sia per la nostra esperienza in diocesi (mi riferisco alle importanti iniziative del “Cantiere per Catania” e allo “Istituto S. Agata per Catania, per la formazione socio-politica”). Tutto ciò potrebbe permettere di avviare percorsi con forte valenza educativa, formando alla carità politica e promuovendo proficui confronti con i nostri politici cattolici (siano essi parlamentari nazionali, regionali o comunali), puntando al superamento delle strutture di peccato con strutture di giustizia, di pace e di fraternità universale. In breve, i politici cattolici con la“forza straordinaria” della carità politica potranno edificare concretamente  la “società buona” (vd Caritas in Veritate 2), ovvero la Città, che pone al centro il bene integrale della persona umana. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *