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di Carlo Anastasio
C’è qualcosa di un’incontinenza senile nella frenesia distruttiva di Donald Trump. Ma c’è anche del metodo nel caos che sta cercando di instillare dentro l’ordine mondiale.
Trump non sa resistere a sé stesso. E dà l’impressione di essere un autoreferente maschio alfa che, consapevole del suo essere anziano, e rabbioso contro il tempo che lo invecchia, una ne pensa e cento ne fa, aggressivamente, agitandosi adesso assai più che durante la sua prima presidenza (quando ovviamente l’età era meno pressante), per illudersi che l’attivismo sia garanzia di giovinezza e potenza, così come persevera con l’incredibile colore biondo del suo parimenti incredibile ciuffo. Ecco l’incontinenza.
Trump vuole allearsi con Putin per contrastare l’avanzata cinese
Però in campo internazionale – seppure anche qui con una frenesia che sa di patologia – il capo della Casa Bianca sta applicando uno scompiglio calcolato, un sovvertimento degli equilibri attuali per poi riorganizzarli, sta mettendo in atto quel che da qualche anno è di moda chiamare «disruption», una demolizione per costruire qualcos’altro. Obiettivo: contrastare l’avanzata della Cina, il vero, grande, anzi immenso spauracchio degli Stati Uniti d’America.
È questo il maggiore motivo della mano tesa a Vladimir Putin, patentato criminale di guerra secondo ogni standard di civiltà. Trump vuole sottrarre il despota di Mosca all’abbraccio sempre più assorbente della Cina guidata da Xi Jinping, il Celeste Impero del terzo millennio, temuta nemesi dell’impero americano. Perciò programma di riportare la Russia tra i Grandi in una riedizione del G8, e intanto è pronto a darle in pasto parti consistenti dell’Ucraina, e chissà se in futuro le consentirà mire sui Paesi Baltici, o magari su Finlandia e Svezia, da poco entrate nella Nato proprio per meglio proteggersi dal Cremlino. Nella scacchiera del suo gioco a distanza con Pechino, per arrivare alla patta se non alla vittoria, Trump non ha remore a sacrificare qualche pedone, qualche alfiere o torre o cavallo, sotto forma di Ucraina e altro.
Trump, continuità e discontinuità con i leader che l’hanno preceduto
Ma il cinismo degli Stati Uniti nella geopolitica non l’ha iniziato lui, che per la forma predilige gli effetti pirotecnici, mentre per la sostanza si pone in continuità con molte delle amministrazioni precedenti. Non bisogna dimenticare, per esempio, che le atroci dittature militari in Grecia (1967-1974), in Cile (1974-1990) e in Argentina (1976-1983) ebbero l’acquiescenza e spesso il sostegno della Casa Bianca, nel quadro della Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica e il comunismo in generale. Quelli erano in gran parte i tempi di Henry Kissinger, il – machiavellico secondo alcuni, mefistofelico secondo altri – consigliere per la Sicurezza nazionale e segretario di Stato del non meno spregiudicato Richard Nixon, il presidente poi schiacciato dal Watergate: proprio Kissinger, nonostante un mandato di comparizione in Francia, evitò di testimoniare in un processo per la sparizione di cittadini francesi sotto il regime cileno.
E quanto a cinismo e crimini di guerra, sebbene la storia la scrivano i vincitori, bisogna tenere sempre a mente soprattutto la scelleratezza dell’olocausto di Hiroshima e Nagasaki. Per piegare il Giappone nella Seconda Guerra mondiale, e per dimostrare al mondo di essere la potenza più potente, dunque per affermare la propria egemonia planetaria, gli Stati Uniti riversarono il diluvio del fuoco atomico sulle due città, quasi arrogandosi il ruolo di Dio su Sodoma e Gomorra.
L’egemonia morbida degli Usa
Però proprio il Giappone è la prova più evidente dell’altra, parallela linea di condotta degli Stati Uniti. Con il sostegno americano nel dopoguerra, l’annichilito ex impero del Sol Levante è diventato un Paese ricco e saldamente democratico. E in modo simile, dopo essere state devastate ed essere costate la morte di tanti giovani americani, la Germania e l’Italia sono state aiutate a rialzarsi, a costruire sistemi democratici, a sviluppare economie tra le più avanzate. Gli Stati Uniti solitamente sono stati generosi con gli amici e con gli ex nemici, per l’opportunismo di tenersi e formarsi alleati grati e fedeli, ma anche per una genuina tendenza alla solidarietà, per una spiccata capacità di farsi carico di problemi altrui. Così del resto hanno esercitato un lato morbido della loro egemonia.
Abolita la solidarietà la “politica della cattiveria”
È qui la assoluta discontinuità di Trump. Il «nuovo sceriffo in città», come l’ha definito il suo vice JD Vance, ha il grilletto facile e non fa che sparare invettive, minacce, ricatti, atti punitivi; gli amici non esistono a meno che non siano succubi, chiunque è ritenuto ostile fino a nuovo ordine, la solidarietà è abolita: esemplare la fine del programma umanitario UsAid, decretata da Elon Musk, il tagliatore di teste trumpiano. Lo stesso Vance, avendo forse rimosso dalla coscienza l’assalto degli accoliti di Trump a Capitol Hill dopo la sconfitta con Joe Biden, ha accusato l’Europa di essere illiberale: è il bue che dà del cornuto all’asino (sarà una coincidenza che il cosiddetto sciamano, tra gli assaltatori del tempio della democrazia Usa, si fosse ornato la testa con un paio di corna?).
La discontinuità di Trump è la politica della cattiveria, che disprezza qualsiasi forma di generosità. È una politica che tuttavia si può ritorcere contro chi la pratica, e che comunque produce frutti velenosi. Purtroppo oggi qualcuno ancora non capisce o non vuol capire che la cooperazione facilita il progresso, e che invece lo scontro continuo è sabbia negli ingranaggi. Si tratta di utilità, non solo di etica: con la collaborazione si procede meglio a tutti i livelli, dall’individuale al sociale fino all’internazionale. L’empatia apre gli orizzonti, la cattiveria è chiusura. E il cattivo (dal latino «captivus», prigioniero, nel senso di prigioniero del diavolo, che è raffigurato anch’esso con le corna) ha il grilletto facile, tende a colpire, colpire e colpire ancora: una coazione a ripetere. Un’incontinenza, potremmo dire; senile, nel caso di un vecchio sceriffo dal ciuffo incongruo.
Foto ANSA/SIR