Foto: Luca Artino
«Siamo entrati nel Giubileo, tempo opportuno che la Chiesa ci offre per fare memoria, per ringraziare, per cambiare, per essere migliori; lasciare le cose che non servono o ci fanno male e trasformare le occasioni in opportunità». Parte da qui il cardinale Matteo Maria Zuppi, nella sua omelia in occasione del Solenne Pontificale della festa di sant’Agata – presieduto, appunto, dall’arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. I temi affrontati dal cardinale non sono da leggere in un’ottica circoscritta ai giorni di celebrazioni agatine (nel contesto di una Festa che anche quest’anno ha riscosso una notevole risonanza di pubblico, nonostante i giorni “festivi” siano caduti nel pieno della settimana), ma come spunti di un cammino da svolgere, partendo proprio da questi giorni.
«È la speranza che ci dà forza, non viceversa»
«Il nostro è un tempo segnato dalla rassegnazione. Il fatalismo ( il contrario della speranza) – continua il presidente della CEI – ci fa sprecare tante opportunità e nascondere i talenti che pure ci sono affidati e che togliamo agli altri oltre a perderli noi. Questo tempo mette paura, pieno di incertezza e di rabbia, segnato com’è dalla violenza e dalla disillusione. La pandemia della guerra minaccia la nostra vita e ne rivela la sua radicale fragilità. Spesso siamo ancora più deboli perché cerchiamo una forza e una sicurezza che non troviamo mai o non sarà sufficiente.
E’ la speranza che ci da forza, non viceversa! E la speranza non dobbiamo andare a cercarla lontano, ma nel nostro cuore. Non è una fortuna straordinaria, un azzardo riuscito, ma nella vita di tutti i giorni! Non è degli eroi, ma degli innamorati! La speranza non è di chi incute paura ma è sempre un vigliacco, ma di chi ha un cuore buono perché ama».
Zuppi spiega: «Ecco, capiamo proprio quanto ci aiuta la nostra sant’Agata, debole e fortissima, che ci spiega con la sua vita, non dando lezioni o istruzioni per l’uso senza aiutarci, come essere più forti del male. Il male sconsiglia sempre di fare qualcosa per il prossimo, fa credere che tanto tutto è inutile, riempie di confronti e di vanagloria, persuade che l’unica via è “salva te stesso”, “pensa per te”. E poi restiamo soli, perché chi vuole conservare la propria vita la perde e solo chi la dona la trova. “I martiri sono chi non fa lezioni ma vive l’amore. “Sono presenti in tutte le epoche e sono numerosi, forse più che mai, ai nostri giorni, quali confessori della vita che non conosce fine.
«La vera libertà di Agata è essere saldamente fondata in Cristo»
Abbiamo bisogno di custodire la loro testimonianza per rendere feconda la nostra speranza”. Sant’Agata ci aiuta a essere insieme, ci fa sentire comunità, ci rende davvero cittadini, non spettatori o peggio approfittatori disinteressati al prossimo perché pensano solo a sé. E’ la gioia di questi giorni che ci fa sentire quello che dobbiamo essere sempre: comunità, dove ognuno è attento al prossimo».
Quinziano – continua il presule – è l’idolatria delle cose che diventano più importanti delle persone, è il culto del proprio io che ha sempre bisogno di protagonismo, di conferme e rassicurazioni, a qualsiasi prezzo, rincorrendo gli inganni dell’affermazione individuale. Agata non si piega a questo e ama fino alla fine e ci insegna la bellezza dell’amore. La vera libertà di Agata è essere saldamente fondata in Cristo, àncora che ci rende forti nella tempeste, che permette di resistere alle minacce. Non di meno, ma di più, perché chi ama possiede tutto nell’amore. Spesso uno dei motivi delle nostre paure è la domanda sulla morte e su cosa sarà di noi dopo la morte.
“Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà”. La speranza è sapere che saremo felici, perché la felicità è la vocazione dell’essere umano e Dio vuole che gli uomini siano felici tanto che insegna l’unica via per esserlo qui e per trovare quello che non finisce: l’amore».
Conclude, il cardinale, la sua omelia dicendo: «Agata ci fa sentire una comunità perché “L’amore per i fratelli della propria comunità è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,35). È un amore che diventa servizio comunitario. Egli ti propone di trovarlo anche lì, in ogni fratello e in ogni sorella, soprattutto nei più poveri, disprezzati e abbandonati della società. Che bell’incontro! Gesù ci manda a diffondere il bene».
Dalla Corea del Sud: «Noi, sacerdoti, qui per sentirci parte di una comunità in festa»
Sant’Agata ci fa sentire comunità con tutto il mondo: tra i sacerdoti presenti al Pontificale c’erano Bartolomeo, Vincenzo, Agostino e Giovanni Battista. Sono i loro nomi di battesimo, vengono infatti dalla Corea del Sud.
«Agata è molto famosa nel mondo per il suo martirio – spiega don Agostino, che aggiunge – anche se in Corea non è ancora molto radicata la religione cattolica a livello culturale. Siamo venuti qui per questo, perché vogliamo sentirci parte di questa comunità in festa». Don Giovanni aggiunge, con molta fierezza: «Mia madre si chiama Agata!»
Il pranzo con i poveri. «C’è una parte della città che non si dimentica di questi fratelli»
Sant’Agata ci fa sentire fratelli con i più poveri: anche quest’anno il pranzo del 5 febbraio il vescovo l’ha trascorso, assieme a Zuppi, all’Imam della Moschea di Catania, alle autorità e ai più bisognosi, nella chiesa di San Nicolò L’Arena. A servire le pietanze agli ospiti, sotto la cura organizzativa della Comunità di Sant’Egidio e della Caritas, c’erano tanti volontari provenienti da varie realtà. Tra questi c’è Salvo, che commenta: «Di Sant’Agata colpisce il carattere popolare della festa. Ho sempre l’impressione di come malgrado Catania sia una città con una serie di problematiche incredibili, che sembrano non dare speranza, il popolo si raccoglie attorno alla devozione per Agata. In virtù di questo ci troviamo anche qui. C’è una parte della città sofferente e povera. Ma c’è un’altra parte della città che non si dimentica di ciò».