Site icon Prospettive

L’accoglienza come segno di speranza

di Don Carlo Palazzolo*

La Chiesa, pellegrina di speranza, scruta instancabilmente i segni dei tempi, tra i quali oggi assume una grande importanza quello delle migrazioni, realtà che si può considerare come un fenomeno strutturale della società contemporanea. In questo segno dei tempi, come sottolineava Benedetto XVI, sono incluse: «le migrazioni sia interne che internazionali, quelle forzate e quelle volontarie, quelle legali e quelle irregolari, soggette anche alla piaga del traffico di esseri umani. Né può essere dimenticata la categoria degli studenti esteri, il cui numero cresce ogni anno nel mondo». In questo tempo santo, siamo chiamati, su invito del Pontefice, a offrire segni di speranza verso i migranti.

L’accoglienza dello straniero, come ci ricorda l’istruzione dell’allora Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e dei rifugiati Erga migrantes caritas Christi al n.22, è, tal proposito, inerente «alla natura stessa della Chiesa e testimonia la sua fedeltà al Vangelo» che chiede al cristiano di misurarsi con il comandamento dell’amore (cfr. Gv 13,34-35) che si traduce anche nell’accoglienza degli altri come Cristo ha accolto noi (Cfr. Rm 15,7).

La sollecitudine della Chiesa verso i migranti affonda le proprie radici nella Parola di ‎Dio che ci permette di riconoscere nell’ospitalità e nell’accoglienza dello straniero una ‎virtù cristiana.‎

Infatti, se da una parte sono numerose le norme veterotestamentarie che invitano al rispetto e alla accoglienza del forestiero nel ricordo di Israele come popolo che ha sperimentato la condizione di migrante (cfr. Es22,20; Dt10-18-19), dall’altra parte, tale virtù assume una valenza cristologica nel Nuovo Testamento dove, secondo Giuseppe Bellia, compianto presbitero e biblista della nostra Arcidiocesi,‎ «l’ospitalità diviene uno degli impegni più espressivi di quella fraternità ‎universale cui tende la rivelazione cristiana‎».

Nell’accoglienza si può scorgere, dunque, «una possibilità predisposta da Dio per vivere un rapporto personale con Cristo che si cela dietro le sembianze dell’ultimo, del perdente e dello straniero. È quindi un kairos che permette al credente di entrare in contatto mistico con il suo Dio. […] È occasione di grazia che rivela e compie la comunione fraterna operata nella fede» (Giuseppe Bellia, Accoglienza/Ospitalità nella Bibbia, in Graziano Battistella(Cur.), Migrazioni: Dizionario Socio-Pastorale, Cinisello Balsamo 2010, 9).

Accogliere i migranti non è, pertanto, un gesto esclusivamente di filantropia, ma un atto di fede che dovrebbe contraddistinguere i cristiani, consapevoli che in essi, i migranti, è possibile contemplare il volto di Cristo che non solo è stato migrante e rifugiato in Egitto (cfr. Mt2,13-15), ma disse anche: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35).

I migranti una provocazione alla fede e all’amore

Le vicende dei migranti di ieri e di oggi rappresentano, dunque, «una provocazione alla fede e all’amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero causate da evidenti ingiustizie» (Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e dei rifugiati, IstruzioneErga migrantes caritas Chirsti, n.12).

In questo tempo santo siamo, pertanto, chiamati a spianare sentieri di speranza nei confronti dei nostri fratelli e sorelle migranti, consapevoli, come ha ricordato il santo Padre Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2024, che anche noi, come Chiesa, siamo migranti in questa terra e in cammino verso il Regno dei Cieli. Così, «è possibile vedere nei migranti del nostro tempo, come in quelli di ogni epoca, un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna» (Francesco, Messaggio in occasione della 110ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2024).

Consapevole del fatto che la Chiesa non insisterà mai abbastanza, come scriveva Paolo VI nell’enciclica Popolorum Progressio, sul dovere dell’accoglienza come misura della propria cattolicità, la comunità credente non si stanchi mai di adoperarsi, spianati percorsi di speranza,ad essere essa stessa segno di speranza verso i migranti, purificando il proprio cuore da pregiudizi, fuggendo da chiusure ideologiche non rispettose della dignità e delle aspirazioni umane alla felicità e, soprattutto, aprendo il cuore per offrire non solo soccorsi materiali, ma anche dignità, ascolto e integrazione.

Le parrocchie luogo di speranza per i migranti

Un luogo privilegiato per compiere segni di speranza verso i migranti, la cui cura non ricade solo sui fedeli cristiani, cattolici e no, ma anche di altre tradizioni religiose, potrebbe essere la parrocchia. Non a caso Giovanni Paolo II nel 2002, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, scrisse che: «la comunità parrocchiale può divenire palestra di ospitalità, luogo in cui si compie lo scambio di esperienze e di doni, e ciò non potrà non favorire una serena convivenza, prevenendo il rischio delle tensioni con immigrati portatori di altre credenze religiose.». In questo senso, ad esempio, i nostri oratori potrebbero essere delle ottime scuole di accoglienza dove ciascuno di noi può crescere nella stima reciproca e nella fratellanza, guarire dal virus della diffidenza e della paura verso coloro che sono diversi culturalmente e religiosamente. Gli oratori siano segni di speranza per tutti!

Sotto il profilo della partecipazione alla vita politica, Giovanni Paolo II, diceva, a tal proposito, che «i cristiani devono partecipare al dibattito dell’immigrazione ‎formulando proposte, con il fine di aprire prospettive sicure che possano ‎realizzarsi, anche nell’ambiente politico. La semplice denuncia del razzismo ‎o della xenofobia non è sufficiente» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al IV Congresso mondiale promosso dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, 9 ottobre 1998)‎. Questo discorso vale anche per gli studenti non cittadini italiani residenti in Italia che in Provincia di Catania rappresentano il 3% della popolazione studentesca totale e di questi il 50 % è nato in Italia. Anche questo particolare è un segno che va indubbiamente attenzionato e analizzato con giustizia poiché richiede di ripensare in modo più ampio il concetto di cittadinanza.

Offrire segni di speranza nel vasto mondo delle migrazioni, richiede da parte della Chiesa una conversione missionaria che la renda sempre di più una comunità in uscita e senza frontiere. Ciò è possibile solo se, la Chiesa prenderà consapevolezza, come sottolinea Papa Francesco, che«ogni incontro, lungo il cammino, rappresenta un’occasione per incontrare il Signore; ed è un’occasione carica di salvezza, perché nella sorella o nel fratello bisognoso del nostro aiuto è presente Gesù»‎(Francesco, Messaggio in occasione della 110ª Giornata Mondiale del Migrante e del ‎Rifugiato 2024).‎

A conclusione della bolla di indizione del Giubileo, il santo Padre parlando di vita eterna accenna alla realtà del giudizio che si baserà sull’amore che ciascuno di noi sarà stato in grado di praticare durante il nostro pellegrinaggio terreno. Non si può, pertanto, negare, ed in questo Gesù nel Vangelo è chiaro che tale giudizio riguarderà anche la nostra capacità di amare il prossimo nell’accoglienza dei migranti: ‎«Ero straniero e mi avete ospitato[…] ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.» (Mt 25,35; 40)‎.

Non ci resta, infine, che imparare a guardare i nostri fratelli e sorelle migranti con gli occhi del cuore di Cristo, dunque, non come nemici, non come una minaccia, macome costruttoriprovvidenzialie nascosti, insieme a noi, della fraternità universale.

*Direttore Ufficio Pastorale dei Migranti

Exit mobile version