Nel messaggio dei vescovi italiani per questa giornata il punto di partenza è la testimonianza di Etty Hillesum, una giovane ebrea che ha fatto l’esperienza del campo di concentramento. Scriveva Etty: “Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale. Certo non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà”.
Sono parole forti di una donna che non pensa, innanzitutto, alla sopravvivenza ma al senso da dare a quello che sta vivendo insieme al suo popolo, per il futuro. Dare un senso alla speranza: perché un mondo impoverito non collassi, dietro l’esperienza del proprio fallimento, della disumanizzazione, chiudendosi nel vortice della violenza, dell’odio, della vendetta. Etty ci invita a guardare oltre come i profeti che invitavano a costruire, a ricostruire sul significato umanizzante dell’adorazione dell’unico Dio.
Il Giubileo – scrivono i Vescovi italiani – è una bella opportunità per la nostra Chiesa per ripartire dalla speranza. Scrive Papa Francesco: “Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni” (Spes non confundit 1). Viviamo un tempo carico di minacce. Fatichiamo a guardare avanti con fiducia. Guerre, ingiustizie, crisi climatica, crisi della democrazia, crisi economica, aumento delle povertà… Per sperare abbiamo bisogno di tornare alla Parola di Dio. Lì troviamo la certezza di avere un unico Padre e la promessa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2 Pt 3,13).
Nel messaggio dell’assemblea dei Rabbini italiani viene ribadito il senso di giustizia dell’anno giubilare che invita a riflettere sul fatto che la terra è dono di Dio e ognuno vi risiede come straniero, come affidatario e non come proprietario. Anche il fratello non può essere proprietà di alcuno: “Nella seconda parte del capitolo 25 del Levitico troviamo le conseguenze delle diseguaglianze e delle sperequazioni. L’impoverimento di un fratello non avviene mai all’improvviso. C’è una china che percorre quattro fasi fino a diventare asservito in modo totale a uno straniero, in sostanza il fallimento della società. Le quattro fasi identificate rappresentano 4 diversi e progressivi livelli di impoverimento e di perdita graduale di libertà. Un popolo creato per essere libero ha il dovere di tutelare la libertà di ogni suo membro. Quando una società non riesce a mantenere questo impegno fondamentale, mette a repentaglio l’intero tessuto sociale di cui è formata. Ma questo fallimento non avviene mai in modo repentino. Ha una sua gradualità. La perdita di autonomia di un individuo è frutto di una serie di piccole cadute, talvolta fortuite, talvolta meno, di fronte a ciascuna delle quali c’è la possibilità di riprendersi. Ma non sempre chi cade riesce a rialzarsi da solo. Il soccorso di un fratello è spesso necessario, e senza quello si può andare incontro a ulteriori cadute”
Una società che spera in un futuro nuovo non può permettersi di lasciare che al suo interno si cristallizzino esperienze di ingiustizia. Sarebbe il suo fallimento: il Popolo di Dio che ha fatto l’esperienza della liberazione dalla schiavitù per opera di Dio che gratuitamente è sceso per prendere sul serio il grido degli sconfitti, degli schiavi, non può permettere all’ingiustizia di regnare al suo interno. Ebrei e cristiani non possiamo permettere che l’ingiustizia diventi “normale”, accettabile. E il Giubileo è richiamo forte da parte di Dio alla giustizia di una fraternità che ha in Lui le sue radici.
I Vescovi italiani sottolineano ancora come negli ultimi tempi il dialogo tra di noi si sia fatto difficile, a causa di incomprensioni, di pregiudizi, in un clima segnato dall’ennesima guerra, dopo i fatti del 7 ottobre. Ma il dialogo non si è interrotto: un miracolo di Dio e di quegli uomini credenti che si ostinano a credere che la via del dialogo sia l’unica vera via percorribile verso la pace. L’antisemitismo (come l’anticristianesimo o l’antiteismo), non ha mai smesso di fomentare la cultura dello scontro ed è un richiamo per tutti, perché il dono della pace e della fraternità diventi il frutto della sofferenza di tanti uomini: e le guerre non fanno distinzioni tra le vittime. Non vogliamo “tirare avanti”: il card. Martini affermava che la via del dialogo ha come posta in gioco “l’acquisizione della coscienza nei cristiani dei loro legami con il gregge di Abramo e le conseguenze che ne deriveranno sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua missione nel mondo d’oggi.” A 60 anni dalla pubblicazione di Nostra Aetate queste parole sono ancora attuali: “Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.” Noi che abbiamo organizzato insieme questo momento, Ebrei e Cattolici, ci crediamo e ringraziamo quanti, come l’UCEI e la comunità ebraica di Napoli, come le diocesi di Catania, Acireale e Caltagirone, hanno voluto e permesso la realizzazione di questo incontro. Ringrazio di vero cuore tutti gli invitati: il rabbino Moscati e il vicepresidente dell’UCEI Disegni come i professori Bonanno e Raspa. Lascio ora la parola a Moshè ben Simon perché presenti i nostri ospiti. E ancora grazie a tutti voi e alla Città Metropolitana che ospita questo incontro.
Ringrazio tutti voi per i vostri interventi e apro il dibattito con una domanda: Quale ricaduta può avere per le nostre comunità il richiamo al Giubileo che stiamo vivendo? Perché è inevitabile che quello che accade nella comunità cattolica non può restare isolato ma richiama tutti, soprattutto coloro che ascoltano ogni settimana la Parola di Dio, che siano ebrei o cristiani di altre confessioni.