“La Croce è la nostra speranza, anzi ne è la sorgente, e il martirio è l’esempio più grande di come si spera nel Signore”. Si è sviluppata su questo tema la catechesi dell’arcivescovo Luigi Renna mercoledì 15 gennaio in Cattedrale in preparazione alla festa di sant’Agata. A tema “Il mistero della Croce e il martirio, segni di speranza”.
Introducendo la sua catechesi, l’arcivescovo ha ricordato che il busto reliquiario della patrona “ha un elemento senza il quale non riusciremmo a capire chi è Sant’Agata: è la Croce che tiene sulla sua destra, come un trofeo di vittoria!”. “Quella Croce gemmata, segno della vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato, – ha proseguito monsignor Renna – è anche il simbolo di un martirio vissuto con la speranza della vita eterna e della risurrezione”.
Nella sua catechesi l’arcivescovo ha sviluppato tre passaggi: “la Croce, strumento di morte infamante; perché Cristo trasforma la croce in segno della sua gloria; guardare alla Croce con gli occhi di Sant’Agata”.
La croce strumento di morte infamante
“Sappiamo bene – ha spiegato l’arcivescovo – che la condanna a morte più infamante, nell’impero romano, era quella che Gesù aveva subito, la crocifissione e quindi la fede in un “dio crocifisso” era un’assurdità. (…) La Croce era davvero uno scandalo!”. E anche oggi essa si manifesta motivo di scandalo e di incomprensione. “Eppure- ha detto l’arcivescovo – Gesù ha trasformato la croce nel segno della sua gloria e della sua vittoria, la stessa che noi possiamo rappresentare “gemmata” come nel busto reliquiario di Sant’Agata”.
Perché la croce di Cristo è gloriosa
Quale speranza nasce dalla croce? A questa domanda, l’arcivescovo ha risposto citando il Vangelo di Giovanni: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto“. E ha ripreso le parole di Papa Francesco: “Gesù ha portato nel mondo una speranza nuova alla maniera del seme: si è fatto piccolo piccolo, come un chicco di grano; ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi: è “caduto in terra”. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra. Proprio lì, nel punto estremo del suo abbassamento – che è anche il punto più alto dell’amore – è germogliata la speranza (…) questa speranza è germogliata proprio dalla forza dell’amore: perché l’amore che “tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7), l’amore che è la vita di Dio ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. (…). “La speranza supera tutto, perché nasce dall’amore di Gesù che si è fatto come il chicco di grano in terra ed è morto per dare la vita e da quella vita piena di amore viene la speranza” (Francesco, Udienza generale, 12 aprile 2017)”. Non basta però guardare alla Croce, “il Signore Gesù – ha aggiunto monsignor Renna – ci ha chiesto di rinnegare noi stessi, prendere la croce e seguirlo ( cf. Mt 16,24). È quello che hanno fatto i santi, i martiri in particolare, prendendo la croce di dover rischiare per la loro fede, fino a mettere in pericolo la propria vita”. “Quella croce in mano a Sant’Agata – ha spiegato – è il segno della sua sequela e della sua vittoria”.
Guardiamo alla Croce con gli occhi di Sant’Agata
“Quando è andata incontro alla morte – ha detto l’arcivescovo – Sant’Agata avrà avuto presente certamente, davanti agli occhi, il mistero della Croce. Quante volte avrà ascoltato i racconti della Passione di Gesù e nel carcere si è identificata nel Cristo Crocifisso”. E ha concluso: “come il martire Stefano, anche Sant’Agata imitail Cristo Crocifisso perdonando i suoi carnefici. Nel martire troviamo l’esempio più grande del cristiano davanti al mistero della Croce: essa diviene il “passaggio” dalla morte alla vita, davanti al quale non si teme più nulla. Guardiamo alla Croce con gli occhi della martire Agata, e impariamo ad andare incontro ad ogni difficoltà, persino incontro alla morte, con la fiducia nella forza dell’Amore che traspare dalla Croce di Cristo”.