di don Dario Sangiorgio

Tra i segni che accompagnano il Giubileo, la “porta” occupa un posto di particolare rilievo: l’apertura e la chiusura della Porta Santa della Basilica di San Pietro segneranno, rispettivamente, l’inizio e il termine dell’Anno giubilare. La porta non è un semplice elemento architettonico, ma anche una realtà dotata di forte carica simbolica: alla sua funzione di permettere o impedire l’ingresso in un luogo circoscritto sono legati, infatti, i temi contrapposti dell’accoglienza o del rifiuto, dell’incontro o della separazione.

La porta si apre per permettere a qualcuno di entrare nella propria casa, ma anche, in una certa misura, nella propria vita; la porta può essere chiusa per porre un argine – di natura fisica, ma anche esistenziale –  tra sé e l’altro. Nell’Antico e nel Nuovo Testamento l’immagine è molto ricorrente: numerosi sono i riferimenti alle “porte della città” (Dt 17,5; Pr 1,21; Ez 48,31), con particolare attenzione alle “porte di Gerusalemme” (Ne 7,3; Ger 1,15; Lam 4,12); grande importanza è riservata, inoltre, alle “porte del Tempio” (1Cr 9,23; Ez 44,11). Si tratta, certo, di strutture “materiali”, ma intese anche metaforicamente: esse, infatti, definiscono l’identità di un luogo, o di un popolo, distinguendoli da tutto ciò che è esterno o estraneo ad essi. Si riscontra, inoltre, un uso traslato del termine “porta” come elemento di contatto tra l’uomo e la sfera del divino: «[Giacobbe] ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”» (Gen 28,17). Nel libro dell’Esodo, la porta assume un intenso valore religioso in riferimento alla Pasqua: «Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti; allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire» (Es 12,23); in questo caso, è descritta una funzione “difensiva”, tuttavia va notato che la protezione offerta dalla porta non è attribuita alla sua “robustezza”, ma al sangue dell’agnello pasquale. Il valore “cultuale” dell’immagine trova espressione nel Sal 117 (118),19-20: «Apritemi le porte della giustizia: vi entrerò per ringraziare il Signore. È questa la porta del Signore: per essa entrano i giusti»; il duplice riferimento alla giustizia richiama la necessità di un culto autentico, accompagnato dall’impegno morale: solo esso fa entrare in comunione con Dio.

Il valore simbolico della porta nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento, la dimensione simbolica giunge a pienezza. Il passaggio attraverso la porta raffigura le esigenze della vita  cristiana: «Entrate per la porta stretta […]. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita!» (Mt 7,13-14). La porta chiusa può rappresentare l’intimità con Dio nella preghiera umile: «Entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6); altrove, invece, essa è segno della salvezza perduta: «Mentre [le vergini stolte] andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa» (Mt 25,10; cfr. Lc 13,25). Anche la fede suscitata dalla predicazione apostolica è definita “porta”, in quanto fa accedere gli uomini alla salvezza: «[Paolo e Barnaba] riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Il simbolo ricorre più volte nel libro dell’Apocalisse (3,8.20; 4,1; 21,12s.15.21.25; 22,14); è utilizzato, tra l’altro, per indicare la possibilità, data a ogni uomo, di accogliere liberamente Cristo nella propria vita: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20).

Gesù, “porta” verso il Padre

L’immagine raggiunge il suo culmine nel vangelo secondo Giovanni: «Chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore […]. In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore […]. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (10,1-2.7.9). La porta si carica,qui,di una forte connotazione cristologica, indicando la stessa identità di Gesù: egli, il «buon pastore» (Gv 10,11),è al tempo stesso «la porta delle pecore» (v. 7), ossia la sola via di accesso al Padre (Gv 14,6: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»).

Per ogni discepolo, attraversare la Porta Santa durante il Giubileo significa ricordare che «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27; cfr. Gv 14,8-11); il Padre ci ha aperto la porta nel Figlio Unigenito, «unico mediatore fra Dio e gli uomini» (1Tm 2,5).

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