«L’Università sia luogo di speranza»: affermava monsignor Renna durante l’omelia della messa con la comunità accademica dell’Ateneo di Catania, celebrata il 12 dicembre nel Santuario diocesano di san Michele Arcangelo ai Minoriti. «La speranza – aggiungeva riferendosi al tema del Giubileo ormai alle porte – nasce da un cuore che palpita, si relaziona, esce dal suo individualismo, incontra e trasforma».
Lo diceva ai docenti, ai direttori di dipartimento, al rettore e alla prorettrice. Senz’altro agli studenti, vero cuore pulsante di una comunità accademica.
E sono tanti – circa quarantamila – gli iscritti ai corsi di laurea dell’Ateneo catanese, provenienti per gran parte da Catania città, dalla provincia o da diversi territori della regione.
Nonostante negli ultimi anni l’offerta didattica di Unict sia cresciuta notevolmente, attraendo numerosi studenti stranieri nei loro percorsi Erasmus, e non solo (c’è chi si iscrive regolarmente ai corsi erogati dall’Ateneo catanese, soprattutto nelle facoltà STEM), molti dei giovani sopracitati – ed è cosa nota – decidono di avviare o continuare “in magistrale” la loro carriera accademica altrove.
In molti casi, però, si tratta di scelte maturate a partire da un incontro e un’esperienza vissuti nel luogo natìo, come le storie che qui vi raccontiamo.
Teresa: «A Pavia ho rischiato me stessa nei rapporti, grazie a ciò che ho lasciato a Catania»
Teresa studia Matematica in magistrale a Pavia. Dalla sua infanzia, grazie alla sua famiglia, ha sviluppato il suo percorso di fede nel movimento di Comunione e Liberazione.
Esperienza, quest’ultima, che continua a seguire anche lì: «Inizialmente ero un po’ timorosa di lasciare Catania e una base forte e sicura di amici. Ma sapevo chi lasciavo, e che mi avrebbero supportato. Il bel rapporto che mi lega ad alcuni di loro non si è mai affievolito, nonostante la lontananza dei primi mesi a Pavia. È stato un grande punto di forza. Adesso avevo davanti altre persone con cui condividere il quotidiano. Ho iniziato a rischiare tutta me stessa – aggiunge – in un luogo che non conoscevo e nei rapporti, a partire dalle mie coinquiline».
Rischiare se stessi in tutto, spiega Teresa «è qualcosa che puoi fare soltanto se hai una base solida. Quando sono arrivata a Pavia – spiega – sapevo che, ancor prima del CLU, avrei incontrato sin da subito i miei colleghi. Tutti i gruppetti erano principalmente formati da gente che aveva già fatto insieme la triennale; spesso, vedendoli all’opera, mi sentivo in difetto e mi dicevo: “non sono alla loro altezza, non ho la loro stessa brillantezza…” Mi buttavo giù, ma poi, memore di ciò che mi portavo da Catania, ho iniziato a “buttarmi” anche con loro. Ho trovato un gruppo di amici con cui studio quotidianamente. Capita in molte occasioni di ritrovarmi con uno solo di loro: è un modo per approfondire il rapporto. Spesso scopri che si tratta di ragazzi tali e quali a te, con il tuo stesso desiderio di essere guardati, che non chiedevano altro se non una compagnia. È bello – continua – scoprirsi senz’altro diversi, ma accomunati dallo stesso bisogno».
La vita di Teresa a Pavia è caratterizzata anche da alcuni semplici gesti, per lei importantissimi: «Il pranzo domenicale su tutti: mi fa ricordare ciò che ho lasciato. Provo ogni volta a ricreare quell’ambiente di familiarità e convivialità che avevo a casa. Se c’è una cosa davvero bella che qui ho trovato – spiega – è sapere che ogni sera, quando arrivo in appartamento, c’è qualcuno che mi aspetta e mi chiede com’è andata la giornata. Questa “fortuna” non ce l’hanno tutti i fuorisede, e per me è importante condividerla».
A Pavia, Teresa ha iniziato a frequentare anche le attività della Pastorale universitaria: «Qui tanti carismi si incontrano, si “mescolano”. Facciamo spesso, insieme, l’adorazione eucaristica. È un ambiente in cui percepisci davvero l’unità e la compagnia della Chiesa. Inoltre – conclude sorridendo – il vescovo di Pavia ha un occhio di riguardo per noi giovani: capita che venga volentieri a cena nei nostri appartamenti».
Cristina, studentessa a Dublino: «Cristo è sempre presente, a prescindere dal luogo in cui ti trovi. Il rapporto con Lui ti apre all’incontro con l’altro»
Anche Cristina proviene dall’esperienza del Movimento di CL, ma dopo il liceo ha deciso di intraprendere i suoi studi accademici molto più lontano: a Dublino.
«La mia esperienza di fede – racconta Cristina – è stata un po’ turbolenta negli anni del liceo. Capitava spesso che non volessi andare a messa la domenica, ma a volte era dettato dai compiti da fare. Poi ho iniziato a frequentare GS, invitata ad una giornata di inizio anno: qui ho scoperto che qualsiasi cosa mi portassi dagli incontri con quegli amici mi avrebbe potuto accompagnare durante le mie giornate».
E la scelta di andare a studiare in Irlanda? «Dopo il liceo volevo fare un anno all’estero, per capire – spiega – la strada da intraprendere nel futuro. È successo tutto in maniera molto casuale: sono partita senza pormi più di tanti problemi, e ho iniziato lavorando come ragazza alla pari a casa di una persona che, prima di partire, avevo sentito un paio di volte». La paura era tanta. Ma Cristina ha comunque trascorso quei momenti «con molta tranquillità, consapevole delle difficoltà che avrei dovuto affrontare ma sicura e grata per tutto ciò che avevo già vissuto e che la realtà mi aveva offerto. Con la certezza che, a prescindere dal luogo, Cristo è sempre presente, e lo si può vedere anche dalle tante persone pronte ad accoglierti».
Tra queste ultime c’è Chiara, una docente universitaria: «Quando l’ho conosciuta io non sapevo fosse di CL, e che guidasse il gruppetto del CLU a Dublino. Ho cominciato a seguire le loro attività (sono diventata anche responsabile di comunità), e nel frattempo è maturata la decisione di iscrivermi all’università in Irlanda. Quando mi chiedono perché ho compiuto questa scelta, rispondo sempre dicendo che essa corrisponde di più alla vita che avevo sempre sognato, lontano dalla “stressante” università italiana. Ma la vera risposta è che qui ho incontrato tante persone, soprattutto adulti, che mi hanno ben presto accolto nella loro comunità e mi hanno fatto sentire a casa. L’adorazione eucaristica – conclude -, alla quale non avevo mai partecipato in Italia, mi aiuta tanto: forse, nella difficoltà di essere lontana da casa, riesco a mendicare un po’ di più la presenza di Cristo ed affidarmi a Lui, a chiedere di vederLo nelle persone che incontro o nelle cose che mi accadono durante la giornata. Il rapporto con Lui ti dà la forza di incontrare l’altro, di metterti in gioco».
In foto: Cristina e gli amici del CLU di Dublino