«Comunione, impegno, efficacia, speranza», quattro parole che sintetizzano il lavoro e gli obiettivi che da sempre contraddistinguono – e devono continuare a contraddistinguere – l’impegno dei Santuari italiani.
Ruota attorno a queste parole l’intervento che il Cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha fatto durante la mattinata del 19 novembre scorso nella Cattedrale di Catania, presenziando ai lavori del 58° Convegno Nazionale dei rettori e operatori dei Santuari. Lavori che vedono coinvolte le città di Catania e Caltagirone fino a venerdì 22 novembre 2024, con a tema “Il carisma dei santuari di fronte alle sfide di oggi nell’evangelizzazione”.
Quello di martedì mattina con il cardinale Zuppi era un momento molto atteso: è stato, per i rettori, occasione di riflessione sul contributo che i santuari potranno offrire alla celebrazione del prossimo Giubileo, soprattutto in ordine alla valorizzazione di quell’autentica esperienza di fede che è la pietà popolare.
Oltre a Zuppi erano presenti il “padrone di casa” monsignor Luigi Renna, monsignor Domenico Sorrentino (vescovo di Assisi), Mario Magro (presidente del Collegamento Nazionale Santuari – organizzatore del convegno) e diversi docenti delle facoltà teologiche del Sud Italia.
«La comunione è la cosa più importante»
Il cardinale ha fatto riferimento, all’inizio del suo discorso, ai personaggi della “parabola del figliol prodigo”, avvertendo il rischio di «essere i fratelli maggiori della storia, e non il padre. Spesso si cerca di essere autonomi a livello diocesano e parrocchiale. Ma la comunione fra di noi – in una fase profetica della Chiesa, chiamata a rispondere alle domande di oggi – è la cosa più importante. La gente non ha mai smesso di venirvi a cercare, di bussare alla vostra porta! Il Signore ci riacciuffa in mille modi, e voi riacciuffate in mille modi persone che magari non rivedrete più. Il Signore completa davvero la dimensione verticale della Chiesa, che resta! Per fortuna siamo una famiglia, tutti sono servi e tutti sono fratelli».
«Giovani: la loro domanda di spiritualità è molto profonda»
Un accento, Zuppi, lo ha voluto dare al tema dei giovani e alla loro domanda spirituale: «L’età media di chi frequenta i santuari è in genere “over”. Ma anche gli adulti hanno tanto da guardare al futuro: se gli anziani hanno visioni i giovani avranno visioni. Il problema è l’incontro, far ritrovare se stessi, anche attraverso itinerari che se son veri danno i loro frutti! Se siamo “gratuiti” i nostri giovani tornano, dopo un po’ li rivedrete senza storie. La domanda della spiritualità – continua – è molto profonda: abbiamo, come Chiesa, una ricchezza e una sapienza di spiritualità bellissime. Il danno è non esserci. Il grande sforzo da fare, non per un benessere, è far sentire, far conoscere la nostra forte spiritualità».
«I santuari siano case aperte, luoghi di presente e di futuro»
Il presidente della CEI ha ribadito anche l’importanza, per i santuari, dell’accoglienza: «Le vostre sono case aperte: il Vangelo sta fuori! Se noi lo mettiamo in cassaforte diventa un simulacro. I santuari sono luoghi di presente e di futuro, non delle fortezze da proteggere. Sono strumenti fiduciosi nelle mani della volontà del Padre».
“Pellegrini di speranza” sarà il titolo del prossimo Giubileo: una Chiesa chiamata a mettersi in cammino. E proprio su questo monito si chiude l’intervento di Zuppi: «La speranza nasce dalla fede. L’incontro con il Signore e con l’umanità, attraverso la vostra presenza, genera speranza. I santuari sono luoghi di impegno in cui ci si sbilancia… Sono efficaci perché preparano il futuro. Che dai santuari, proprio come Anna (la madre del profeta Samuele) dopo aver pregato il Signore per la nascita di un figlio, nessuno esca mai triste. Possano questi luoghi continuare a dire: “Spera nel Signore, sii forte”».
«Proprio nelle difficoltà dobbiamo credere alla Luce e sperare»
Abbiamo chiesto al Cardinale di approfondire quest’ultimo tema ai nostri microfoni, specialmente in vista del Giubileo e guardando a ciò che succede attualmente nel Mondo: dalle guerre alle violenze, alla domanda di spiritualità dei giovani: «Proprio nelle difficoltà, nell’oscurità e nel buio – ha risposto – dobbiamo credere alla Luce. Altrimenti, se la speranza è quello che abbiamo già visto, come dice l’Apostolo, non è speranza. A maggior ragione, c’è bisogno di persone di speranza proprio perché c’è molta disperazione, c’è molta angoscia. E la guerra, le guerre, la violenza, l’inquinamento, tanto individualismo che indebolisce, ci rendono ancora più esposti alle tante fragilità. È chiaro che questo – continua – è il problema per i giovani: la spiritualità è essere uomini di pace, artigiani di pace, cominciando dal mettere pace nel proprio cuore».
Foto di: Giovanni Crisafulli