Si terrà a Catania il 7 e 8 novembre presso la Fondazione “Francesco Ventorino” (Piazza San Domenico Savio 8) il Workshop “Prison of peace”. Si tratta di un Programma di sviluppo delle competenze interattive e di gestione dei conflitti all’interno dei contesti penitenziari rivolto agli operatori del carcere (agenti, volontari, educatori) e a tutti coloro, che a vario titolo sono interessati alla “Esecuzione penale sterna”.

Il Workshop che avrà per docent Dimitra Gavriil (giurista e mediatrice, pioniera del programma in Europa) e Arianna Fezzardi (psicologa, dirigente Ass. Libra ETS, è promosso a Catania dalla Fondazione “Francesco Ventorino”, dal CSVE e da Libra ETS.

Il Workshop verrà presentato alla città nel corso di un momento pubblico che si terrà presso l’auditorium della Fondazione Ventorino giorno 6 novembre alle ore 18,30.

Le lezioni, che si terranno presso la sede della Fondazione, hanno lo scopo di insegnare metodi non violenti di risoluzione dei conflitti al fine di migliorare la convivenza tra detenuti e le relazioni con gli operatori penitenziari.

L’obiettivo che Prison of Peace si propone è infatti quello di allenare attraverso la pratica e l’esercizio le competenze relazionali dei partecipanti, attraverso l’ascolto attivo, la capacità di problem solving, la gestione delle emozioni forti, la capacità di abbassare la tensione di relazione, fino a diventare quella terza parte neutra in grado di supportare due persone in conflitto tra loro a trovare una soluzione ai possibili conflitti che troppo spesso nascono dentro le mura del carcere.

Il corso è pertanto rivolto a psicologi, operatori penitenziari, volontari ed a tutti coloro che a qualsiasi titolo sono impegnati nelle attività con i detenuti.

Da questo punto di vista Catania si pone all’avanguardia in Italia per tale specifica formazione, dopo le analoghe esperienze già avviate in alcune strutture penitenziarie del nord Italia (Cremona, Busto Arsizio, ecc.).

Dall’inizio dell’anno sono stati 69 i suicidi dentro le nostre carceri, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2023 e per la prima volta fra le persone che si sono tolte la vita ci sono anche alcuni agenti penitenziari; mentre non si contano più i casi di rivolte con episodi di violenza e danneggiamenti delle strutture. 

Appare sempre più evidente che il sistema giudiziario e delle carceri in particolare non riesce più ad assicurare il pieno rispetto dei diritti sanciti anche per i detenuti dall’art. 27 della Costituzione (le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato), men che mai si riesce ad abbassare la recidiva, che ha raggiunto ormai percentuali elevatissime, fino a sfiorare l’80%.

L’esperienza di Prison of Peace, che nasce in California su iniziativa di alcune detenute, ha dimostrato invece che, per coloro che hanno partecipato al corso, la percentuale di recidiva si azzera quasi totalmente.

Prison of Peace si inserisce nell’ambito dei programmi di Giustizia Riparativa, un tipo di possibilità di gestione dei conflitti derivanti dai reati ancora poco conosciuta, che mette in relazione autore di reato, vittima e comunità.

La recente riforma del processo penale (cd. riforma Cartabia) ha previsto l’accesso agli istituti di Giustizia Riparativa attraverso i Centri per la Giustizia Riparativa, che grazie all’assistenza di uno o più mediatori, hanno la funzione di mettere in relazione, attraverso un incontro libero e dialogico, autore e vittima di reato, allo scopo di ricomporre la frattura causata dal delitto commesso.

L’attuale sistema penale, pur con il ricorso agli strumenti alternativi alla detenzione infatti, non risolve alla radice il problema dell’incontro fra la vittima e colui che ha commesso il reato in quanto chi ha subito un reato resta comunque fuori o comunque marginalizzato dalla possibilità di ricomposizione libera e volontaria della frattura creatasi.

La Fondazione Francesco Ventorino, oltre a gestire un’importante scuola paritaria, ha in affido da alcuni anni una scuola per l’infanzia (Mammola) a San Giovanni Galermo, che rischiava di chiudere per l’assenza di fondi da parte del Comune; e la casa di accoglienza a Motta Sant’Anastasia intitolata al beato Rosario Livatino, che può ospitare fino a cinque detenuti che potrebbero usufruire degli arresti domiciliari, ma che per varie ragioni (assenza di una propria abitazione, impossibilità di usufruire di tale pena alternativa in quanto la propria casa coincide con il luogo dov’è stato commesso il reato) non possono utilizzare tale strumento.

Tutte tali opere sono finanziate dalla Fondazione, con risorse proprie o tramite il ricorso al crowfunding.

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