Prospettive

Rosalba Piazza e gli inizi di Gioventù Studentesca a Catania

di Romano Romano

Rosalba Piazza, deceduta nei giorni scorsi, è stata docente all’Università di Catania. Poi, ha dedicato i suoi studi storici alle civiltà precolombiane e all’evangelizzazione della Nuova Spagna. Ha lavorato in Guatemala e vissuto quasi sempre in Messico a San Cristobal e a Città del Messico.

Rosalba frequentava il liceo Cutelli nell’aula accanto alla mia nella stessa sezione e con gli stessi insegnati.
Ero abituata a vederla fra i suoi compagni in corridoio, con i suoi capelli, tagliati corti, in modo irregolare, un sorriso e uno sguardo leggermente biricchino. Quando però ci ritrovammo insieme in GS – al raggio, agli incontri culturali e alle iniziative caritative a San Cristoforo – lei divenne molto più per me: una presenza costante e sicura.

Era una che pensava molto, con una grande esigenza di verità e di radicalità. Interveniva forse meno di me ai momenti comuni pubblici o anche a scuola, nelle assemblee del Comitato studentesco, che esisteva nella nostra scuola ancor prima dei Decreti Delegati, ma il suo sguardo riflessivo era profondo e lei era esigente con sé e con gli altri. Insomma lei c’era nella piccola, ma combattiva comunità cutelliana che dava il suo contributo alla vita culturale e caritativa dei giovani catanesi.

La comunità organizzava incontri e cineforum e anche noi più giovani ne eravamo parte consapevole e orgogliosa, con un’attività di promozione e di diffusione che portava a riempire i migliori cinema della città per vedere i film impegnativi e poi ampiamente discussi di Dreyer e di Bergman.
Preparavamo anche un giornalino scolastico in cui volevamo dire la nostra posizione e i nostri giudizi, convinti come tutti in GS, di avere qualcosa, anzi molto da dire su tutto e tutti.

Don Giussani, alla cui comunità ci sentivamo di appartenere tramite don Ciccio Ventorino, che ne era diventato grande amico, l’avrebbe poi chiamata “baldanza” e così ci sentivamo nel rapporto con la scuola, la famiglia, le istituzioni, la chiesa, la città e i luoghi del degrado e della povertà.
La sede di GS era sempre strapiena di ragazzi in azione e movimento, pieni di vita e serena allegria.
Dal giornale del Cutelli passammo ben presto, Rosalba ed io, ma non solo noi due, alla redazione del giornale di più ampio respiro e pretesa, che si chiamava Sicilia Studenti.

Ricordo i numerosi incontri per la preparazione dei contenuti da pubblicare e l’estrema serietà di quel lavoro che, pur fatto con l’assistenza costante di don Ciccio, era sulle spalle di ragazzi che avevamo quasi tutti fra i diciotto e i venti anni.

C’era stato infatti un ricambio generazionale e noi eravamo i primi giessini giunti in Università, senza provenire dall’Azione cattolica e, quindi, dalla Fuci di cui don Ciccio era l’Assistente spirituale. Eravamo insomma i nuovi responsabili e tali ci sentivamo rispetto alla nostra vita e al mondo.
L’eco della serietà e qualità del nostro giornale fu tale che fummo invitati, per due anni di seguito, a rappresentarlo in un pomposo ed elegante convegno fiorentino sui giovani, la cultura e la partecipazione politica organizzato dal Movimento Europeo.

Partimmo in quattro da Catania: Rosalba, io, Antonio Di Grado, Nuccio Cucurullo e arrivammo, noi abbastanza hippies e segnati dalle nostre letture e tendenze semirivoluzionarie da teoria della Liberazione, in un albergo di super lusso, fra gente molto seriosa ed impegnata. Devo dire che non ci lasciammo impressionare e partecipammo con molta serietà ai dibattiti, cui eravamo chiamati, difendendo e argomentando le nostre posizioni.

Furono giorni bellissimi, in cui andammo anche in giro in città e nel circondario, Siena e Pisa ad esempio, mentre l’amicizia fra noi si rafforzava e parlavamo di tutto. Fra noi c’era anche il ragazzo di Rosalba, ed anche io non ero sola, essendo stata raggiunta dal mio ragazzo che studiava a Torino.
Il confronto fra noi divenne allora molto intenso anche su questo aspetto della nostra vita e sugli interessi, i sentimenti, i progetti per il futuro.
Intanto scoppiò il ’68 con assemblee, occupazioni e dibattiti anche nella nostra città e università. La seconda annualità di quel convegno dimostrò quindi tutta la sua inadeguatezza ad una realtà sociale e culturale molto più complessa.

Anche la comunità di Gioventù Studentesca partecipò a quanto avveniva in Università ed iniziò fra noi un dibattito molto acceso sulla posizione da tenere e sul giudizio da esprimere. Nell’arco di due anni ci furono letture, confronti, spaccature, con alterne vicende e giudizi.
La questione fondamentale era il ruolo e il compito da attribuire alla politica. Era preminente la scelta di fede? O la politica poteva rappresentare una modalità per abbreviare la strada e affrettare una soluzione alla povertà e al sottosviluppo?

Poi Rosalba, con Maria Grazia Sapienza e Antonio Giacona, fu autrice del libro: “La missione dietro l’angolo” (Jaca Book 1970) che rendeva la vitalità, la forza e il valore della presenza quasi ventennale di GS a San Cristoforo.

Dopo la pubblicazione del libro, il dibattito interno alla comunità divenne sempre più acceso e in breve tempo anche lei assunse una posizione di relativa e maggiore distanza, finché a Pasqua del ’71 non si compì quella esperienza dolorosissima di rottura fra chi restò in GS, affermando la preminenza di Gesù Cristo come Salvatore disarmato, da seguire in una scelta per la povertà e la semplicità di tipo quasi francescano, e chi cominciò a verificare diverse posizioni politiche, più o meno rivoluzionarie.
Ricordo con nettezza la coscienza per cui rimasi con quelli, pochi, che non se ne andarono. Lo feci per la verità e profondità dell’esperienza di fede che avevo vissuto fra il ’63 e il ’71, fra i miei 14 e 21 anni.
E in quella sede di via Ipogeo dove, poco prima e negli anni precedenti, non ci stavamo perché eravamo troppi ed eravamo costretti a fare più turni per realizzare i nostri incontri, ci ritrovammo in poco meno di venti persone. Ricordo il modo con cui ci guardavamo reciprocamente e l’intensità della nostra partecipazione alla preghiera e alla Messa.
Ricominciammo daccapo.

Di Rosalba, dopo qualche mio vano tentativo di contattarla, ho avuto notizie, negli anni, solo per interposta persona, finché non l’ho cercata circa sei anni fa, a partire dalla malattia, che l’ha costretta a tornare in Italia, a Milano.
Di essa abbiamo allora parlato, partendo dal dato, il tumore, che ci accomunava e che ci ha riportato a quel livello non più ideologico di umanità, in cui il dolore e il male non sono solo quelli degli altri, dei poveri e delle strutture ingiuste del mondo, ma sono il tuo dolore di essere umano che si confronta con lo scoramento presente e con i tanti modi in cui hai vissuto nel tempo e nello spazio.

Mi disse quindi della sua paura del dolore fisico e, ancor più, di imbruttirsi, dentro.
Con la sua antica e cara capacità di chiamare le cose con il loro nome e nella loro verità, poi, a me che cercavo di valorizzare ai miei e ai suoi occhi la fedeltà che aveva vissuto per le popolazioni del Messico, ha detto che non aveva fatto granché: in fondo non aveva fatto altro che diffondere la cultura dell’igiene e la realizzazione di gabinetti nei villaggi più sperduti, utilizzando fondi dell’Onu. Poco o niente parlandomi della valente e apprezzata sua attività di storica della evangelizzazione della Nuova Spagna.
Anche in punto di morte, chiedendo a chi le era accanto: allora sto proprio morendo? ha dimostrato di saper aderire alla realtà e di voler fare consapevolmente anche l’ultimo passo.
Questo è il mio ricordo di lei, certo parziale, ma con esso, insieme all’immagine di una sbarazzina che masticava un filo d’erba sotto un albero della nostra Etna, l’affido al Dio della vita che vede, ama e perdona più di noi, piccoli e miopi uomini.

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