Prospettive

Povertà educativa, ascoltare la domanda che ci viene da alunni e famiglie

Nonostante negli ultimi due anni si sia registrato un costante calo del tasso di dispersione scolastica (abbandono precoce del percorso di studi), permangono diversi motivi di preoccupazione: tra questi, quello che riguarda tutte le scuole, in particolare nel Sud e nelle Isole, e cioè la dispersione implicita, cioè quella quota di studenti che, pur completando il ciclo di studi, non riesce a raggiungere competenze adeguate, soprattutto in italiano e matematica. Si ha tante volte la triste consapevolezza che la scuola serva solo a chi non ne avrebbe bisogno e che in ben poche occasioni si registri un effettivo miglioramento negli studenti più in difficoltà. Del resto, sappiamo che c’è una correlazione tra disagio scolastico e origine straniera, da una parte, e basse condizioni socio economiche, dall’altra.

Di fronte a questo, qual è il compito della scuola? Ce lo dice la Costituzione, all’art. 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Ecco, rimuovere gli ostacoli. Quanto carico di malumore, problemi di tutti i tipi, violenza a volte, appesantiscono i nostri studenti e quanto del loro comportamento, della loro demotivazione o scarso rendimento deriva da questo fardello che portano costantemente con sé.  Ci penso, anche riguardo al mio lavoro: il dirigente scolastico – afferma il Contratto nazionale – “promuove l’esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto all’apprendimento degli alunni”. Bene, come fare? Cosa fare quando ci si trova davanti l’alunno che non ascolta, che si nasconde dentro la felpa, che sta sempre in bagno, che fa ritardi e assenze, che colleziona note, che non si fa “acchiappare”?

Se lo chiede, in Elogio del ripetente, Eraldo Affinati, fondatore delle scuola Penny Wirton e da sempre impegnato nel recupero dei ragazzi difficili: “ciò che per il sarto è l’ago e per l’avvocato il codice, per me è lo sguardo abulico, la scarpa slacciata, l’unghia sporca, l’errore ortografico, l’afasia, la dislessia e la noia.”

Prenderci carico dei problemi dei nostri alunni

Sulla base dell’esperienza di questi dodici anni da Dirigente, la prima cosa da fare è prendersi carico del problema. Guardarlo in faccia (perché quello è, una faccia nascosta dentro la felpa) e costruirvi attorno una rete. Prendersi carico vuol dire, infatti, assegnare risorse: prevedere dei responsabili che raccolgano le segnalazioni delle assenze, primo segnale di allarme, che si occupino dei successivi colloqui con le famiglie e, quando necessario, con i servizi sociali, proponendo azioni mirate. Tra queste hanno particolare efficacia la presenza di uno sportello d’ascolto psicologico a scuola e una didattica personalizzata, ritagliata sul singolo alunno in difficoltà. Iniziative come yoga, ippoterapia e cura del verde scolastico fanno la differenza: coinvolgono alunne e alunni in attività rilassanti e divertenti, in cui si viene messi letteralmente in moto e resi protagonisti.

La didattica, lo scheletro dell’ora di lezione, deve adattarsi ai cambiamenti nella soglia di attenzione e alle nuove modalità di approccio alla conoscenza che caratterizzano ragazze e ragazzi, scendendo dalla cattedra e superando la prevalenza della lezione frontale: tutti gli alunni vanno messi al lavoro, senza accontentarsi della pronta risposta dell’alunno più bravo. Va particolarmente curato anche il momento della valutazione, che deve essere davvero formativa e non punitiva: le cose cambiano quando l’alunno viene incoraggiato innanzitutto da uno sguardo su di lui che non ha perso la speranza.

Per recuperare chi resta indietro, insomma, è necessario che il team di classe lavori di comune accordo nella stessa direzione. Ancora una volta, risorse, orientate al compito di rimuovere quegli ostacoli di cui ci parla la Costituzione. Persone che si occupano di persone, al di là delle singole strategie e idee più o meno vincenti. Quando questo accade può succedere che l’alunna svogliata, la cui principale attività era stata sonnecchiare sul banco, richiamata per l’ennesima volta, esclami: “Prof, ma è bello stare attenta!” Può succedere che l’alunno bocciato ti ringrazi perché finalmente “ha capito” e che la peggiore della scuola ritorni a trovare i vecchi insegnanti mostrando le pagelle con i bei voti.

foto di Ester Musumeci

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