Quando nel maggio 1971, monsignor Domenico Picchinenna giunse a Catania come vescovo coauditore con diritto di successione, l’impressione che ha dato immediatamente è stata quella di un pastore tra la gente, ma in modo semplice, diremmo “feriale”. Anche attraverso piccoli gesti, egli dimostrava l’attenzione che aveva verso le persone: si trattasse dei preti oppure dei laici. Un’attenzione che era accompagnata da una sua prodigiosa memoria per cui ricordava tempo, luogo e circostanza di ogni avvenimento. Così, ad esempio, tanto per citare un episodio che mi tocca da vicino, appena 15 giorni dopo la sua successione a monsignor Bentivoglio (16 luglio 1974), mi telefona per chiedermi di benedire le prossime nozze di mia sorella, dando questa motivazione: “E’ la prima coppia di fidanzati che ho conosciuto subito dopo il mio arrivo a Catania”.
Aveva partecipato al Concilio Vaticano II
Questo vescovo deceduto il 25 ottobre di 20 anni fa, era un pastore con “l’odore delle pecore”, per usare un’espressione oggi cara a papa Francesco, era anche un pastore umile, dall’aspetto dimesso, segnato anche dalla semplicità e povertà del suo stesso abbigliamento: la sua veste talare nera, senza fascia né bottoni rossi e le sue semplici camicie mai con polsini d’oro o d’argento; la sua veste rossa delle cerimonie mostrava di aver fatto il suo tempo. Inoltre, era schivo dall’apparire a certe manifestazioni mondane, alle quali alcuni soggetti erano soliti invitare il vescovo. Questi tratti, presi nel loro insieme, facevano capire come monsignor Picchinenna avesse assimilato alcune istanze del Concilio Vaticano II, al quale aveva partecipato come vescovo.
Il profilo di Mons. Picchinenna ha anche la caratteristica dell’ascolto. Tu potevi parlare con lui del tuo problema ed egli ti ascoltava in silenzio, attentamente, come se al mondo ci fossi solo tu. Quando terminavi ti dava le sue risposte oppure temporeggiava, quando non era sicuro della decisione da prendere. Anche questo aspetto, ho potuto sperimentare personalmente, quando per la prima volta gli chiesi di mandarmi parroco in periferia. Dopo avere a lungo esposto la mia richiesta, le mie motivazioni, la mia visione di Chiesa, egli mi disse: “Adesso ci pensiamo e preghiamo”. E così, tra un colloquio e un altro, passarono due anni, prima che egli, compiuto il suo discernimento, mi nominasse parroco a Zia Lisa.
Il caso del Seminario
L’ascolto si traduceva anche nei confronti del presbiterio, quando si trattava di prendere decisioni fondamentali per la nostra Chiesa. Cito l’esempio del nostro Seminario. Quando l’Arcivescovo coadiutore arrivò a Catania, il nostro Seminario attraversava un momento di crisi (come d’altronde succedeva, dove più e dove meno, in tutti gli altri seminari italiani). Il Seminario si era andato svuotando e, pertanto, non aveva più i numeri di un decennio prima, quando i seminaristi erano quasi duecento. In diocesi, molti preti e laici avevano posto il problema e avevano avanzato l’ipotesi di vendere l’edificio e trasferire i pochi seminaristi rimasti in altri locali più adatti alla nuova situazione. La proposta veniva caldeggiata anche per il fatto che la facoltà d’ingegneria dell’Università di Catania era interessata all’acquisto dell’immobile. Mons. Picchinenna volle ascoltare il clero attraverso un questionario, inviato a tutti ma, allo stesso tempo, colse l’occasione per affrontare in maniera globale il problema del Seminario: formazione, strutturazione della vita seminaristica, età di ingresso e quindi tenere ancora oppure no il seminario minore. A tal proposito, egli volle che si organizzasse un Convegno di tre giorni, nel periodo delle vacanze di Natale del 1971 (quindi appena sei mesi dopo il suo arrivo a Catania). Il Convegno fu molto partecipato come presenze, ma anche come coinvolgimento nelle discussioni, animate, direi “infuocate”: la vivace dialettica di quei giorni, pur con posizioni diverse, dimostrava quanta sensibilità e interesse ci fosse per il problema, sentito come fondamentale per la vita della comunità diocesana. La decisione della stragrande maggioranza del presbiterio fu quella di non vendere l’edificio del seminario (anche perché non bisognava, si disse, dimenticare i sacrifici e la generosità di tante persone, che avevano dato i loro contributi economici per la realizzazione del seminario, avvenuta subito dopo la seconda guerra mondiale). Il Seminario non fu venduto, come sappiamo, e in quel Convegno furono proposti alcuni suggerimenti per adattare la vita e la formazione dei seminaristi alle mutate condizioni dei tempi.
Il laicato cattolico e i movimenti
La promozione del laicato cattolico, con le sue varie espressioni di movimenti, di associazioni, fu il campo in cui Mons. Picchinenna concretizzò la lezione conciliare sulla dignità di cui è rivestito ogni battezzato. Quando, nel luglio 1988, la signora Adriana Paternò, segretaria della Consulta dell’Apostolato dei laici, nella celebrazione tenuta in Cattedrale, rivolse il suo saluto di ringraziamento all’Arcivescovo Picchinenna, che lasciava la nostra diocesi per raggiunti limiti d’età, il suo discorso, molto toccante, fu una eloquente testimonianza di quanto i laici avessero apprezzato l’azione del loro Pastore, finalizzata alla loro valorizzazione e al loro coinvolgimento nella vita e nella missione della Chiesa.
In questo orizzonte, dobbiamo ricordare che con Mons. Picchinenna, per la prima volta, si cominciarono a immettere i laici nell’insegnamento della religione nelle scuole, in modo organico e non in modo episodico, qualcuno ogni tanto, come avveniva in quel periodo. L’Arcivescovo affidò a un’equipe di sacerdoti il compito di collaborare con il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano sia perché si creasse un percorso di formazione ad hoc e sia perché fossero elaborate delle norme per regolare la selezione e l’accettazione dei futuri insegnanti. E così fu redatto un Regolamento, approvato dall’Arcivescovo, con un piano di studi teologici specifici, le scadenze degli esami, i requisiti per l’ammissione.
Gli anni eroici dell’Azione cattolica
Ma mi sembra importante sottolineare che questa sensibilità per il laicato, in Mons. Picchinenna, aveva radici lontane, risalenti ai primi anni del suo sacerdozio, allorché nella sua diocesi di origine era stato Assistente dell’Azione Cattolica, formando schiere di laici, alcuni dei quali tradussero la loro fede nell’impegno politico attivo, come, ad esempio, il senatore Emilio Colombo. C’è da dire che don Domenico aveva anche degli amici che erano figure di spicco nella Chiesa, per il pensare in grande e per il loro impegno culturale, come ad esempio don Giuseppe De Luca, storico e letterato, fondatore delle Edizioni di storia e letteratura e dell’Archivio italiano per la storia della pietà.
1984, il Messaggio alla Comunità per una città oppressa dalla violenza
Il “Messaggio alla Comunità” (5 aprile 1984), con la denuncia dei mali della nostra Città, firmato da Mons. Picchinenna, dal vescovo ausiliare Pio Vigo e dal Consiglio presbiterale, “ebbe vasta risonanza, anche nella stampa laica nazionale”, come scriveva lo stesso Arcivescovo nella sua Lettera pastorale “Conversione e servizio” (Quaresima 1985). Infatti, con il documento la Chiesa di Catania reagiva di fronte all’acuirsi della criminalità organizzata che, tra il 1982 e il 1983, aveva fatto registrare nel catanese 183 morti ammazzati, riducendo Catania ad una città “che ormai vegeta e langue in un ristagno pressoché generale”, anche a causa della “partitocrazia e delle lotte correntizie dentro gli stessi partiti”(così nel Messaggio). Da aggiungere che il documento è stato anch’esso frutto di un prolungato ascolto. Infatti, l’idea di un Messaggio era stata proposta nel Convegno pastorale diocesano del 9 settembre 1983, e poi “per mesi era stato discusso ed elaborato dal Consiglio presbiterale”. Inoltre, il documento venne ripreso nelle varie realtà ecclesiali della diocesi ed ebbe un momento culminante nel Convegno diocesano (2 e 3 gennaio 1985): “La Chiesa di Dio che è in Catania: Quali attese? Quali risposte?”. In tale occasione, le rappresentanze di tutte le componenti ecclesiali ebbero modo di confrontarsi ed elaborare delle proposte, che furono valutate da Mons. Picchinenna, il quale poi le presentò al Consiglio presbiterale. L’Arcivescovo concludeva così: “ […] il cammino del popolo di Dio che è in Catania deve continuare nell’umiltà e nella carità per farsi carico della realtà umana di Catania, a partire dagli ultimi”.
Il ruolo dei laici, la Pastorale sociale e la comunicazione
E bisogna aggiungere che quanto adesso detto impegnava soprattutto il laicato cattolico, chiamando in causa la sua responsabilità per la missione da portare avanti nel mondo, accogliendo le sfide del territorio. Tenendo presente, il dato di fatto che “i laici numericamente sono la quasi totalità della Chiesa”, evidenziava l’Arcivescovo prima di indicare le scelte concrete che, a tal proposito, la Chiesa di Catania stava per compiere. Mi limito a indicarne due: 1) costituire l’Ufficio diocesano di “Pastorale sociale”, sia per formare i laici al pensiero sociale della Chiesa, sia per stimolare l’azione delle realtà ecclesiali nel sociale. Insieme si sarebbero istituiti altri due uffici: quello per la “Pastorale del Lavoro” e quello per “la Giustizia e la Pace”. (Nel corso degli anni, la CEI ha unficato i tre uffici, aggiungendo anche quello della “Salvaguardia del creato”). Nel giro di alcuni mesi, i tre uffici furono realizzati. 2) l’Arcivescovo notava ancora: “La Chiesa Catanese è molto vivace ed attiva. Ma è muta”, e pertanto annunziava che a breve la comunità diocesana avrebbe avuto “la sua emittente radiofonica” e il suo settimanale (la commissione poi proporrà di denominarlo “Prospettive”). Da notare, infine, che la Lettera pastorale lodava l’impegno delle parrocchie di periferia, le quali devono affrontare “problemi sociali di estrema gravità” e, molto spesso, sono “unica vera presenza di servizio all’uomo e unico centro di promozione umana”. Pertanto, l’Arcivescovo esortava queste comunità a “promuovere dei convegni zonali per studiare alcuni problemi e prospettarne a chi di dovere le soluzioni” e, allo stesso tempo, auspicava che l’Arcidiocesi attuasse una concreta solidarietà, anche economica, con queste realtà parrocchiali.
Vorrei concludere ricordando che il tempo dell’episcopato di Mons. Domenico Picchinenna risentiva ancora fortemente degli echi del Concilio Vaticano II, che egli cercò di tradurre sia con lo stile della sua vita personale sia cercando di mettere sulle sue tracce la comunità diocesana, perché ne fosse improntata fortemente la sua fisionomia ecclesiale. Ma la domanda che sorge spontanea è: quanto ad oggi è stato recepito il Concilio, quali resistenze vi si oppongono? Non sono domande retoriche, se pensiamo che Giovanni Paolo II aveva sollevato la stessa questione in due documenti “Tertio millennio adveniente” (n 36), in preparazione al Giubileo del 2000, e “Novo millennio ineunte”(n 57), nel primo auspicando per la Chiesa “un serio esame di coscienza”, che spaziava dalla centralità della Parola di Dio alla liturgia, dall’ecclesiologia di comunione, e quindi alla valorizzazione dei vari carismi e ministeri, fino al rilancio della varie forme di partecipazione del Popolo di Dio. E dopo l’anno giubilare, rilanciava la domanda: “E’ stato fatto?”, questo esame di coscienza.
foto di Nuccio Condorelli
A conferma del buon laicato svolto dal pastore Domenico Picchinenna , posso raccontare che in quel periodo ero vice presidente del Circolo ACLI ” Achille Grandi ” di via Belfiore 63 Catania , abbiamo invitato l’Arcivescovo a venirci a trovare per dare un segnale di presenza in quel quartiere noto ancora oggi per i suoi disagi , non solo è venuto nella nostra sede , ma è stato il primo a dire Messa ed autorizzare altri sacerdoti a fare lo stesso per essere sempre vicini alla gente del posto.
Non ho conosciuto mons. Picchinenna perchè vivevo fuori Catania. Il bellissimo articolo di don Piero ci ha fatto vivere la figura e l’intensa attività pastorale di questo vescovo.