Invito alla lettura dell’antologia “Ascolterò gli angeli arrivare” (Crocetti Editore, 2024).

La poesia può provare a spiegare il mistero della vita? No, non è suo compito. Ma per il fatto stesso di esistere la poesia interroga e dà voce al mistero della realtà. Senza mai addentrarsi in spiegazioni, perché non è tenuta a farlo. In tal caso si estinguerebbe sin dal primo verso.
Perché questo fenomeno umano primordiale che è l’arte della parola da sempre è destinato ad “altro”, a lasciare spazio alla voce di quest’alterità di cui è piena l’esistenza. Un’alterità che accade nei versi che si fanno strumento esplorativolasciandosi ferire dal dono rinnovato della parola, mossi da una tensione conoscitiva che possiamo rintracciare in tante esperienze poetiche in corso. In questo senso è da segnalare l’emblematica testimonianza dei versi di Jon Fosse, Premio Nobel per la Letteratura 2023.

Versi oggi riconsegnati al lettore grazie alla puntuale traduzione di Andrea Romanzi che ha di recente curato l’antologia  di Jon Fosse “Ascolterò gli angeli arrivare” (Crocetti Editore, 2024), un volume antologico che comprende in ordine cronologico le liriche composte dallo scrittore norvegese nel trentennio 1986-2016. Una raccolta di raccolte che indica già nel titolo la dimensione che contraddistingue, insieme alla visione, l’intera poetica di Fosse: l’ascolto.

L’ascolto dei segni che vivono in un inspiegabile silenzio

Perché nella produzione poetica dello scrittore norvegese ogni verso chiede e allo stesso tempo apre all’ascolto di segni che vivono nel silenzio.Come recitano i versi di una poesiache appartienealla raccolta “Cane e Angelo” del ‘92:
“questo inspiegabile silenzio / gli altri una volta l’hanno spiegato, questo / inspiegabile / calore / che nessuno può / trovare, questo inspiegabile respiro / che tutti abbiamo visto / nello sguardo dell’altro / e lì, nella loro erba alta, qualcuno ha trovato / il proprio volto / di nuovo. Forse è di questo / che si tratta / senza farlo / È questo che facciamo / È questo che ancora e ancora racconteremo / e che mai potrà essere raccontato / È questo che siamo e che facciamo”.

Siamo questo inspiegabile. Da questa considerazione trae linfa la poetica di Jon Fosse che risponde in fondo ad uncompito ben preciso richiamato nelle riflessioni del pittore Paul Klee quando afferma che “l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.
C’è in tutta larealtà, epure in noi che ne facciamo parte, un inspiegabile.
C’è, anche se non lo sappiamo spiegare. E l’arte se ne fa – nei suoi molteplici modi – espressione.

A partire da questa evidenza le poesie di JonFosse accolgono la presenza di ciò che non cogliamo immediatamente tramite la comune percezione sensoriale.
È l’esperienza terrena di chi dentro la mancanza rintraccia la presenza di chi non c’è più fisicamente: “ascolterò gli angeli che provengono dai miei amici morti”, recita lapidario il verso iniziale di una lirica che evoca ciò che nella realtà esiste oltre il sensibile.
Un oltre che in Fosse non è mai al di là del reale ma è al suo fondo e rivive grazie all’evocazione  – un chiamare fuori dal fondo della realtà – che conduce Fosse e i suoi lettori alla riscoperta della natura fonica degli angeli – etimologicamente i portatori dell’annuncio -valorizzandone la funzione originariadi messaggeri.

Così leggendo Fosse ci troviamo al cospetto di una poesia che spalanca la finestra dell’umano sull’insondabile di cui è piena la realtà, fino a scandagliarnegli estremi di vita e morte attraverso una scrittura che viaggia tra i paesaggi nordici dell’infanzia caratterizzata in particolare dagli amati fiordi, limite naturale della vertigine e legame indissolubile tra mare, terra e cielo.
Una scrittura che respira tra gli anfratti del verso costellato di pause, cesure e frequenti ripetizioni che reiterano come un’eco ricordi, amplificano sogni e desideri del poeta rivelando il lato inedito della realtà. Silenzi che spesso divaricano l’interno delverso con spazi tesi a generare di pausa in pausa unritmo ben preciso, un andamento – a tratti apparentemente straniante – che riflette l’inquietudine esistenzialedell’uomo contemporaneo tramite un verso mai chiuso dove risuonal’inspiegabile.

L’altrove che il cuore da sempre brama

Un verso indomabile come quel dolore che reclama un senso per chi non c’è più e invoca ancora una volta l’ascolto degli angeli arrivare da quell’altrove, il dove dell’Altro che – come per il viaggio dantesco -il cuore dell’uomo da sempre brama.
Poesia come luogo del mistero che fa del poeta lo strumento privilegiato per annunziareciò che proviene da questo altrove e che induce persinolo stesso Fosse a chiedersi “chi sta scrivendo? sono io/ oppure c’è qualcuno che scrive dentro di me e che / scrive ciò che io scrivo / attraverso di me”.

Intuizioni geniali scritte in versi, quesiti che riguardano una consegna, come un dettato o un incarico che attraverso la scrittura riflette un rinnovato impegno dell’arte dentro un mondo bersagliato da drammi mai spenti, guerre e violenze quotidiane.
Consegna che guarda all’arte cometerrachiamata alla missione e alla testimonianza e che lo stesso Fosse guardando alla propria esperienza creativa ha confermatoin una recente intervista: “spero che in mezzo alla solitudine di tutti, la scrittura sia una luce dentro le tenebre”.
Una sensibilità cristallina che dice di una preoccupazione per il mondo intero. E che in occasione dell’assegnazione del Nobel ha portato lo scorso anno Papa Francesco a congratularsi con l’artista norvegese con la fiducia che “la sua capacità di evocare la grazia, la pace e l’amore di Dio Onnipotente nel nostro mondo, così spesso oscurato, arricchirà sicuramente le vite di quanti condividono il pellegrinaggio della fede”.

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