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Becher: «Nato e cresciuto a Catania, ma “italiano” da un anno»

«Credo che chi nasce in un territorio (ad esempio l’Italia) e vi cresce, non può aspettare anni affinché lo Stato lo riconosca suo cittadino». Sono parole di un diciottenne, matricola di Informatica all’Università di Catania, in merito al caldo dibattito degli ultimi tempi sul cosiddetto “ius scholae”. 

Si chiama Becher: nato a Catania da genitori marocchini e cresciuto nel capoluogo etneo, dove ha frequentato tutte le scuole dalle elementari all’istituto tecnico informatico. Lo incontriamo tra gli edifici della Cittadella universitaria, poco prima di una lezione. Una delle prime.

Colpisce anche il suo desiderio di conoscere meglio il suo interlocutore: più domande da parte sua che quelle preparate per lui.

Le sue parole sopracitate non sono riportate a caso, perché Becher ha una storia da raccontare; senza rinnegare le sue origini, spiega: «Io mi sento più italiano che marocchino. Ho sviluppato un forte senso di appartenenza all’Italia, sono cresciuto qui, ho tutti gli amici di Catania. In questi anni – continua – ho vissuto tantissime belle esperienze e fatto tanti incontri importanti nella mia vita. Nel quartiere in cui vivo, i Cappuccini, ho incontrato e conosciuto gli amici dell’omonima associazione, ormai molti anni fa. Sono stati punti di riferimento nel mio percorso di crescita, soprattutto – spiega – alle medie, quando non avevo voglia di studiare e mi hanno aiutato ad andare avanti. Senza il loro aiuto e la loro amicizia oggi, probabilmente, non sarei iscritto all’Università». 

Nonostante abbia sempre vissuto qui (sarà stato in Marocco una decina di volte in vita sua), Becher ha ufficialmente ottenuto la cittadinanza italiana un anno fa, al compimento dei diciotto anni e dopo un iter burocratico pressoché infinito.

Ciò che egli dice a riguardo può aiutare a riflettere sulle opportunità che chi nasce in Italia da genitori italiani ha dal primo giorno di vita, e spesso considera scontate e banali: «Da quando ho ottenuto la cittadinanza posso viaggiare tranquillamente in Europa e non solo. Posso andare anche in Marocco tutte le volte che voglio. E soprattutto, adesso non devo fare più ciò che con mia madre abbiamo dovuto ripetere ogni quattro anni: rinnovare il permesso di soggiorno».

Proprio in questi giorni, come scritto sopra, Becher ha frequentato le sue prime lezioni universitarie. Ci ha raccontato il contraccolpo con questa nuova realtà: «I professori sono molto più preparati di quelli che magari avevo a scuola, e si vede. Hai una totale libertà, sei tu a decidere se e come andare avanti. L’ambiente è molto bello, sono contento di essere qui per imparare. È stato piacevole incontrare nuovamente un professore che avevo alle superiori, e che da qualche anno insegna una materia qui. Legare con alcuni colleghi è stato semplice: condividiamo le stesse passioni». Vorremmo intrattenerci ancora un po’ nella discussione, ma l’orario della sua lezione si avvicina. Salutiamo Becher, dopo avergli chiesto “una foto per la stampa” davanti al luogo che per i prossimi tre anni («Per la magistrale si vedrà») vivrà ogni giorno, come molti suoi coetanei nati e cresciuti in Italia. Come lui.

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