In piena età giolittiana, Catania vive un tempo di grande fermento politico e sociale. Emerge, in questo periodo, la figura di un prete-sindacalista che diventa protagonista dell’organizzazione del moderno proletariato urbano, sulla scorta dell’impulso dato da papa Leone XIII con la Rerum Novarum del 1891. Si chiama Giuseppe Di Stefano (1883-1924), nome ormai perlopiù dimenticato, di cui l’11 settembre di quest’anno ricorre il centesimo anniversario della morte.

Tra il socialista De Felice Giuffrida e il cardinale Francica Nava

In una Catania in vibrante sviluppo, tra esplosione demografica derivata da processi di trasformazione fondiaria dell’hinterland e nascita del proletariato urbano, s’innesta l’azione di modernizzazione voluta da Giuseppe De Felice Giuffrida, sindaco già nel 1902 e definito il “viceré socialista”,che punta alla municipalizzazione dei servizi pubblici. Al sogno defeliciano di gestire le masse operaie sul duplice fronte – politico e sindacale tramite la locale Camera del lavoro -, marginalizzando al contempo il peso del movimento cattolico etneo, si contrappone il cardinale Francica Nava, vescovo di Catania, che ridona vigore alla presenza pubblica dei cattolici. A cogliere le potenzialità di questo nuovo protagonismo dei cattolici nella vita politica della città è proprio Giuseppe Di Stefano, conosciuto nel movimento cattolico isolano già a partire dal 1908 per un comizio a sostegno dell’agitazione degli zolfatai. Andando a sfidare i defeliciani sul loro terreno – quindi rompendo il tradizionale ruolo del prete dedito esclusivamente alla carità -, Di Stefano non dimentica la sua missione sacerdotale: “Noi vogliamo […] il miglioramento economico delle classi diseredate ma non questo soltanto – riporta Giuseppe Di Fazio nel volume Giuseppe Di Stefano – Cattolici e mondo operaio a Catania (SEI, 1997) -. Il miglioramento morale e religioso delle masse è uno dei principali scopi del nostro movimento”. È una chiave di lettura del pensiero del sacerdote che “faceva proprie le istanze di tipo sindacale – scrive Di Fazio – e, al tempo stesso, mostrava un’attenzione ai bisogni degli operai che nasceva dal desiderio di difenderne i diritti e di riconquistarli alla Chiesa”.

Don Alfio Carbonaro: Di Stefano punto di riferimento per l’impegno del mondo cattolico etneo

Il suo esempio permane come riferimento per il clero catanese. “Il contesto in cui operava don Di Stefano è certamente diverso dall’attuale – spiega don Alfio Carbonaro, direttore dell’ufficio dei problemi sociali e del lavoro dell’Arcidiocesi di Catania -, però ancora oggi, così come emerso anche alle settimane sociali di Trieste, c’è la necessità dell’impegno dei cattolici in ambito politico e sociale e quindi anche noi sacerdoti siamo tenuti a garantire presenza e partecipazione. In quest’ottica, seguendo peraltro le indicazioni di papa Francesco che ha sempre sottolineato come i cattolici ‘devono fare politica’, Di Stefano è certamente un modello per il nostro tempo, proprio per la sua attenzione ai temi sociali e per la cura e difesa dei lavoratori, senza cadere nel coinvolgimento a livello partitico”.

Ripercorrere la breve e intensa vita del prete sindacalista, scomparso ad appena quarantuno anni, significa incrociare i personaggi di riferimento della classe politica cattolica del tempo, come don Luigi Sturzo, ma anche rileggere i più importanti e significativi eventi del primo Novecento. Dall’agitazione degli operai dell’industria dello zolfo con la proclamazione dello sciopero al coinvolgimento delle categorie operaie più moderne e battagliere, come i tranvieri, desiderosi di gestire gli aspetti normativi e organizzativi del lavoro attraverso un sindacalismo più maturo e consapevole, sulla scia di quanto inaugurato dall’Unione cattolica del lavoro. Un’azione pratica con una visione articolata sulla “questione siciliana” che per il don era gravata da due grandi problemi: le politiche governative inadeguate nei confronti del Mezzogiorno insulare e l’inerzia di proprietari e classi dirigenti isolane.

Dopo la prima guerra mondiale e il tramonto definitivo dell’idea di Catania come la “Milano del Sud”, Di Stefano continua la sua infaticabile opera in una dimensione che travalica i confini regionali, venendo chiamato, nel 1919, a far parte della commissione esecutiva nazionale della Conferenza italiana del lavoratori. Tra la fine del primo conflitto mondiale e l’avvento del fascismo, il modello del prete sociale comincia un lento declino, rimandando al nascente Partito Popolare Italiano, fondato nel 1919 e di cui Giuseppe Di Stefano diventa primo segretario cittadino, le questioni politiche da distinguere dalla dimensione del movimento ecclesiale. Combattivo fino alla fine, Di Stefano, nel successivo contesto politico dominato dal fascismo, si trova a fare i conti con la nuova linea della Chiesa, impegnata a proteggere dalle grinfie del regime innanzitutto la libertà religiosa ed educativa. Muore l’11 settembre del 1924, dopo una breve malattia. 

Maurizio Attanasio (Cisl): Sturzo e Di Stefano punti di riferimento per il nostro sindacato

A distanza di un secolo dalla morte, lo stile del prete sindacalista riecheggia nel sindacalismo contemporaneo. “La dottrina sociale della Chiesa è un riferimento fondativo per il nostro sindacato – evidenzia Maurizio Attanasio, segretario generale di CISL Catania -. Ancora oggi, il richiamo alla responsabilità della politica e alla partecipazione dei lavoratori nell’ambito dei processi decisionali si rifà alla spinta morale di don Luigi Sturzo oltre che alla Costituzione. Un elemento corroborato dalla presenza, nel corso della nostra storia, di diversi preti sindacalisti impegnati in prima linea nella lotta di classe tra padroni e operai. In particolare nel dopoguerra, nella difesa dei diritti e della dignità dei lavoratori. Costoro hanno operato anche nel solco tracciato, nella Catania di primo Novecento, proprio da don Sturzo prima e poi dall’azione sociale di don Giuseppe Di Stefano, il prete sindacalista”.

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