Foto: Siciliani-Gennari/SIR
Se quest’anno ci si è proposti di andare alla ricerca dell’essenziale, l’anno prossimo ci aspetterà un Meeting ancora più “ambizioso”: «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi» è il titolo scelto per la 46ª edizione della kermesse riminese, che si svolgerà dal 22 al 27 agosto 2025. È un verso dei Cori da “La Rocca” di Thomas Stearns Eliot.
«Il Meeting di quest’anno ci ha sorpreso per l’intensità della partecipazione, la forza delle testimonianze, la profondità delle riflessioni e l’apertura al mondo» ha detto Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, a chiusura di questa edizione e presentando il titolo di cui sopra.
Ed è proprio vero: quest’anno la partecipazione è cresciuta del 10% rispetto al 2023; le testimonianze sono state davvero tante (praticamente impossibile seguire tutti gli incontri), alcune delle quali davvero toccanti, e capaci di riaprire la crepa da cui può uscire la luce della speranza anche nei cuori più “cinici” e rassegnati: l’incontro di apertura con il cardinale Pizzaballa, quello con l’autore di Apeirogon Colum McCann e i due protagonisti del suo libro Rami (israeliano) e Bassam (palestinese). Due storie davvero incredibili che ci insegnano come «Se esiste l’impossibile, allora deve esserci anche il “possibile”. Ci può essere pace». Ne abbiamo parlato anche in questo articolo.
O ancora, l’incontro del cardinale Matteo Zuppi (presidente della Cei), che ha dialogato con Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa (segretario generale della Lega Musulmana Mondiale) sull’educazione al dialogo e alla conciliazione, dicendo: «La riparazione è l’arte di Dio, condizione base per la voglia di costruire ponti che accomuna il popolo di Cl». L’incontro integrale lo si può recuperare qui.
C’erano ben 16 mostre (anche quelle, purtroppo, richiedevano tempo per essere viste tutte): forti testimonianze di vita e di fede, come quella del chirurgo servo di Dio Enzo Piccinini o del beato Franz Jägerstätter – che fu condannato a morte per aver rifiutato di arruolarsi nell’esercito nazionalsocialista durante la Seconda Guerra Mondiale – e di Franziska, sua moglie (qui un articolo-intervista con uno dei curatori della mostra); o ancora quella su Alcide De Gasperi; percorsi nella storia: toccante la mostra sulla “tregua di Natale” del 1914, qualche mese dopo lo scoppio della Grande Guerra; percorsi nell’arte di William Congdon e nella letteratura di Pär Lagerkvist; testimonianze da Russia Cristiana e del lavoro svolto dal Progetto Arca negli ultimi trent’anni; un percorso scientifico sulle origini della Terra, e non solo; una bella mostra sulla nascita dei Giubilei, in preparazione all’Anno Santo 2025… e tanto altro.
C’erano anche maxi stand dedicati a questo o a quel ministero, Salvini che si fa scattare una foto sul trattore di Confagricoltura, punti stampa dedicati quasi esclusivamente a politici venuti a presenziare in fiera, alcuni annullati anche all’ultimo momento per “indisponibilità” del soggetto intervistabile. Il gruppo Whatsapp dei giornalisti, in quei giorni, fioccava di audio e lanci di agenzia che riguardavano in larga parte interventi di un vicepremier o di un ministro – l’attenzione della stampa si è concentrata sulla presunta “crisi di governo” a causa delle divergenti opinioni di Tajani e dei leghisti sullo Ius Scholae -, solo qualche lancio di agenzia con alcuni stralci di intervento da incontri affini a quelli di cui sopra.
La verità è che, chi ha vissuto il Meeting dall’interno (non solo da stampa e telegiornali) ha dedicato un’attenzione abbastanza ridotta al mondo della politica, per come lo intendiamo. Niente applausometri né contestazioni. Non perché i politici non ne meritassero, ma perché il Meeting – parafrasando un’analisi di Paolo Viana su Avvenire – trova nell’amicizia, nell’incontro, e nell’abbraccio di chi la pensa diversamente dei doni spensierati. «Chi entra nel programma del Meeting – si legge – è accolto non solo perché è diverso ma perché ha qualcosa di interessante e costruttivo da dire […] L’alternativa a questo stile di esplorazione missionaria sarebbe la selezione per appartenenza, la chiusura settaria, la dinamica amicus-hostis, che per l’appunto fonda la politica, particolarmente quella fine a se stessa. Invece, il Meeting vive anche di politica e anche senza la politica. Perché la politica non è tutto. A Rimini come nella vita».
Si vive di politica, ma senza la politica: il titolo del prossimo anno sembra dire tanto su questo. Ci dice che lì dove sembra non sorgere nulla, se non il deserto, siamo chiamati noi per primi a costruire. Costruire il meeting, come tanti volontari – soprattutto giovani – hanno fatto da 45 anni a questa parte, e continueranno a fare fin quando ci saranno le forze per realizzarlo. E da ciò imparare a costruire il dialogo, la pace, la speranza. Con mattoni nuovi.