Stanchezza, pienezza, gratitudine: le tre parole che mi vengono in mente tornando in albergo dopo una giornata al Meeting. Già, perché se ieri ci siamo un po’ contenuti, trascorrendo solo mezza giornata, il racconto che segue ripercorre un arco di tempo di 13 ore e mezza: dalle 10.30 a mezzanotte. Una lunga, bellissima, giornata.

Il sole cocente e l’umidità di un mattino riminese di fine agosto non perdonano: alla Hall sud – dove alcuni volontari ti consegnano il quotidiano del Meeting con Avvenire all’interno – è un continuo chiedersi «Ma quando ci fanno entrare?»

Si entra, finalmente: mi fiondo alle mostre, dove per la visita guidata servono le cuffiette per ascoltare le guide dai ricevitori audio (evitando così che debbano urlare per farsi sentire). Le cuffie non le ho, ma le posso acquistare in uno dei punti “Dona ora”, dove mi chiedono se voglio donare il resto che mi spetterebbe alla Terra Santa: quest’anno parte delle donazioni, che contribuiscono alla realizzazione di ogni nuova edizione della kermesse di CL, saranno devolute ai territori martoriati dal conflitto israelo-palestinese. Un’iniziativa che la Fondazione ha preso a seguito dell’incontro inaugurale con monsignor Pizzaballa.

La mostra che visito è quella su Alcide De Gasperi (di cui ricorrono i 70 anni dalla morte avvenuta il 19 agosto 1954), curata da alcuni studenti di Storia alla Statale di Milano e dalla fondazione dedicata al grande statista: un viaggio tra le tappe importanti della sua vita da politico e da cristiano, con un importante accento sul “sogno europeo” che ha condiviso con Adenauer e Schuman, che lui chiamava innanzitutto amici.

Nemmeno il tempo di finire il giro tra i pannelli della mostra ed è già ora di pranzo: al Meeting c’è l’imbarazzo della scelta tra punti ristoro con piatti tipici delle varie regioni italiane (Bar Alcamo e Rossasera, la cooperativa da cui nasce il “bar”, sono l’orgoglio siciliano che spicca a ripetizione in un filmato negli schermi della piazza “Compagnia delle Opere”), hamburger, pizze… opto per una leggerissima piadina kebab.

Nel frattempo si fanno le 15. Nell’immenso auditorium Isybank sta per iniziare uno degli incontri più importanti di questo Meeting: sul palco c’è Colum McCann, scrittore irlandese, l’israeliano Rami Elhanan e il palestinese Bassam Aramin: entrambi padri di famiglia, entrambi una figlia uccisa dai rispettivi eserciti avversi, entrambi protagonisti di un romanzo di McCann che, dunque, racconta una storia più che mai vera. “Apeirogon” racconta dell’amicizia nata tra loro due, dopo aver superato i rispettivi lutti, e i pregiudizi e le idee dettati dalla mentalità comune.

Sono loro due – che più di tutti tra i presenti in sala hanno subito gli effetti devastanti di un lungo conflitto che non accenna a terminare – a parlare di speranza, rispetto, ascolto e dialogo con il diverso… e ad auspicare alla soluzione di due popoli e due stati. È Rami, l’israeliano, ad affermare con forza e convinzione l’urgenza di «rispettare i palestinesi, conoscerli e fornire loro un’identità nazionale». A dir poco stupendo. È possibile recuperarlo integralmente qui.

Dopo l’incontro McCann e i due si fermano per firmare le copie del libro. Ne approfitto anche io: non posso fare a meno di essere colpito dalla loro pazienza e dedizione nel dover affrontare così tanta gente, desiderosa di stringere loro la mano e ringraziarli per la loro testimonianza. Poi ripenso che loro hanno dovuto affrontare anche di peggio.

Il tempo di rifiatare: poi bisogna correre all’arena Tracce (la rivista del Movimento, che quest’anno compie 50 anni). C’è il pienone per la presentazione di “E voi chi dite che io sia”, il podcast con la voce di don Luigi Giussani, dove il fondatore del Movimento, in vari momenti di vita di quest’ultimo, racconta la figura di Gesù Cristo e la Sua capacità di trasformare radicalmente le vite dei primi che lo incontrarono. Sarà disponibile da settembre sulle principali piattaforme streaming.

Si è fatta ora di cena: alle piscine Ovest si esibisce una tribute band di Vasco Rossi (così, dopo Guccini, alcune testate giornalistiche grideranno allo “scandalo” sapendo che c’era il pienone e che anche i ciellini ascoltano e cantano a squarciagola le canzoni del Komandante).

Mi dimeno tra Albachiara e la “Tregua di Natale”, ovvero la mostra “1914. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale”: il racconto del Natale del 1914 nelle trincee e della tregua (durata alcuni giorni) tra i soldati tedeschi e quelli inglesi. Il tutto narrato attraverso le testimonianze e le lettere dei protagonisti. La dimostrazione che anche una festa, che celebra un avvenimento di duemila anni prima, è capace di porre fine anche alle ostilità tra nemici giurati (che avrebbero poi ripreso a combattere).

Non resta che tornare in camera d’albergo per scrivere questo pezzo e riposare: ma prima ci si unisce ai canti intonati da volontari e non, che riempiono le varie navette di linea per rientrare ciascuno alle proprie “basi”. Da “O’ surdato nnamurato” si va “Sul pajon”. Si canta, nonostante la stanchezza visibile. È festa, e lo sarà fino a domenica 25 (per noi fino a domani, e saremo qui a raccontarvi).

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