I catanesi in festa accorrono numerosi all’annuale ricorrenza estiva del ritorno delle reliquie di Sant’Agata da Costantinopoli a Catania. Molti di loro sono affiancati dai parenti emigrati che rientrano per le ferie e vengono gioiosi a vedere la loro “Santuzza”. Ma quest’anno c’è anche un alone di tristezza tra i fedeli, soprattutto tra i fedeli più vicini al loro Arcivescovo: sono rattristati dalla malattia improvvisa che ha colpito Mons. Luigi Renna, che non ha potuto guidare le celebrazioni ed è stato sostituito dal vicario generale don Vincenzo Branchina.

Dentro la cattedrale, prima delle celebrazioni, non si parla d’altro. Ci si chiede come sta adesso l’arcivescovo, quanto tempo ci vorrà per riprendere appieno la sua attività di pastore. In questi due anni Monsignor Renna ha lavorato alacremente al servizio della comunità religiosa e civile catanese. Ha donato la sua opera senza mai mancare ad alcun impegno, senza trascurare nessuno. Ciò mai per superbia, ma solo per dedizione sincera e spirito di servizio verso questa cittadinanza martoriata dalla delinquenza, il lavoro nero e la dispersione scolastica. La sua momentanea assenza preoccupa chi lo conosce bene, perché ci si è affezionati alla sua presenza e ai suoi messaggi. Ma è proprio l’arcivescovo con un messaggio scritto in ospedale e  letto dal vicario generale Branchina all’inizio della concelebrazione solenne a rassicurare tutti: “Una volta ristabilito, continuerò a dare cuore, mente, energie, sebbene con prudenza, per evitare ulteriori problemi di salute”.

Rammaricato per la sua assenza alle celebrazioni, il Vescovo ha voluto salutare i fedeli catanesi con un messaggio carico di fede ed espresso con parole semplici e sincere. “Ho imparato due cose – scrive -:Dire al Signore sia fatta la tua volontà, con quell’abbandono che Sant’Agata ci insegna nel suo martirio e considerare quanto siano preziosi i sentimenti di fede, di pazienza, di speranza di chi è debole e malato.I malati di ogni tipo sono le persone che più ci insegnano queste virtù.” Queste parole hanno colpito i fedeli e li hanno invitati a comprendere, sull’esempio della martire Agata, cosa vuole il buon Dio da ciascuno di noi.

La fede ci aiuta a vivere le prove della vita

Quante volte nella prova la nostra fede ha vacillato e ci siamo chiesti perché questo Dio, padre amorevole, ci manda tanta sofferenza. Che cosa vuole da noi? Perché non le manda alle persone cattive? Ma chi ha fede in Dio Padre e conosce bene la storia della martire Agata sa che Egli manda le prove per insegnarci a vivere e ad agire nel modo giusto, per diventare più forti nella fede e migliori nel carattere. Chi soffre non è uno sfortunato, ma un prescelto ad accrescere la sua pazienza, la sua speranza e la sua fede. Chi ha sofferto comprende e rispetta il dolore altrui e sa dare amore al suo prossimo. Questo è uno degli obbiettivi del cristiano: amare il proprio prossimo. Ma non c’è amore senza sofferenza. Questo il nostro pastore metropolita lo sa bene.

Cambia il senso della festa

Alla luce del messaggio dell’Arcivescovo di Catania, il senso della festa cambia. C’è la gioia, ci sono i canti, le invocazioni dei fedeli, i fuochi d’artificio. Ma ora siamo più consapevoli che Agata è una martire della fede. Dunque l’augurio del Vicario, don Vincenzo Branchina, è di imparare dall’esempio di Sant’Agata per saper donare amore ai nostri fratelli, aver cura della nostra casa comune e pregare Dio affinché ci tenga lontani da ogni male del corpo e dello spirito.

Foto di Giovanni Grisafulli

A seguire l’omelia pronunciata dal Vicario Generale

Carissimi fratelli e sorelle, distinte autorità civili e militari,

carissimi presbiteri, diaconi, religiose e religiosi.

Quando è stato presentato il programma dell’anniversario del “ritorno” delle reliquie della nostra patrona, il nostro Arcivescovo ci ha ricordato la necessità di “ritornare” a riscoprire ed accogliere sempre più ciò che stava a cuore a sant’Agata e dovrebbe stare a cuore ad ogni “devoto”, ad ogni cristiano: rimanere uniti a Cristo.

È Lui che ci conduce al Padre e ci dona la possibilità di vivere come fratelli. Per questo è necessario riscoprire il valore della preghiera.

Se la nostra fede in Cristo e la nostra devozione in Sant’Agata non sono radicate nella pre- ghiera, che è il respiro dell’anima, non possiamo realizzare la nostra chiamata alla santità, nostro vero “destino”.

Spesso dimentichiamo che Gesù stesso è “uomo di preghiera”.

Nonostante l’urgenza della sua missione e l’impellenza di tanta gente che lo reclamava, Gesù sente il bisogno di appartarsi nella solitudine e di pregare. L’intima e profonda relazione con il Padre, è il vero segreto di Gesù.

Gli apostoli lo capiscono e per questo un giorno gli chiedono: Signore, insegnaci a pregare

(Lc 11,1).

Loro non hanno bisogno di formule da recitare, sono pii israeliti, conoscevano e pregavano i salmi, ma sentono la necessità di essere introdotti nella stessa intimità che Lui aveva con Dio. Per questo motivo Gesù consegna loro la preghiera del Padre Nostro. Tale consegna viene fatta anche a noi, mediante il ministero della Chiesa, il giorno del nostro Battesimo.

Poter chiamare Dio Abbà, Padre, significa entrare in quella confidenza che toglie ogni forma di paura. Dirà Gesù nel clima dell’ultima cena: Non sia turbato il vostro cuore ma abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Gv 14,1). E San Paolo ci ricorda: Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15).

Ora, la condizione necessaria per rivolgerci a Dio chiamandolo Padre è riconoscersi fratelli tra di noi.

Vorrei soffermarmi solo su due richieste della preghiera del Padre Nostro: “Venga il tuo regno” e “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Venga il tuo regno

All’inizio della sua predicazione Gesù proclama un lieto annuncio: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15), ovvero che è possibile un cambiamento nella storia.

Ma il regno che Gesù è venuto a portare non segue le categorie di questo mondo. Si tratta di un “regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace” (cfr. prefazio della Solennità di Cristo Re dell’Universo) che solo “i poveri in spirito” possono accogliere (cfr. Mt 5,3).

Infatti, solo essi riescono a comprendere, nella loro condizione, la differenza tra ciò che ne- cessario e ciò che è superfluo, perché l’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali e che periscono (Sal 48,13).

Nel discorso della montagna Gesù invita a cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia

perché tutto il resto ci verrà dato in aggiunta (cfr. Mt 6,33).

Salomone il giorno della sua intronizzazione chiese al Signore: Concedi al tuo servo un cuore che sa ascoltare per poter rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male (cfr. 1 Re 3,9).

Nelle scelte che ogni giorno siamo chiamati a fare, anche noi abbiamo bisogno di stabilire un ordine di priorità. Per questo è necessario avere occhi per vedere e orecchie per ascoltare il grido di chi ha fame e sete di giustizia (cfr. Mt 5,6).

Tanti santi, anche nella storia recente, hanno saputo vedere e ascoltare la sofferenza degli uomini e, senza fare nessuno sciopero, nessun proclama, hanno sfamato, in modi diversi, la loro fame (vedi il beato cardinale Dusmet, il beato giudice Livatino, il beato don Pino Puglisi, Santa Teresa di Calcutta).

Chiedendo “Venga il tuo Regno!”, stiamo dicendo: “Padre, abbiamo bisogno di Te! La nostra città di Catania ha bisogno di Te”.

Il regno di Dio si è fatto presente in Gesù, Re dell’Universo, ma il mondo è ancora segnato dal peccato: venti di guerra continuano a soffiare vicino a noi e anche nella nostra città di Catania c’è tanta sofferenza, povertà, criminalità, dispersione scolastica.

Nel “messaggio alla città” dello scorso 4 febbraio il nostro Arcivescovo ci invitava a vivere secondo lo stile del «Padre Nostro» non fuggendo dal nostro ruolo di protagonisti della vita sociale.

Accogliendo il Regno di Dio nella nostra vita personale “riscopriamoci popolo che costruisce la sua città attraverso un noi comunitario partecipando alla cura delle nuove generazioni”.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

La seconda parte della preghiera del Padre Nostro “parte da una domanda impellente, che assomiglia molto all’implorazione di un mendicante” (Papa Francesco, udienza generale, mercoledì 27 marzo 2019).

Questa richiesta proviene da una evidenza che spesso dimentichiamo, ovvero che noi siamo creature e tutti i giorni abbiamo bisogno di nutrirci. Chiedere il pane vuol dire ammettere di avere un bisogno e ci fa fuggire dalla presunzione dell’autosufficienza.

Nell’episodio della moltiplicazione dei pani il “miracolo” nasce dallo sguardo pieno di com- passione di Gesù verso le folle; dopo aver sfidato i discepoli di dare loro da mangiare, Gesù non “crea” dal nulla il pane, ma moltiplica il poco che è stato messo a disposizione.

È vero che sono tanti i bisogni del mondo e anche della nostra città. Sant’Agata invita cia- scuno di noi a mettere a disposizione ciò che noi abbiamo e ciò che noi siamo perché il Signore lo moltiplichi e a nessuno manchi il necessario.

Non dobbiamo dimenticare che il pane è “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” e la terra non porterà alcun frutto, se non riceve dall’alto sole e pioggia.

Alla sinergia tra doni di Dio (seme, sole e pioggia) e il lavoro degli uomini si contrappone l’idolatria della ricchezza presente nel cuore superbo dell’uomo.

È innegabile che dietro il cambiamento climatico, la siccità in cui ci troviamo, c’è anche l’in- curia degli uomini che non si prendono cura della casa comune.

Non è questo il contesto per analizzare le cause, ma nel chiedere il pane quotidiano, pre- ghiamo il Signore che ci doni l’acqua e ci impegniamo allo stesso tempo a custodire il creato.

Concludo citando ancora una volta ciò che il nostro Arcivescovo ha detto presentando questa giornata: prepariamoci all’Anno Santo riscoprendo il valore della preghiera che Sant’ Agata come cristiana imparò e che la sostenne nel martirio.

Sant’Agata, insegnaci a pregare Dio come hai fatto tu perché possiamo seguire le tue orme nella via della santità.

Don Vincenzo Branchina

Mons. Vincenzo Branchina Vicario Generale

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