La 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”, che si è conclusa a Trieste la scorsa domenica, ha suscitato tanti fermenti che attendono di essere sviluppati per una rinnovata e più incisiva presenza dei cattolici nella vita politica del nostro Paese.

Bisogna dire che un primo segnale positivo è stata la presenza di molti giovani, tanto più se la confrontiamo con i dati del largo astensionismo alle elezioni europee. Ma affinché  tutto non si riduca ad una semplice presenza ad un importante evento, allora bisogna adoperarsi per una seria formazione politica dei giovani affinché siano educati al gusto della partecipazione. Papa Francesco, nel suo intervento a Trieste, citando come modello Giorgio La Pira per la sua capacità di “organizzare la speranza”, ha esortato il laicato cattolico italiano ad organizzare “progetti di buona politica che possono nascere dal basso”. E poneva una domanda: “Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani?”.  E, a sua volta, anche Mons. Renna, presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, indicava come prospettiva quella di “far nascere e accompagnare vocazioni alla vita politica, e che questa non resti estranea alla vita cristiana”.

Un Cantiere di formazione anche per i giovani

 Nella nostra diocesi, secondo me, data l’esperienza del seminario di formazione all’impegno sociale e politico, portata avanti molto bene già da due anni dal “Cantiere per Catania”, vi sono le premesse affinché si organizzi la “scuola di formazione all’impegno sociale e politico”, con ritmi più frequenti (ovvero con cadenza settimanale e con l’articolazione di una serie di discipline). Nel passato, fino a circa un decennio fa, da noi questa formula ha attratto parecchi giovani, di cui qualcuno, già più cresciuto, adesso collabora con il “Cantiere per Catania”.

La Rete di Trieste

Inoltre, tra le altre cose che sono emerse, c’è da segnalare, a mio avviso,  un altro dato molto interessante che, se sviluppato adeguatamente, potrà davvero dare una svolta significativa alla stanca politica italiana. Si tratta del documento, firmato da circa 80 amministratori locali, da cui è nata la cosiddetta “Rete di Trieste”. Nel documento si afferma che i proponenti, nonostante la diversa appartenenza partitica, si impegnano a portare avanti un dialogo costruttivo in vista del bene comune. Anzi, sottolineano, proprio “a partire dalla sinfonia delle nostre differenze”, vogliamo avviare un dialogo che “scardini la rigidità delle appartenenze”. Il primo obiettivo è quello di  “costruire dal basso nuovi spazi di buona socialità e innovativi strumenti di democrazia che superino la stanchezza di una partecipazione che è oggi davvero ai minimi storici”. C’è la consapevolezza, spiegano nel documento, che questo tempo aspetta dai cattolici impegnati in politica “parole e opere di Speranza”, nel solco di una lunga e interessante tradizione da rinnovare. Sostanzialmente sono tre gli impegni della Rete: 1) “continuare il lavoro di scambio e condivisione sui temi concreti legati ai territori”. E a tale scopo, per consolidare ed estendere la Rete, viene proposto, per il prossimo autunno, un incontro nazionale fra le tante realtà che recentemente si sono esposte sulla scena pubblica. 2) Focalizzare alcune priorità: “giustizia sociale e innovazione del welfare, sostenibilità ambientale, centralità delle famiglie e della scuola, accoglienza e integrazione, cura e valorizzazione degli strumenti di partecipazione alla vita democratica”. 3) “Fare del magistero sociale di papa Francesco l’elemento unificante per l’impegno dei cattolici in politica”. Questo terzo aspetto sembra recepire quanto, già nel giugno 2023, Francesco aveva scritto ai membri del PPE esortandoli ad avere per il loro impegno politico come “bussola la dottrina sociale della Chiesa”. Per Mons. Renna, si tratta  “di cominciare un percorso necessario”, affinché i cattolici presenti nei vari schieramenti politici si aprano al confronto e non restino ostaggio delle ideologie. In altri termini, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, i cattolici dovrebbero essere capaci di svincolarsi dagli ordini di scuderia dei partiti per portare avanti tutti quei valori profondamente umani (la vita, la famiglia ecc) e tutto ciò che riguarda la giustizia sociale, il lavoro, il rispetto della dignità di ogni persona, che rendono la società degna dell’uomo. Tutto ciò non equivale a immaginare un nuovo partito cattolico, oggi superato dalla Storia, ma si tratta di discernere concretamente come i cattolici debbano offrire a tutto il Paese il loro contributo di idee, e non per porre bandierine, bensì per promuovere il bene comune, che come affermava Benedetto XVI è bene di tutti e bene di ognuno. E su questa linea, citando  la Settimana Sociale del 1945, lo stesso Mattarella ha precisato: il “bene comune” che non è il “bene pubblico” dell’interesse della maggioranza , ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso”.

Devo riconoscere che l’iniziativa della Rete mi ha fatto molto piacere e ben sperare, perché la vedo in sintonia con la proposta che, come ricorderanno i nostri lettori, avanzavo nel mio articolo del 16 giugno scorso, partendo da un passaggio del documento della CESi sulle elezioni europee: “Per una scelta consapevole sarebbe opportuno condividere spazi di incontro e dialogo finalizzati alla edificazione del bene comune, soprattutto innestando fiducia e speranza nel cammino verso l’Europa rinnovata”.

Favorire forum e tavoli di dialogo

A tale scopo, sottolineavo, occorre favorire concretamente la creazione di forum, tavoli di confronto e altre iniziative di dialogo, affinché la diversità di appartenenze partitiche non impedisca ai cristiani la possibilità di costruire progettualità comuni, ispirate alla visione cristiana dell’uomo e ai principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa. Il magistero sociale degli ultimi Pontefici ha sempre messo in guardia i cattolici italiani, dopo la fine della D.C., dalla tentazione della “diaspora”, che faceva ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, mettendo da parte gli insegnamenti e i principi della dottrina sociale della Chiesa. Su questa argomento sono intervenuto, qualche giorno dopo, durante un incontro con i presbiteri della città, presieduto da Mons. Renna, auspicando che i vescovi siciliani incoraggiassero i laici dei movimenti, delle aggregazioni laicali a porre mano per la creazione di questi luoghi di incontro.  Aggiungo che, a mio avviso, nella nostra diocesi di Catania si trova un buon terreno dove potrebbe attecchire bene l’iniziativa della Rete di Trieste. Anche su questo punto mi riferisco al protagonismo del nostro laicato cattolico allorché vennero elaborati i due documenti “Non possiamo tacere” (in vista delle elezioni politiche e regionali del 2022) e “Un Cantiere per Catania” (per le elezioni comunali del 2023). Le due iniziative hanno visto convergere gruppi, movimenti, associazioni ecc. in un dialogo fecondo per il raggiungimento di un obiettivo comune. Mi sembra che anche adesso il gruppo di laici del “Cantiere per Catania” potrebbe avviare questo processo di riaggregazione del mondo dell’associazionismo cattolico per dare un apporto qualificato e costruttivo  alla Rete di Trieste.

Penso di dover dire che il discorso del Papa e quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che Renna ha ben definito: “un esempio di cattolicesimo riuscito nelle istituzioni”) abbiano rafforzato il desiderio di quelli della Rete, di mettere su l’iniziativa di cui abbiamo parlato. Infatti, sia Francesco che Mattarella hanno messo sotto gli occhi di tutti la grande storia del movimento cattolico che ha avuto un’espressione significativa con le Settimane Sociali. Se la comunità cristiana saprà mettere in  campo iniziative di educazione all’impegno politico e se la Rete di Trieste sarà una rete sempre più larga e inclusiva, allora si può davvero sperare in una guarigione (anche se lenta e difficile) della democrazia che “non gode di buona salute” come diceva Francesco a Trieste. La sfida per i cattolici è quella di essere capaci non solo di dialogare tra loro ma anche con gli altri che hanno visioni diverse del mondo, cercando sagge e intelligenti mediazioni. E d’altronde, la Dottrina sociale della Chiesa, che è fondata sulla Parola di Dio, ma si serve anche delle scienze umane e dell’apporto di altre discipline per saper leggere i fenomeni della storia e potere dire quella “sola parola” (cf. Sollicitudo rei socialis 41), che tocca a lei, può diventare “occasione di dialogo sociale”, come sottolineava a Trieste Mons. Renna. Ciò si fonda sulla dimensione universalisticadella dottrina sociale della Chiesa: essa può costituire una piattaforma su cui possono convenire gli uomini di buona volontà, a prescindere dalla fede professata, per scoprire valori condivisibili sul piano umano e razionale e così gettare le basi di  una società più giusta e fraterna, a misura d’uomo (cf. Congregazione per l’Educazione cattolica, Orientamenti per lo studio della Dottrina sociale). E papa Francesco a Trieste ha incoraggiato a procedere in questa direzione: “promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona”.

Il quadro tratteggiato a Trieste impegna tutti a “battersi affinché non vi possano essere analfabeti di democrazia”(come ha detto Mattarella).  Certamente siamo di fronte a un compito oggi più che mai difficile, ma, se con Papa Francesco, vogliamo “una democrazia dal cuore risanato”, allora dobbiamo continuare “a coltivare sogni per il futuro”, mettendoci in gioco, in un “coinvolgimento personale e comunitario. Sognare il futuro. Non avere paura”.

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