Prospettive

Si chiude la 50ª Settimana Sociale, ma il Papa esorta i cattolici: «Abbiate il coraggio di avviare processi»

Mi perdoneranno i lettori, ma per scrivere l’ultima puntata del diario sulla Settimana Sociale avevo bisogno di recuperare tutte le forze dopo il rientro. D’altronde, i quotidiani cattolici fanno riposo domenicale, quindi anche i dipendenti.

Battute a parte: l’ultima è stata una giornata davvero intensa, l’ultima della 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia, a Trieste. 

Innanzitutto per gli orari: sveglia alle 5.30, colazione alle 6 e mezz’ora dopo già in navetta con la valigia pronta. Destinazione: il Generali Convention Center.

Arriviamo, e con grande stupore apprendiamo le particolari misure di sicurezza: dobbiamo lasciare i bagagli in un enorme magazzino, compresi gli zaini, le bottigliette d’acqua e le borracce. Possiamo, però, portare la borraccia marchiata “Settimana Sociale” e la bag che ogni delegato ha ricevuto in dono, tra i numerosi gadget, il primo giorno. Misure “curiose”, ma ad ogni modo efficaci. 

Effettivamente non ne abbiamo mai parlato: ciascun delegato ha ricevuto una bag dal design unico. Circa un migliaio di borse uguali ma diverse, realizzate da Lister, una sartoria sociale del luogo, con il contributo dell’8×1000.

Il cardinale Zuppi e monsignor Baturi sono già pronti, in tenuta ufficiale; con loro anche monsignor Luigi Renna. Alle 7 i delegati riempiono già quella che in questi giorni è stata la Plenaria. Circa un’ora dopo ecco arrivare il grande ospite atteso, il motivo della levataccia (che, comunque, ha dovuto fare anche lui partendo da Roma): papa Francesco. Arriva in sedia a rotelle, gli hanno preparato una postazione per poter intervenire dal posto. Prima di lui, i saluti di Zuppi e Renna.

Dal suo messaggio ai delegati, trasmesso in diretta su Tv2000, recuperabile anche on demand, sono rimasti a chi scrive diversi appunti: anzitutto, quella esortazione ad un metodo – già accennato anche da Mattarella e da diversi relatori nel corso di questi giorni – che i cattolici dovrebbero utilizzare nel loro lavoro sociale e politico: «Da parteggiare a partecipare, da “fare il tifo” a dialogare» (mi ricordano parole che scrissi in un pezzo, relativo alle proteste universitarie di un paio di mesi fa). 

«L’assistenzialismo è nemico della democrazia e dell’amore al prossimo»; l’incoraggiamento alla partecipazione «affinché la democrazia somigli ad un cuore risanato. È necessario, e per questo occorre esercitare la creatività».

Ma cosa vuol dire “partecipazione”? «Prendersi cura del tutto, avere il coraggio di pensarsi come popolo, senza confonderlo con il populismo».

Il Santo Padre affida ai cattolici un compito: quello di «non manipolare la parola “democrazia”: non è una scatola vuota, ma è la valorizzazione della persona, della comunità, dell’ecologia integrale».

E ancora: «Da discepoli del Risorto non smettiamo di alimentare la fiducia, certi che il tempo ha un peso superiore allo spazio. Avviare processi è più saggio di occupare spazi. Abbiate il coraggio di avviare processi!» 

E infine, un augurio a tutti noi: «Siate artigiani di democrazia e costruttori di partecipazione!»

La giornata non è ancora finita: al termine di questa “udienza privata” ci vengono consegnati i biglietti di ingresso per una gremita piazza Unità d’Italia, dove è tutto pronto per accogliere il Papa in città, e per celebrare con lui la Santa Messa. È una giornata calda, sicuramente la più calda da quando siamo qui. La piazza è interamente colpita dai raggi del sole, i palazzi e il municipio non bastano a coprirlo. Vengono forniti a noi delegati dei cappelli bianchi, ulteriore ricordo di questi giorni, e acqua a volontà.

«Ma non sente caldo?», mi scrive su Whatsapp una mia amica sintonizzata sulla diretta televisiva, riferendosi al Papa (anche a sacerdoti e vescovi, aggiungerei). «Sì, lo sto sentendo io che ho solo una maglietta», le rispondo. Nel pomeriggio, in aeroporto, avrei avuto assensi a riguardo da monsignor Raspanti, ma già il Papa durante l’omelia ci aveva dato tutte le conferme del caso, suscitando una risata e un applauso da parte dell’assemblea.

«Abbiamo bisogno di una fede inquieta – ha detto – che aiuti a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore. Una fede che combatta l’egoismo umano: quanti usano la fede per sfruttare la gente! Oggi abbiamo bisogno di una fede che dà scandalo! Una fede fondata su un Dio umano, che si abbassa verso l’umanità, che di essa si prende cura […] Un Dio forte e potente, che sta dalla mia parte». E infine: «Non per le piccole cose, ma per il male che dilaga dovremmo scandalizzarci».

Dopo la fine della Messa si inizia a fare tesoro di tutto ciò che si è ascoltato ed imparato: il pranzo, l’attesa in aeroporto, il volo che ritarda, il rientro e la ripresa della routine… si potrebbero raccontare per filo e per segno tutte queste cose, ma non è ciò di cui si doveva occupare questo diario.

La sfida è provare a scriverne altre, di pagine simili, sull’esempio di quello che è emerso in questi giorni a Trieste, avviando un lavoro nelle comunità e nelle diocesi di ciascuno dei presenti. Avviando processi.

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