Nei giorni scorsi è stato definitivamente approvato il DDL 1665 sull’autonomia regionale differenziata, meglio noto come legge Calderoli, divenendo così legge dello stato. Casualmente, proprio negli stessi giorni si è concluso a Catania il ciclo  di quattro webinar promossi dal Cantiere per Catania e dall’Ufficio per i problemi sociali e del lavoro dell’Arcidiocesi etnea in collaborazione con il Gruppo di studio dell’Ufficio regionale per la pastorale sociale e del lavoro, giustizia pace e salvaguardia del creato, con il patrocinio della conferenza episcopale siciliana. Il corso ha visto protagonisti diversi esperti politologi (Gaetano Armao, Luigi Bobba, Luca Bianchi), economisti (Andrea Giovanardi, Giuseppe Tripoli, Giorgio Vittadini) e costituzionalisti (Agatino Cariola, Luigi D’Andrea, Massimo Luciani, Lorenza Violini)  del mondo culturale non soltanto siciliano, ma anche nazionale. Il webinar di apertura ha chiarito ai partecipanti i fondamenti costituzionali della riforma Calderoli: l’art. 116, 117 e 119. Il primo di questi apre le porte alle autonomie locali solo in alcuni ambiti chiamati Materie, indicate nell’articolo successivo in 17 e recentemente portate a 23.

Dal 1946 ad oggi alcune regioni a statuto speciale hanno già goduto di una certa autonomia amministrativa in alcune di queste materie, in particolare nel Trentino Alto-Adige. Poco invece l’autonomia è stata sfruttata in Sicilia. Fin qui i fatti. Nei successivi due webinar gli esperti hanno esplicitato quali sono le Materie e le relative Funzioni alle quali è possibile applicare l’Autonomia Differenziata, in particolare sanità, istruzione, trasporti e infrastrutture, previdenza e assistenza sociale, tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Ma il vero focus dell’attenzione è stato quali possono essere gli effetti di queste differenziazioni sulle regioni meno sviluppate, cioè il sud e le isole. Infatti, non tutte le regioni italiane si trovano allo stesso punto di partenza, non solo per la diversa distribuzione della ricchezza, ma anche per il numero di abitanti e per la diversa distanza dal fulcro delle aree commerciali e industriali principali sia italiane che europee.

La nostra costituzione poggia sui principi di Solidarietà e di Sussidiarietà. Essi sono i pilastri della nostra democrazia. Il nostro regionalismo era inizialmente di tipo collaborativo. Le riforme costituzionali sul federalismo fiscale e sulla devolution amministrativa hanno spostato il perno dalla solidarietà e collaborazione alla competitività e sussidiarietà in quanto è stato modificato l’articolo 116.

Adesso il cambiamento non è più solo amministrativo, ma fiscale e finanziario. La questione è se con l’Autonomia Differenziata quei due principi verranno ancora applicati in modo equo o in modo estremamente differente a causa delle motivazioni suddette. Fino ad oggi la nostra legge statale ha garantito uniformità, unitarietà e solidarietà (anche se permangono gravi disuguaglianze sul piano dello sviluppo, della capacità di spesa e di intervento amministrativo fra il Nord del Paese e il Sud).

Senza la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni la riforma resta ad alto rischio

Adesso il rischio è che l’Autonomia Differenziata garantirà sviluppo e capacità di attuare solidarietà solo alle regioni più ricche, in quanto maggiormente in grado di spendere cifre più alte per garantire un’adeguata assistenza sociale alle fasce più deboli. Dai dati statistici raccolti di recente appare evidente che al nastro di partenza di questa legge alcune regioni come la Sicilia, la Calabria e la Campania partono svantaggiate.

Ma altri problemi tecnici sembrano affliggere non solo l’avvio, ma anche la corretta applicazione di questa legge controversa. Infatti non è stato ancora individuato un organo istituzionale che valuti innanzitutto le Materie, le Funzioni. E soprattutto non sono stati ancora definiti  i LEP, cioè  i Livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale.

Le soluzioni al problema suggerite dagli esperti sono molte: si può cominciare con l’applicare gli articoli 36, 37 e 38 del nostro statuto speciale, si può far sentire la nostra voce diretta in parlamento per ottenere maggiori LEP, si possono richiedere non meno di 4 materie delle 13 possibili. Altra soluzione potrebbe essere quella di creare un organo istituzionale intermedio tra il parlamento e le regioni, che non può essere la conferenza stato-regioni né l’ufficio parlamentare del bilancio, ma potrebbe essere un organo simile al Bundestag tedesco, formato da rappresentanti regionali.

Nell’ultimo webinar è stato enucleato un altro problema non indifferente per noi italiani: la gestione del Terzo Settore. L’Italia è prima in Europa per sviluppo di quest’ultimo. La sua stessa esistenza trova fondamento nella costituzione con il principio di solidarietà e gode dell’approvazione della chiesa cattolica italiana. Se si vuole tutelare il mantenimento di questo principio costituzionale i LEP dovranno per forza essere scelti anche in funzione del terzo settore. Insomma, è evidente che nonostante la legge sia stata approvata ancora non c’è nulla di chiaro. La questione è aperta, le soluzioni sono molte. Non ci resta che sperare che i nostri politici sia nazionali sia regionali siano all’altezza della situazione.

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