dI don Nuccio Puglisi*

Parlare di Caritas potrebbe sembrare l’occasione di ripetere sempre le stesse cose: in effetti, chi ignora tutti i problemi che strutturano il nostro ambiente urbano e sociale? Tutti sanno cosa sono i “poveri” (categoria oggi più che mai estesa quanto sempre più imprecisa), e tutti sanno cosa sia la povertà…

Niente di più sbagliato. Primo, perché sapere cosa sia la povertà – saperlo, cioè, nei termini di una conoscenza diretta del fenomeno – implicherebbe una partecipazione esistenziale alla condizione dell’indigenza, senza l’esperienza della quale nessuno può realmente “sapere” o “conoscere” la povertà; per capirci, cavalcare l’adagio narrativo dei nostri nonni, che ci dicevano “Tu non sai cosa voglia dire avere fame!”, potrebbe avvicinarci all’idea di questa nostra generalizzata inconsistenza esperienziale sul dato della povertà. Secondo “conoscere i poveri” significa conoscere le persone che vivono questa realtà: conoscere i loro volti, i loro sguardi, sentire il suono delle loro voci, sapere dove abitano (o dove non abitano), sapere cosa mangiano (o cosa non mangiano), e ricordare i nomi dei loro bambini.

Quindi, in sostanza, nessuno – se non i “poveri” – conosce i poveri e la loro povertà.

E “conoscere” è un verbo squisitamente biblico, dal sapore intimo, che richiama una comprensione molto più profonda del solo “sapere” qualcosa. Ha più che altro a che fare col “sapore” di qualcosa, e di qualcuno. Conoscere è il verbo dell’unione anche fisica, carnale, viscerale, generativa. Insomma, tutto ciò che San Francesco poté provare nell’abbracciare il suo lebbroso, ma che noi – ahimè – non abbiamo ancora provato, o non del tutto. Un abbraccio è una forma di conoscenza capace di generare vita insieme ad un altro, e senza bisogno di altro; è u’’occasione preziosa attraverso la quale, nella compenetrazione del proprio cuore dentro il petto di chi ci sta di fronte, può verificarsi ancora il miracolo del’’Incarnazione.

Caritas è ‘’intreccio impensabile e originale di centinaia di storie umane

Caritas è tutto questo, nient’altro che questo; né potrebbe essere di meno. Non si tratta di avere a che fare esclusivamente con un organo pastorale della curia, e del suo funzionamento pratico, del suo organigramma, del censimento dei suoi volontari e operatori, della registrazione attenta delle criticità e delle risorse, dei numeri statistici e di quelli economici che stanno alla base dei numerosi progetti che ne animano la vita.

Caritas è – prima di qualunque altra cosa – l’intreccio impensabile e originale di centinaia di storie umane: storie di volontari e di assistiti che, nell’inspiegabile reciprocità dell’amore, finiscono con l’invertire i propri ruoli senza accorgersene, facendo sì che, in ultima istanza, nessuno possa dire con esaustiva sicurezza chi sia stato – alla fine – a prestare aiuto e chi sia stato aiutato. Caritas è uno sfondo di scena che ricorda quel momento scuro e allo stesso tempo splendente in cui, sul Golgota, un crocifisso ne aiuta un altro: sono tutti e due sulle loro rispettive croci, ciascuno dei due sta per morire, entrambi soffrono le pene del supplizio e della pubblica gogna fatta di indifferenza, irriverenza e derisione. Uno dei due è innocente, l’altro è colpevole. Ma in quel momento non importa: ciascuno dei due fa il possibile per alleviare le sofferenze dell’altro. Cristo aiuta il ladrone a pacificarsi con Dio e con sé stesso, e il ladrone aiuta Cristo a credere, in quell’ultimo momento, che c’è ancora speranza davanti ai sentimenti della compassione umana, che sopravvive alla croce; forse non ci si pensa abbastanza, ma dev’essere stata una consolazione per Gesù sapere, nel momento in cui stava dando la sua vita per tutti noi, che, tra tutti noi, c’era ancora qualcuno in grado di sgomentarsi davanti alla sofferenza di qualcun altro.

Questo sgomento, insieme alla meraviglia innescata da ogni autentico gesto d’amore, costituisce il motore invisibile della Caritas, capace di proiettare, in tutte le sue ombre e le sue luci, la stessa essenza della Pasqua: dramma e salvezza, sofferenza e consolazione, morte e risurrezione.

Non sarebbe possibile parlare di Caritas, o esserne parte, se si ignorasse uno solo di questi due aspetti. Non potremmo parlarne solo in termini di gaudio, né solo con parole tristi. Occorrono entrambi gli orizzonti di senso.

Il cinquantesimo della Caritas diocesana

Lo comprendiamo forse un po’ meglio quest’anno, nel cinquantesimo anniversario della nostra Caritas Diocesana. Pensateci un attimo… un anniversario molto particolare, diverso – nella sua più intima essenza – da tante altre ricorrenze auree e giubilari. Non si tratta di un compleanno, dove tutto è allegria condivisa; non si tratta neanche di un cinquantesimo anniversario di morte, dove si condivide un pianto comune. Si tratta di qualcosa di molto più complesso, seppure nella sua disarmante e quotidiana semplicità.

Si tratta di ammettere, nel modo più brutale, che sono già passati cinquant’anni e la nostra città di Catania ha ancora bisogno di una Caritas che si prenda cura di quegli ultimi troppe volte ignorati da strutture che, sul nostro territorio, dovrebbero sempre precedere – attraverso gli strumenti istituzionali – ogni attività sociale. Sono passati cinquant’anni e ancora ci sono persone che non hanno un posto da abitare e che, nel compromesso retorico cui oggi siamo così ben educati, per non dire esperti, sono costretti a scegliere di avere come tetto della loro casa solo il firmamento del cielo. La cosa appare così poetica da farci desiderare altri cinque decenni di povertà! Sono passati cinquant’anni e – seppure oggi si insista molto di più in termini di formazione al dovere e alla responsabilità civile – non si può ancora dire che esista una vera e propria educazione all’altro che sia soprattutto relazionale e non solo statistica o interventistica. Sono passati cinquant’anni, e i bambini poveri che allora avevano dieci anni oggi ne hanno sessanta, ma molti di loro sono ancora poveri perché, semplicemente, tutti continuiamo a chiamarli così. Celebrare questo anniversario significherà ammettere che, in cinquant’anni, la povertà è aumentata nelle connotazioni di povertà più subdole, invisibili, “digitali”.

Il tesoro dei volontari e i nuovi strumenti del contrasto alla povertà

Ma significherà, soprattutto, ringraziare il Signore per il fatto che, in tutto questo tempo, non ci siamo mai arresi e non ci siamo mai fermati. E la compassione del buon ladrone si è moltiplicata in quella di centinaia di volontari che, ogni giorno, spendono sé stessi per alleviare tante sofferenze, per essere poveri con i poveri, non nel senso di chi recita una parte, ma di chi riconosce, semplicemente, di essere povero insieme a tanti altri poveri come lui. Significherà raccontare come, in questi anni, il binomio auspicato da S. Paolo VI, “pace e progresso”, si sia determinato anche nell’acquisizione di strumenti sempre più adeguati alle necessità odierne, come il microcredito, la digitalizzazione dei dati, la rete sanitaria unita a quella di un centro ascolto sempre più preciso nella risoluzione di problemi legali, psicologici, amministrativi, e non solo economici. L’avvicendamento dei vescovi, dei direttori, dei commissari, degli operatori e dei volontari, costituisce solo il naturale passaggio di tante persone sullo scenario di una storia che li precede e che continuerà anche dopo di loro; l’unico ad essere lo stesso, ieri, oggi e sempre, è Gesù. È lui l’unico a non passare mai, se non dalla morte alla vita, tutte le volte che la Caritas, e tutti gli uomini di buona volontà, lo riconoscono presente e operante in mezzo a loro, e nei loro gesti ripresentano i suoi.

Mezzo secolo d’amore

Forse proprio per questo, dovendo dare un titolo all’evento di questo cinquantesimo, non abbiamo indugiato né solo sull’aspetto delle problematicità, né solo su quello delle soddisfazioni; ma l’abbiamo chiamato, per quello che è, solo come un mezzo secolo d’amore. Con tutto ciò che l’amore comporta: patimento e passione.

Tutto questo è Caritas, nella sua duplice valenza pasquale che, nelle scorse date del 19 e 20 giugno, abbiamo inteso raccontare a chi ha voluto prestarci ascolto. Sperando che questo racconto, dopo essere entrato dagli occhi e dalle orecchie di tanta gente, potesse giungere al cuore. 

*direttore Caritas Diocesana di Catania

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