di Luigi Renna, arcivescovo

La carità è una delle virtù teologali; è quella “che rimane”, afferma San Paolo, ed ha un inno ricco di aggettivi che ne esaltano la bellezza (cf I Cor 13,). E da cinquant’anni, nella Chiesa di Catania, come in tutta Italia, Caritas è il nome di una “istituzione”.

Fra qualche giorno ne “canteremo” la storia, che “cammina sulle gambe” degli uomini e delle donne chesono o sono stati direttori, vicedirettori, volontari che nei centri diocesani che assicurano una costante prossimità ai fratelli più poveri o nelle comunità parrocchiali, sono il popolo di Dio che incarna la virtù più grande. La Chiesa annuncia il Vangelo, celebra i sacramenti di salvezza, testimonia la carità: è la sua missione nel mondo, e se le mancasse uno di questi tre aspetti, rischierebbe di perdere la sua identità e la sua credibilità. Ma non è solo la Caritas ad operare accanto ai poveri: ci sono tante associazioni e movimenti che nel Vangelo trovano la fonte del loro impegno, come anche tante persone che singolarmente sono testimoni credibili dell’amore. La storia di Catania, poi, ha un passato di “carità” che porta i nomi dei suoi santi: il beato Dusmet, la venerabile Cantalupo, la beata Morano e tanti altri laici e laiche. La Caritas non esclude, perché è espressione della Chiesa diocesana, e negli Statuti della Caritas nazionale è scritto che tra i suoi compiti c’è quello di: “curare il coordinamento delle iniziative e delle opere caritative e assistenziali di ispirazione cristiana”.

Una cura che non è “controllo”, ma promozione dell’armonia. In un memorabile discorso alle Caritas italiane, San Paolo VI ebbe a dire: “Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica”. Cosa può significare: che la Caritas ogni anno ci consegna un rapporto sulle povertà del Paese e forma i volontari? Anche, ma non solo: ad ogni comunità insegna che è chiamata a rivivere l’esperienza degli Atti degli apostoli, che “vendevano i loro beni e li distribuivano ai poveri. E tra loro non c’era nessuna persona bisognosa” (At).

In questo momento, in cui stiamo ripensando l’Iniziazione Cristiana, constatiamo che a coloro che si preparano a divenire credenti, spesso manca una pedagogia che li “inizi” all’incontro con Dio nel povero. Ecco la Caritas del presente e del futuro: un popolo che si prende cura dei fratelli più poveri, e che non faccia trovare “impreparati” coloro a cui Dio un giorno dirà: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…” (Mt 25).

(da Avvenire Catania, 16 giugno 2024)

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