Cinisi e poi Palermo. 1978 e 1992. Due luoghi, due date, due eroi e due omicidi eccellenti. Due mete di un viaggio che comincia in classe tra foto, spiegazioni, dibattiti che prendono forma il 23 maggio, data in cui l’Italia e la Sicilia ricordano le vittime della strage di Capaci.
Partire per scoprire che oltre le quattro mura di una classe c’è un mondo complicato che contiene le dinamiche ingarbugliate della Storia. Una storia che inconsapevolmente ti appartiene e dà forma alla tua esistenza. Viaggi e guardi fuori dal finestrino mentre alberi, case, paesi, macchine e persone ti passano accanto velocemente e vicino a te i tuoi alunni ti guardano con gli occhi di chi ha davanti un futuro ancora sognato, l’entusiasmo di chi ha il desiderio di conoscere per comprendere. “Prof., perché Peppino Impastato, Giovanni Falcone e il suo grande amico e collega Paolo Borsellino sono stati ammazzati dalla mafia? Non hanno fatto semplicemente il loro dovere di cittadini?” si chiedono questi piccoli d’uomo eletti membri del Consiglio comunale dei Ragazzi dell’I.C. “Martoglio” di Belpasso con la voglia di mettersi a servizio della comunità scolastica.
A casa di Peppino Impastato: memoria e futuro
“Casa Memoria”, così si chiama oggi la casa di Peppino, il cui ricordo è stato coltivato amorevolmente da mamma Felicia fino alla fine dei suoi giorni e del suo fiato. “Sciatu miu” mi vien da pensare. Guidare i tuoi alunni tra le stanze ormai disabitate di casa Impastato dove il tempo sembra essersi fermato, dove tutto diventa memoria e futuro, ti fa sentire come l’anello di una catena infinita senza il quale non potrà mai esserci un domani diverso da ciò che condanniamo a causa della inettitudine di chi avrebbe dovuto agire e non l’ha fatto. “Prof., chissà di cosa parlavano intorno a questo tavolo. E Peppino avrà dato problemi a suo papà così come capita a noi?”. Vederli stupiti dinanzi al giradischi, alla macchina fotografica che Peppino utilizzava per documentare cortei e comizi, per comporre poster che incitavano i siciliani a rialzare la testa per contrastare il potere mafioso che ammorbava le coscienze e intossicava la libertà. E vederli leggere le pagine ciclostilate de “L’Idea”, il giornale di Peppino e dei suoi amici fraterni, obbligati da qualcuno a far perdere le loro tracce per paura di una sorte simile a quella del loro amico. “Grande, è stato un grande. Guarda quant’è fiero in questa foto! Ma come ha potuto? Dove ha preso tutto questo coraggio?” si dicono tra loro. E fuori, all’aria aperta e sotto il sole cocente di Sicilia, contare “cento passi” a voce alta, tutti insieme, fino a casa Badalamenti, come nel film, come nella vita vera di un siciliano con la esse maiuscola. E vederli mentre ti guardano in silenzio e si interrogano se loro avrebbero avuto quello stesso coraggio.
Palermo, una nuova linfa di legalità
Ci spostiamo a Palermo in mezzo al caos di una città, quella del 23 maggio, quasi irriconoscibile: sembra di stare a Roma! Macchine blu, migliaia di uomini in divisa, elicotteri sulle nostre teste e divieti di transito. E poi, anche migliaia di scolaresche, dai bimbi della scuola primaria con cappellini e bandierine, fino agli universitari con slogan e striscioni. Tutti presenti all’appello per un minuto di silenzio alle 17.58. Lungo il percorso incontriamo casualmente Chiara, Alessandra, Federica e tante altre ragazze dell’Azione Cattolica Giovani della Parrocchia S. Maria della Guardia di Belpasso che, come ogni anno, rinnovano il pellegrinaggio laico a un luogo simbolo dell’impegno civile e della lotta alla mafia. Sì, perché credere è avere speranza che tutto possa volgere al bene. E non solo nell’altra vita. “Noi giovani di Azione cattolica – affermano le ragazze – abbiamo scelto di metterci in cammino per testimoniare con la nostra voce e le nostre gambe il coraggio di chi ha sacrificato la propria vita contro la mafia. Oggi, il compito di noi giovani è quello di essere nuova linfa di legalità per svegliarci da questo torpore che ci ha portato a rassegnarci, impegnandoci e lottando per una società nuova attraverso la promozione della cultura e di una coscienza antimafiosa”.
Sotto un sole cocente che volge al tramonto, noi prof ci scambiamo opinioni ed esperienze scolastiche e poi ti capita di conoscere anche quel collega siciliano trapiantato al Nord che ha parlato per un anno intero di antimafia e legalità per poi portare i suoi alunni del Convitto-Educandato “S. Benedetto” di Montagnana in provincia di Padova, ormai prossimi al diploma, a Palermo per abbracciare l’Albero Falcone e tutto ciò che simboleggia. E tra una chiacchiera e l’altra, questi ragazzi che “parlano nordico” ti dicono con la forza della loro incrollabile fiducia nel domani: “Non parlare di questa pagina della storia italiana non aiuta a risolvere il problema mafioso. Vivere nella paura incoraggia queste persone a continuare a fare ciò che fanno e non ci sarà mai nessuno che oserà alzare un dito contro di loro e così continueranno a crescere. Ecco perché è importante camminare insieme, per non ripetere gli stessi sbagli”.
Vogliamo essere liberi
Mi chiedo cosa significa insegnare Educazione Civica e Legalità e ripenso alle parole dei miei alunni: “Commemorare significa ricordare e vedere tutta quella gente che ancora oggi, dopo tanti anni, ricordano gli eroi di Palermo che sono riusciti a combattere la mafia commuove. La mafia non è invincibile. Noi siamo ragazzi e dobbiamo fare memoria perché è l’unica cosa che ci rende veramente liberi, e non dovremmo farlo solo il 23 maggio”. Penso che la scuola, la cultura, l’amicizia, la correttezza nei rapporti umani e la verità renderanno le nostre vite libere di innalzarsi laddove mai nessuno è stato capace di arrivare. Penso che Falcone, Borsellino, Impastato e tanti uomini liberi siano i vessilli di verità, giustizia e di pace da seguire e ricordare per non morire mai. Penso che noi adulti non dobbiamo arrenderci nell’accompagnare i giovani verso la costruzione di un altro mondo possibile.