Il 4 febbraio a Paternò, il cittadino marocchino Mohamed Mouna, ventisette anni, è stato brutalmente ucciso, accoltellato mortalmente dal suo caporale in via Verga. La sua unica “colpa” era quella di aver rivendicato il diritto di essere retribuito per il lavoro svolto. Il caporalato rappresenta una delle più gravi piaghe non solo per il territorio catanese ma per l’intera Sicilia. Quattro anni fa, a Caltanissetta, veniva assassinato Siddique Adnan, un uomo pakistano di 32 anni, che si era fatto difensore dei lavoratori stranieri, incoraggiandoli a denunciare tali abusi alle forze dell’ordine.
Per non dimenticare il sacrificio di Mohamed, lo scorso 7 maggio a Paternò la “Rete per l’accoglienza e il contrasto alla povertà”, che include vari enti del terzo settore come la Comunità ecclesiale di Paternò, la Caritas vicariale, l’ANPAS e l’ANPI, ha organizzato una fiaccolata commemorativa.
«La Bisarcia del Pellegrino – dichiara il diacono Don Salvatore Mazzamuto, referente della Rete e responsabile del Servizio Mensa della Caritas – ha aderito alla fiaccolata per ricordare il sacrificio di un ragazzo in cerca di un lavoro dignitoso e di una vita migliore, che ha pagato con la vita la sua giusta protesta per non essere stato retribuito. È stata anche un’occasione per ricordare a tutti che il caporalato e lo sfruttamento disumano del lavoro sono un flagello non solo per questi lavoratori, costretti a vivere in condizioni disperate, ma rappresentano una drammatica questione per tutta la nostra comunità, alimentando pericolose tensioni sociali e criminalità organizzata, che trae vantaggio da questa situazione».
All’evento hanno partecipato non solo le autorità, le associazioni e i sindacati, ma anche numerosi cittadini che hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa.
Presente anche la comunità islamica, accompagnata dal loro imam, Ridha. Importante è stato l’intervento del vicario foraneo, Don Salvatore Alì, che ha evidenziato come italiani e islamici possano vivere un dialogo fecondo, dimostrando che le rispettive religioni e culture, lungi dall’essere un ostacolo, rappresentano una ricchezza che può facilitare la convivenza. «Solo riscoprendoci fratelli – afferma Padre Alì – possiamo ritrovare il rispetto per la dignità della persona, e attraverso l’amicizia e l’amore, trovare il coraggio e la forza per affrontare i problemi e combattere le ingiustizie».