In queste ultime settimane, la politica italiana sembra che abbia subito una grave scossa di terremoto. Una faglia ha attraversato tutta l’Italia dalla Sicilia al Piemonte, con tutto il corredo di corruzione, clientelismo, collusioni mafiose, malaffare, tangenti: macerie di interessi privati-individualistici, che hanno sepolto il bene comune. La cosiddetta “questione morale” è tornata alla ribalta della scena politica italiana. Non tanto perché negli anni passati, finalmente, la morale avesse dato forma alla vita politica e, per così dire, l’avesse plasmata. Ma, solamente, perché essa sembrava essere finita nel dimenticatoio, come le cose che passano di moda, dopo essere stata agitata, per lungo tempo, nel dibattito politico degli anni ’70, quando tutti i partiti chiamavano in causa (ovviamente, per gli altri) la “questione morale”. Soprattutto, poi, dopo gli anni di “tangentopoli” e le inchieste di “mani pulite”, la coltre dell’oblìo era stata stesa sulla grave questione. I recenti fatti di cronaca a tutti noti, hanno riacceso le discussioni.
QUESTIONE MORALE E CONCEZIONE MACHIAVELLICA DELLA POLITICA
Ma, in verità, le problematiche connesse ad una politica che aveva licenziato l’etica sono state sempre di scottante attualità, perché scorrevano come un fiume carsico, lambendo i diversi partiti dell’arco costituzionale. Basta dare uno sguardo alle cronache dei giornali e ce ne se può rendere conto. Di fronte a questi dati di fatto, ci si chiede: è pura utopia pensare a un nesso intimo tra morale e politica? E ancora: se il politico ha come riferimento l’orizzonte etico, non è destinato, in partenza, all’insuccesso?
Se diamo uno sguardo alla filosofia classica, si può notare, ad esempio, che per Aristotele tra etica e politica intercorreva un legame inscindibile. “Se infatti identico è il bene per il singolo e per la città, sembra più importante e più perfetto scegliere quello della città” (così Aristotele nella “Etica a Nicomaco”). Infatti, il fine della polis era il bene della comunità politica, che puntava alla felicità dei cittadini, praticando la giustizia coniugata con l’amicizia civile.
Machiavelli, però, ha demolito questo impianto classico, teorizzando la scissione tra morale e politica, affermando che scopo della politica è il raggiungimento e il consolidamento del potere, ad ogni costo e con qualsiasi mezzo: menzogna, ingiustizia, violenza, calunnia, ricatto, violazione dei patti ecc. Pertanto, per raggiungere i propri obiettivi il “principe”, ovvero il politico, non deve esitare ad agire in modo spregiudicato e a mettere da parte l’etica. Infatti, chi nel suo impegno politico volesse adeguarsi a finalità ideali, fallirà sicuramente: “[…..] perché egli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare impara piuttosto la ruina che la preservazione sua [….]”(così ne “Il Principe”). Per Machiavelli, quindi, ciò che si fa (i comportamenti più comuni della maggioranza), è la regola da seguire. Invece, ciò che si dovrebbe fare, cioè l’ideale etico-politico, deve essere scartato, se si spera di ottenere successo in politica. Bisogna, perciò, essere “realisti”, attenersi alla realtà di fatto, cercando di essere più scaltri degli avversari.
In sintesi, le due coordinate dell’opera di Machiavelli sono: 1) la constatazione dell’immorale prassi politica e averla accettata, come regola generale, smascherando l’ipocrisia di coloro che mostravano una facciata di correttezza etica; 2) l’affermazione che una buona politica, conforme, cioè, alla sua natura e ai suoi fini autentici (come sopra ricordato), deve essere per essenza una politica non-morale.
I PROFESSIONISTI DELLA POLITICA
La visione politica machiavellica ha attraversato i secoli fino ai nostri giorni, improntando l’agire politico di tanti “professionisti” della politica, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. E, notiamo, con una differenza che non è da poco, che mentre il principe machiavellico rafforzava il suo potere per rendere più forte lo Stato, molti dei politici contemporanei non hanno come scopo il bene dello Stato e nemmeno quello del proprio partito, ma, molto più concretamente, il tornaconto individuale, il proprio potere personale, con il conseguente controllo di voti e persone, e infine, il proprio conto in banca! E tuttavia, nessun politico, apertamente, oserebbe affermare di condividere la teoria di Machiavelli (ammesso che l’avesse studiato!), né dichiarerebbe, pubblicamente, di sceglierlo come punto di riferimento per la propria condotta politica, perché ognuno di loro tiene a conservare la rassicurante facciata di persona-per-bene. Ma di fatto, ufficiosamente, tutti danno ragione a Machiavelli e, anche se inconsapevolmente, lo ritengono loro maestro. Le conseguenze di una politica, sganciata dall’etica, che perde di vista il bene comune e il benessere integrale di tutti i cittadini, sono gravi e dannose, con ricadute deleterie su tutto il Paese, che vanno dalle grandi opere incompiute, con fiumi di denaro sperperati, al malfunzionamento della sanità pubblica, all’abbandono delle periferie e alla povertà educativa, solo per fare alcuni esempi.
IL VERO BENE DELLA POLIS ESIGE L’ARMONIA TRA ETICA E POLITICA
Una conferma di quanto ora osservato, viene da lontano: S. Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologica, aveva affermato: “è impossibile conseguire il vero bene comune della città, se i cittadini non sono virtuosi, a cominciare da coloro che governano”.
A tal proposito, anche Rosmini si chiedeva: “Come si può concepire la prosperità di una società di esseri ragionevoli e morali, che è lo scopo della politica, se non si concepisce ad un tempo il fiorimento ed il perfezionamento della ragione e della moralità, che la costituisce e la informa?”.
Non sfugge a nessuno che nella misura in cui in una società la morale è messa al bando, prospera ogni genere di illegalità e di ingiustizia, di menzogne e di astuzie, che inquinano l’atmosfera della comunità e fanno abbassare la qualità della vita della città e, quindi, delle persone. Si deve, perciò, concludere che il vero sviluppo di una società è impossibile se l’etica non permea tutto l’agire politico. In altri termini, non si può privare della sua essenziale linfa vitale (cioè della morale) la vita socio-politica, senza che essa inesorabilmente inaridisca. Secondo Rosmini, infatti, etica e politica costituiscono un binomio inscindibile, tanto che la garanzia di una genuina politica è data dal suo profondo radicarsi nell’unico tronco dell’etica. La politica, oltre ad essere “scientificità” è soprattutto “moralità”. Solo la riscoperta e il riconoscimento pratico dei valori significanti per la vita dell’uomo possono permettere di avviare un processo teso a migliorare le strutture socio-politiche, in vista del bene comune.
La filosofia politica di Rosmini è nel solco della tradizione del pensiero sociale cristiano, secondo cui la politica deve tendere al vero bene umano, perseguendo il bene comune della polis, profondamente radicata nell’humus dell’etica.
Così, ad esempio, per J. Maritain l’attività politica non può essere ridotta ad una semplice tecnica politica, staccata dall’etica. In tal caso, essa sarebbe soltanto “un cadavere di saggezza e di prudenza politica”. Infatti, la vera “politica è cosa intrinsecamente morale”, perché riguarda l’uomo con i suoi atti più specificamente umani.
LA POLITICA E’ ATTIVITA’ DIRETTA AL BENE COMUNE
Sulla stessa lunghezza d’onda, don Luigi Sturzo sottolinea il profondo legame tra etica e politica, perché quest’ultima è “attività sociale e razionale, e in quanto tale intrinsecamente morale”. Di conseguenza la politica implode su stessa, si autodistrugge, si snatura, se viene svuotata dell’etica. Infatti, scrive Sturzo: “Non si può dare politica immorale che sia veramente politica, cioè attività diretta al bene comune”. Pertanto, se vogliamo il vero progresso del Paese, dobbiamo riconoscere con Sturzo che “la società si trasforma solo con le virtù: giustizia e temperanza, prudenza e fortezza”. Parole queste, che dovrebbero essere prese a criterio di comportamento da tutti coloro che hanno a cuore il miglioramento della comunità politica: dal politico (che dovrebbe agire dando un’anima etica al suo impegno politico) al semplice cittadino, ognuno è chiamato a fare la sua parte.
Le ricorrenti esplosioni della corruzione politica, nel nostro Paese, fanno aumentare il tasso di pessimismo tra la gente, che di fatto non va più nemmeno a votare. Hanno, perciò, un sapore profetico le parole di Sturzo che, dal suo esilio newyorchese, nel pieno della seconda guerra mondiale, scriveva: “[…] non dobbiamo disperare di noi stessi[…] né dubitare dell’avvenire dell’Italia. Dio fece sanabili le nazioni, nonostante la volontà perversa degli uomini a rovinarle e distruggerle”. Una visione, questa del prete calatino, intrisa disperanza, a cui bisogna ispirarsi, oggi più che mai, affrontando i tornanti delle prossime elezioni europee!
Nel corso degli anni , in particolare dagli anni 60 fino ad oggi, ho constato che dietro ogni politico ci sono interessi personali , spesso di natura ” affaristica”. Raramente ho visto uomini politici che hanno agito per la ” res pubblica”. Sono stati esempi di moralità e correttezza che hanno avuto breve durata. Spero che i giovani migliori non abbandonino la meravigliosa terra di Sicilia ed, invece, rimanendo diano un contributo alla rinascita morale di cui ha enorme bisogno.
in quella che si indica come “Prima Repubblica” abbiamo avuto dei luminosi esempi di politici che operavano per il Bene Comune: De Gasperi, Moro, Pertini, Nilde Iotti, Tina Anselmi, Lina Merlin, Altiero Spinelli, Enrico Berlinguer, ecc.
Oggi purtroppo, oltre ai fenomeni di corruzione , sembra non ci siano politici di profonda cultura, dirittura morale e capacità di governo.
Anche in Europa il panorama è desolante.
I nostri sono anni bui, ma dobbiamo investire nella formazione di una nuova classe politica: molte delle persone da me citate si sono formate negli anni bui del ventennio fascista.