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Aladin, e le storie di chi afferma: «Da solo non basto»

di Giuseppe Russo, Paola Palermo, Talita Cosentino

Aladin, 21 anni, egiziano, è allenatore in una scuola calcio nel quartiere San Siro di Milano. Ha avuto l’opportunità di formarsi in un corso promosso dall’Inter, la sua squadra del cuore. Ma la sua storia è stata caratterizzata da un’adolescenza difficile. «Sono cresciuto a Baggio – ci racconta -, nella periferia milanese. A casa vivevamo una situazione economica difficile, che mi ha spinto a commettere alcuni sbagli». Un giorno, Aladin compie quello definitivo: «Sono stato arrestato e il magistrato mi ha assegnato alla comunità di Kayros».

Il ragazzo racconta la sua testimonianza nel corso dell’incontro relativo alla mostra “Da solo non basto. In viaggio con i ragazzi di Kayros, Portofranco e Piazza dei Mestieri”. Ospitato dal Camplus catanese il 18 aprile scorso, il convegno ha visto intervenire le tre realtà attraverso le voci dei responsabili nazionali e locali.

Kayros è una comunità nata nel 2000 per iniziativa di don Claudio Burgio: inizialmente recuperava e dava una prospettiva di vita diversa a minori stranieri non accompagnati della periferia di Milano; negli anni ha cominciato ad accogliere giovani con alle spalle precedenti penali.

«All’inizio non riuscivo a rapportarmi con nessuno – continua nel suo racconto Aladin -, ma con il tempo ho imparato ad accorgermi di chi avevo intorno e a dialogare con loro. Ho iniziato a vedere una via d’uscita dalla mia vita precedente».

Oggi, Aladin, sta inseguendo la sua più grande passione, e l’ha trasformata in lavoro: «Non so dove mi porterà questa strada, ma so che adesso sono felice».

Seduto accanto a lui c’è Guido Boldrin, direttore di Kayros dal 2019, che descrive il lavoro di una comunità che oggi assiste 50 ragazzi, partendo da «una provocazione: noi lasciamo i cancelli sempre aperti. Hai la possibilità di scappare. Sta a te decidere se bastarti da solo, o rimanere e camminare con una famiglia».

Dopo l’incontro gli abbiamo chiesto un’opinione sull’inasprimento delle pene ai minori, dovuto alla recente approvazione della legge Caivano: «Non è certo con le regole o con le sbarre che si può cambiare il percorso di vita di un ragazzo. Come realtà educativa proponiamo un approccio positivo».

Il tema della mostra vuole mettere in luce l’esistenza di una rete fra le tre realtà educative, come testimoniano gli interventi degli altri relatori: «L’esperienza di Portofranco – spiega Graziella Biondi, responsabile della locale Associazione Cappuccini consociata – nasce dalla risposta al bisogno primario dei ragazzi: l’aiuto allo studio. Rapportandoci personalmente con ciascuno di loro, instauriamo un’interazione di fiducia».

In questo modo, con il passare degli anni, l’Associazione ha allargato il suo raggio di azione, distribuendo la spesa a molte famiglie del quartiere, in condizione di povertà e seguendo i ragazzi fino alla vita adulta.

Al termine della visita della mostra era possibile lasciare le proprie considerazioni in un post-it: «Mi ha colpito uno in particolare – racconta la prof. Biondi – in cui si diceva che bisognerebbe prendere le idee di queste realtà e introdurle in tutte le scuole. Sono convinta che noi adulti, indipendentemente dall’essere insegnati o meno, dovremmo imparare a diventare delle ancore: attrarre il cuore dei ragazzi ed agganciarlo ad un bene senza fine, che dovremmo sperimentare noi per primi».

La storia di una ragazza come Chiara, raccontata dai pannelli illustrati della mostra, si snoda tra Portofranco e Piazza dei Mestieri, dove dopo aver ottenuto la licenza media scopre il suo talento e studia per coltivarlo: “acconciatrice delle dive”.

A Catania la Piazza assume la denominazione di Arché, ed Emilio Romano, presidente, ne racconta la missione: «Seguire questi ragazzi – che altrimenti non andrebbero nemmeno a scuola, e intraprenderebbero strade a cui sembrano destinati – e far capire loro che non è necessario essere i primi della classe, ma essere contenti di imparare a fare ciò che li appassiona. Seguendoli, cerchiamo di dare loro uno sguardo attento, non li lasciamo da soli».

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