Perché andare a votare per le Europee? Così mi hanno chiesto alcune persone. Una domanda di scottante attualità, che manifesta un forte scetticismo, confermato, in questi ultimi giorni, anche dai recenti sondaggi di “Demopolis”, che registrano quasi 20 milioni di italiani, i quali dichiarano che non andranno a votare e circa altri 4 milioni di indecisi! Se questa intenzione si verificasse confermerebbe il trend negativo, che ha caratterizzato, in questi ultimi anni, le elezioni nel nostro Paese. Ad ogni modo, bisogna riconoscere che oggi l’Europa sta attraversando una delicata stagione, toccata da venti di crisi, tra cui gli effetti della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Inoltre, da qualche tempo, emergono in tanti (singoli individui, movimenti, correnti politiche, partiti, ecc.) venature nostalgiche, sempre più marcate, di antiche “patrie”, dato che l’Europa viene considerata come l’origine di tutti i mali (soprattutto economici). Non è un caso che alcuni manifesti elettorali, affissi già sui muri della nostra città, hanno slogan come: “più forti e determinati in Europa”, quasi a sottolineare che si è posti di fronte ad un avversario da cui difendersi e contro cui combattere! Si tratta di scenari inquietanti, anche se è vero che tante cose devono cambiare, migliorare, ma in una sana dialettica politica, in vista del bene comune di tutti i cittadini europei.
E invece, in maniera opposta a quanto adesso detto, non si perde occasione per invocare l’Europa quando si tratta di reclamare certi pseudo-diritti umani, che “possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali […]”! (Francesco, Evangelii Gaudium n 190). Così, ad esempio, accade per le ricorrenti polemiche sul crocifisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, fino a quelle sulla trascrizione in Italia delle nozze tra persone dello stesso sesso, celebrate in altri Paesi europei (più progrediti!)
“L’Europa è stanca”: questa affermazione di papa Francesco, a mio avviso, sintetizza bene il variegato spettro delle tendenze sopra accennate. E il pontefice aggiunge: “Un’Europa un po’ stanca e pessimista, che si sente cinta d’assedio dalle novità che provengono da altri continenti. All’Europa possiamo domandare: dov’è il tuo vigore? Dov’è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov’è il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov’è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione?”(Francesco al Cons. d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014).
Alcuni anni dopo la caduta del muro di Berlino (9.11.1989), Giovanni Paolo II metteva in guardia da un altro “muro invisibile”, che passa “attraverso il cuore degli uomini”, “un muro fatto di paura e di aggressività”, di “egoismo politico ed economico”; un muro, la cui “ombra si estende su tutta l’Europa”. La conclusione che traeva il pontefice, purtroppo, era che “il traguardo di un’autentica unità dell’Europa è ancora lontano”. Pertanto, non stupisce la domanda: “Che cosa è davvero l’Europa?”, posta dal cardinale Glemp, durante il Sinodo episcopale sull’Europa (1999). L’allora card. Ratzinger, a sua volta, evidenziava che prima di essere un concetto geografico, l’Europa è “un concetto culturale e storico”. C’è, pertanto, una sfida da raccogliere su questo versante, a partire dalla considerazione che “non ci sarà l’unità dell’Europa fino a quando essa non si fonderà sull’unità dello spirito”, e tale unità, notava ancora Giovanni Paolo II, fu portata e consolidata dal cristianesimo. L’Europa di oggi ha “rinnegato le sue radici”, osserva papa Francesco e, aggiunge, noi abbiamo il compito di “aiutarla a ritrovarle”. Un’affermazione questa che potrebbe sembrare utopistica, se pensiamo che i cristiani siamo minoranza in una società profondamente secolarizzata. Alla luce del Vangelo, però, sappiamo di essere chiamati ad essere lievito e sale del mondo, non solo, ma “crediamo nella forza irresistibile del seme e dell’efficacia del lievito e siamo consapevoli di avere cose essenziali da dire e da offrire per l’intera società” (Card.Martini).
All’interno di questo orizzonte, Ratzinger, citando il sociologo Toynbee, sosteneva che “il destino di una società dipende sempre da minoranze creative”. E il cardinale, applicando ciò alla missione che i cristiani devono svolgere in Europa, sottolineava: “I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità”. In altri termini, i cristiani non possono limitare il loro sguardo solo sugli orizzonti nazionali, ma devono spingersi a guardare verso l’Europa e verso il mondo. Anche su queste problematiche, le Giornate sociali dell’Arcidiocesi di Catania hanno dato il loro contributo formativo, ricordiamo, fra l’altro, l’intervento del prof. Andrea Riccardi su “Europa, oggi” e quello di Mons. Gian Carlo Perego su “Europa, immigrazione, solidarietà”.
La comunità ecclesiale deve raccogliere le sfide per allargare gli orizzonti di partecipazione alla vita democratica, superando la rassegnazione e la tentazione “dell’accidia politica” (card. Martini). Di “accidia” parlava già S. Ambrogio, sottolineando che, essa insieme “all’ignavia”, spinge una comunità “al sonno”, rendendola così ignara dei problemi ovvero indifferente a ciò che accade nel mondo. Ma una tale comunità è affetta dalla sindrome dello spettatore. Per questo, il sociologo R. Sennet descrive il “tramonto dell’uomo pubblico” e la “fine della fiducia nella vita pubblica”. Non è questo il grave rischio che tutti oggi corriamo? E non vi sono quelli che hanno tutto l’interesse perché i cittadini dormano di fronte ai vari “traccheggi” dei “pupari” della politica?
Occorre riscoprire l’importanza di pensare politicamente in grande.Latentazione sottile a cui oggi vanno incontro i cristiani è quella di rinunciare alla costruzione del modello globale della polis, dello Stato, dell’Europa, per accontentarsi di vivere e agire nel prepolitico e nel sociale. Ma papa Francesco osserva che vi è un importante “apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società”. Egli, infatti, paragona l’Europa ad un “poliedro”, “dove l’unità armonica del tutto conserva la particolarità di ciascuna delle parti”. Attraverso il dialogo inter-culturale e interreligioso, si “può coniugare con sapienza l’identità europea formatasi nei secoli con le istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente”. E’ ovvio che il contributo dei cristiani all’Europa verrebbe a mancare se essi rimanessero chiusi nell’ambito del sociale e della carità, che ha la sua grande importanza, ma in tal caso “si potrebbe pensare che i cattolici sono cittadini dimidiati. L’ambito della politica aspira infatti a influire sull’ethos della città di tutti, mediante una generalità di interessi e di programmi, con la creazione di condizioni che promuovano la partecipazione di ciascuno al progresso sociale, civile, morale e spirituale”(Card. Martini). Pertanto, oggi più che mai, è urgente passare da una “democrazia a bassa intensità”, per promuovere “una democrazia ad alta intensità” (per dirla con papa Francesco), trovando stimoli creativi nella dottrina sociale della Chiesa, dove c’è la vocazione a una socialità avanzata. Ci piace, allora, prendere in prestito il paragone delle piante, che affidano al vento milioni di semi, con la certezza che almeno alcuni di questi germineranno.