Nei giorni delle celebrazioni in onore della nostra patrona Sant’Agata, il nostro Arcivescovo, Mons. Luigi Renna, nei suoi molteplici interventi, ha sottolineato che solo la carità può salvare la nostra Città. In particolare, la mattina del 6 febbraio, in una Cattedrale gremita dalla folla dei fedeli che aveva accompagnato il rientro delle reliquie della Patrona, l’Arcivescovo ha esortato a pregare affinché coloro che hanno responsabilità politiche e amministrative fossero guidati nelle loro scelte dalla “carità politica”. Sottolineatura molto importante questa, perché la carità deve attraversare non solo i rapporti interpersonali tra tutti gli uomini e le donne della nostra città, ma deve improntare tutta l’azione politica, se davvero si vuole raggiungere il bene comune (che è bene di tutti e di ognuno), che è lo scopo della vita sociale e politica.
Cosa si intende con questa espressione, che valore ha nella vita politica? Benedetto XVI scrive: “In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico (….), viene dichiarata facilmente l’irrilevanza della carità (…)”(Caritas in Veritate n. 2) . Mentre, al contrario, nella Dottrina sociale della Chiesa essa è vista come una “forza straordinaria” per realizzare concretamente una vita sociale degna della persona umana, cioè la “buona società”. Nell’antichità classica, Aristotele aveva affermato che nella polis l’amicizia civile deve essere posta come fondamento necessario che sottende la stessa giustizia e i molteplici rapporti della vita politica:“Sembra che persino le città siano tenute unite dall’amicizia, e i legislatori si preoccupano di essa ancor più che della giustizia […]” (così nell’Etica a Nicomaco). Quindi, una giustizia piena, per una società davvero giusta, non può fare a meno della carità, che dà un’impronta fraterna alle molteplici e articolate relazioni sociali e politiche. “Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell’influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche” (come osserva il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa n. 390). Ma il significato profondo della convivenza sociale e politica emerge soltanto se essa è basata sull’amicizia civile e sulla fraternità.
Sono stati tanti i Padri della Chiesa che hanno posto l’accento sulla necessità della carità politica, che allarga i suoi orizzonti per realizzare una società giusta e fraterna. Così S. Ambrogio, nell’opera I doveri, declinando sapientemente la tradizione cristiana con quella umanistica romana, affermava, con chiaro riferimento al concetto ciceroniano di giustizia intesa come caritas generis humani, che mentre l’atto di carità (in pratica, l’elemosina, la “beneficenza”) rivolto al singolo aiuta a risolvere un problema limitato e, per giunta, in modo episodico, invece la carità politica, realizzando la giustizia nelle istituzioni socio-politiche, mira, in modo permanente, al bene di tutta la moltitudine di persone, che compongono la comunità, perché punta a creare strutture giuste.
Se diamo uno sguardo alla nostra tradizione del cattolicesimo sociale, troviamo una conferma di quanto detto sul valore della carità politica nel pensiero di Giorgio La Pira e di Don Luigi Sturzo.
La Pira, partendo dalla sua esperienza di laico cristiano attivamente impegnato in politica, spiega che se si intende la carità cristiana solo come «elemosina non è tutto», e anche le stesse opere «organizzate della carità non sono ancora tutto». Si tratterebbe, infatti, di un modo riduttivo di interpretare il comandamento dell’amore, che viene, invece, pienamente realizzato “quando noi avremo collaborato, direttamente o indirettamente, a dare alla società una struttura giuridica, economica e politica adeguata – quanto è possibile nella realtà umana – al comandamento principale della carità” (La nostra vocazione sociale p. 27). E scendendo nel concreto, La Pira esemplifica: «Se io amo i miei figli ed i miei fratelli non devo manifestare questo amore dando loro un minimo di tetto, di pane, di vestimento ecc., che è indispensabile per la loro vita?». Ma se si deve puntare a realizzare pienamente questi obiettivi, senza indulgere a facili paternalismi e senza creare rassicuranti assistenzialismi da cui dipenderanno sempre le persone, il vero amore per i fratelli – si chiede sempre La Pira – non impegna il cristiano a costruire «rapporti giuridici e politici in modo da garantire la loro giusta libertà e la giusta espansione della loro persona?».
Queste parole di La Pira sembrano riecheggiare oggi nelle affermazioni di Papa Francesco: “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza”. E il Papa esemplifica: “Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica” (Fratelli tutti n.186).
Anche don Luigi Sturzo sottolineava che la politica, intesa e praticata come «ricerca e attuazione del bene comune», che in definitiva è il «bene del prossimo», è un’autentica «forma di carità». E infatti, «questo prossimo lo chiamiamo ora “società”, ora “Stato”, ora “popolo”, ma non è altro che l’uomo simile a noi, carne della nostra carne, cui dobbiamo offrire il sostegno che viene dalla organizzazione sociale […..]» (Problemi spirituali del nostro tempo p. 82).
E, a tal proposito, il Compendio della dottrina sociale (n. 208) ci presenta una prassi equilibrata: «è indubbiamente un atto di carità l’opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale e impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l’impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria (…)»… In altri termini, la carità politica deve guidare l’azione di chi amministra una Città affinché possa trovare tutti quegli strumenti validi per realizzare un autentico progresso umano, fondato su strutture socio-politiche rispondenti ai criteri di giustizia e di solidarietà, a favore dello sviluppo integrale di ogni persona umana. Pertanto, bisogna che le persone impegnate in politica scoprano il valore socio-politico della carità, che non può essere ristretta dentro l’ambito delle relazioni di prossimità, perché si tratta di una carità «pensata in grande» (a livello politico, economico, culturale), che diviene norma costante e suprema dell’agire e che tende a rendere la società umana, più degna della persona. Ciò implica che le scelte politiche non mettono al primo posto gli interessi individuali o del gruppo degli amici, parenti e conoscenti, o anche del proprio partito, magari a scopi elettorali, a scapito del vero bene comune. A tal proposito occorre tenere presente il monito di Papa Francesco:“Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine” (Fratelli tutti n.178). Di conseguenza, cambiano radicalmente le prospettive e le intenzioni di chi si dedica attivamente alla politica. Infatti, come nota papa Francesco: “le maggiori preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al fenomeno dell’esclusione sociale ed economica” di tante persone povere, che diventano scarti sociali, con tutte le tristi conseguenze che ciò comporta (Fratelli tutti n.188). Questa attenzione alla carità sociale e politica che deve abbracciare tutti coloro che compongono una società, fa superare la visione individualistica, oggi molto diffusa e pericolosa per i suoi effetti, e ci fa considerare le persone nella dimensione sociale che le unisce. In definitiva, la persona viene collocata nella sua profonda e naturale relazione sociale e posta nella condizione di realizzare se stessa.
Possiamo, allora, dire che l’amore sociale, che non è un vago e sterile sentimento, può definire una buona e sana politica in grado di far progredire la nostra Città verso una civiltà dell’amore, dando così un volto veramente umano e bello alla nostra Catania, a cui S. Agata era tanto affezionata.
La Prof Patrizia Giunti (Presidente della Fondazione La Pira) in una intervista per la 50^ Settimana sociale dei cattolici a Trieste nel prossimo mese di luglio, precisando il richiamo che li si fa all’eredità di Giorgio La Pira afferma “Oggi la democrazia va ben oltre la percezione che ne abbiamo, la forma di governo o la dimensione procedurale che ne deriva. L’aggettivo democratico viene declinato per rappresentare una dimensione etica e valoriale. E se il modello democratico è in difficoltà, lo è per la crisi dei valori attorno al quale l’abbiamo costruito nel ‘900, con l’affermazione dei diritti fondamentali delle persone”. La docente individua alcune direttrici su cui lavorare: “Il primo obiettivo è la proprietà di linguaggio. Un grande giurista afferma che la democrazia è innanzitutto cura delle parole. Democrazia si riferisce al demos, al popolo, a cui appartiene la sovranità. Sovranismo e populismo sono le derive di questi concetti. Ci vuole dunque il coraggio di una pulizia semantica che ci restituisca un linguaggio adeguato, per ribadire l’importanza di un modello nel quale la partecipazione si fa metodo. Democrazia oggi è molto più di una forma di governo”. E anche la partecipazione va “ripulita”. Osserva infatti Giunti: “Oggi soffriamo di un eccesso di partecipazione, ma è una partecipazione ‘social’, veicolata, totalmente individuale e disintermediata. Ma questa partecipazione è pura illusione ottica di una partecipazione totale e diretta, che non può essere in alcun modo paragonata alla vera partecipazione che avviene, anche secondo l’articolo 2 della Costituzione, attraverso i corpi intermedi. Se riteniamo esaurito il nostro ruolo con la partecipazione virtuale, questo penalizza la dimensione umana e quella della fraternità, che si intrinseca in quell’atto di cura che è la cifra del Cristianesimo nella sua dimensione sociale”.
Infine, da Trieste, città di confine, di pace, di incontro tra popoli sarà rilanciato quel messaggio di pace che La Pira declinò nell’incontro concreto: “Il messaggio lapiriano – conclude Giunti – rovescia l’usuale interpretazione della pace come opzione utopica e della guerra come unica prospettiva del reale dimostrando come nell’era nucleare l’unica prospettiva realistica è la pace, una pace che tuttavia ha bisogno di essere costruita. La Settimana Sociale potrà, tra i suoi tanti messaggi, ricordare l’urgenza e l’importanza del recupero di una dimensione di pace a livello individuale e culturale”.
Il 1° febbraio 1934 nella prolusione alla assunzione della Cattedra di diritto romano nell’Università di Firenze si rivolge ai giovani in maniera inusuale: Dopo la parte «scientifica», rivolto ai colleghi sottolineava a cosa deve tendere l’insegnamento: «fare comprendere, attraverso l’educazione dell’intelletto, che questa vita che Dio ci ha dato è un dono di valore infinito!».
Poi, rivolto ai giovani: «Ecco dove mirano i nostri sforzi: a questo: a rendervi consapevoli di questo tesoro preziosissimo di cui Dio vi ha dato il possesso: la vita! […] Siete tempio del Dio vivo, dice S. Paolo ai Galati: e noi pure a voi lo ripetiamo! Siete templi di Dio vivo, figli della Luce, creature che hanno un valore infinito, riscattate dal sangue di un Dio! Abbiate, dunque, piena questa dolce consapevolezza della vostra dignità sacra: così vi vuole Dio, così vi vuole la Patria nostra: luminosi nell’intelletto, luminosi nel cuore, luminosi nel corpo: solo così voi sarete la giovinezza promessa, la primavera rinnovatrice che spande sulla terra fragranze di purità celeste».
Fu una prolusione «insolita» ma che rimase impressa nel cuore e nella mente dei giovani che erano presenti.
La Pira appena arrivato a Firenze nel 1934 dopo aver vinto la cattedra universitaria mette in atto la Mensa di San Procolo. Un primo segno visibile e concreto dell’impegno fattivo del cristiano nel soddisfare il bisogno dell’ultimo. È una distribuzione di cibo che accompagna a pochi viveri e all’Eucarestia nel tempo della grande crisi economica degli anni ’30, a cui affianca pure la lettura di un foglietto da distribuire sui grandi valori non solo del Cristianesimo, ma anche sui grandi valori sociali che fanno una comunità davvero inclusiva. Non basta la soddisfazione dei bisogni materiali, ma occorre anche elevare le persone da situazioni di marginalità sociale e culturale. E qui tornando all’attualità bisogna compiere continuamente scelte etiche morali sul rispetto delle regole da parte di tutti, piccoli e grandi, ricordando Aldo Moro. “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Sono parole che Aldo Moro pronunciò nel marzo 1976, due anni prima del rapimento e della morte. Una prospettiva di educazione alla cittadinanza. A cui aggiungere le terribili tematiche di deriva democratica contenute nella legge sull’Autonomia differenziata e sulla gemella legge sul Premierato che modifica la Costituzione. Per questo bisogna scegliere tra le scelte del solidarismo dei cattolici Costituenti con in testa La Pira Dossetti Sturzo e i Professorini e le scelte tecnocratiche dei meeting della sussidiarietà che alimentano la teoria dell’elettore mediano di Stiglitz.
Arch. Salvatore Di Mauro
Centro Giorgio La Pira Catania