Prospettive

La festa di Sant’Agata raccontata dall’interno: cronache dal cordone

Catania. Le undici di sera del quattro febbraio. C’è una strana primavera nell’aria. Fuori stagione. Anche via Plebiscito come ogni anno è pronta per l’appuntamento. Le luci delle bancarelle fanno festa sulle facciate dei palazzi. Le luminarie segnano il percorso con i loro colori. Chiara, Martina, Sebastiano, Laura, Federico, Carmelo, Tancredi, Diego, Nicola, Luigi, Nancy, Andrea, Marco,Saro. E molti altri. Molti altri ancora. E Agata, dieci anni. Per la prima volta anche lei lì, con le manine avvolte nel bianco dei guanti strette al cordone. A seguire la mano di suo padre. E quelle dei suoi fratelli. E tutte le altre mani, centinaia di mani. Tutti fratelli. Fratelli di cordone. Tutti a chiedere, tutti ad offrire. Processione di storie, destini in cammino. Coi volti segnati dalla gioia.Uno accanto all’altro, stretti nell’abbraccio senza fine tra le sue braccia di fune.

Accade ogni anno così. Ritrovarsi insieme. Per lei. Miracolo di febbraio ai piedi del vulcano. Quando un popolo vestito di bianco si raduna a tutte le ore del giorno e della notte in preghiera lungo le strade del centro. Ancora ad attendere, ancora a far festa. Col fuoco negli occhi che arde in lacrime e sorrisi. E in fondo al petto tutte le ferite della vita, bisogni, sogni. Insieme. Ciascuno col proprio dramma, ciascuno con la propria offerta, ricolmi di gratitudine per una grazia ricevuta o sperata. Stretti. Una mano al cordone, l’altra alla corona del rosario.Stretti alle parole sempre vive del Padre Nostro, respiro del cordone. Parole che scandiscono il passo lungo la via.

Accade così. Ancora oggi, come una sorpresa. Come la mano sulla spalla di un devoto sconosciuto che cerca sostegno in chi lo precede lungo la strada. Così. Come il grazie che brilla negli occhi di chi mendica e si ritrova sorpreso da se stesso a chiedere in omaggio una coroncina del Rosario, pace e coraggio lungo il viaggio della vita.

Accade. Come quei visetti che sbucano all’improvviso tra la folla. Occhi di bambino pieni di stupore per quello strano cordoncino di biglie che adesso pende dalle mani dei devoti. Vedi, ad ogni biglia una preghiera, la risposta di una mamma non tarda ad arrivare. Fino a pregare insieme a quei bambini e alle loro famiglie in un unico coro, fuori e dentro la processione.

Poi il suono della campanella. Riprende la marcia di sguardi per le vie della città e il susseguirsi instancabile di intenzioni. Diverse come le storie che si susseguono lungo la strada. Intenzioni personali, per chi non c’è più o per chi soffre ancora. E un pensiero per tutti, per i popoli stranieri martoriati dalle guerre. Per la ragazzina dei recenti fatti della Villa Bellini. Per tutte le donne violate. E per la conversione dei cuori di chi compie il male. Forse non c’è parola che possa dire consolazione. Tutto è affidato, consegnato. Mentre la piccola Agata ascolta ancora e guarda tra le dita dei devoti scorrere dai grani del rosario fin sulle labbra un’unica voce. Guarda, ascolta e prega anche lei. Voce che chiede, voce che spera e oltre il cordone sconfina.

Risuona la campanella. E tiriamo, tiriamo. Fino ad essere una sola famiglia con te, sorella Agata. Tiriamo fino ai tuoi occhi. Noi che in fondo siamo tirati da te a quell’amore che nessuno abbandona. Fino al fuoco che non muore. Con Chiara, Martina, Sebastiano, Laura, Federico, Carmelo, Tancredi, Diego, Nicola, Luigi, Nancy, Andrea, Marco, Saro e i piccoli curiosi fuori dal cordone con le loro famiglie lungo la processione. E la piccola Agata, dieci anni. E molti altri. Molti altri ancora. Con te popolo nel popolo.Perché in fondo pregare è guardare il tuo volto. Per guardare dove tu guardi. Con te.Tutti devoti. Tutti.

Foto di Gabriele Condorelli
Foto di Gabriele Condorelli
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