Si è conclusa ieri 25 gennaio la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con la celebrazione della Parola vissuta nella Chiesa della Badia di sant’Agata a Catania.
Quest’anno abbiamo vissuto in modo itinerante, come un cammino, questo tempo importante incontrando le comunità ecclesiali di Biancavilla, Paternò e Bronte, che hanno aderito con gioia, riempendo le chiese nelle quali sono state convocate. Questo momento, infatti, non è per gli addetti ai lavori o per i “fissati” con l’ecumenismo ma riguarda tutta la comunità ecclesiale perché questo cammino è imprescindibile nella vita stessa della Chiesa. Rischiamo di considerarci confessionalmente piuttosto che come Popolo di Dio che vive l’unità del Corpo di Cristo e non può rassegnarsi a vivere diviso da altri fratelli che credono e seguono lo stesso Signore. L’unità di fede e il desiderio di una comunione più profonda non solo è sentito da molti nel Popolo di Dio ma è una vera necessità per la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, pluralista e frammentato, dove il cristianesimo sembra cercare rifugio nel conservare qualcosa, salvare il salvabile, piuttosto che cercare nuove vie di evangelizzazione, di annuncio della morte e della resurrezione di Cristo. A volte siamo convinti che l’erosione delle nostre comunità, la sempre più grande marginalità in un mondo secolarizzato siano solo fenomeni passeggeri e che quindi l’unica cosa da fare è resistere continuando a fare quello che sempre si è fatto, sperando in tempi migliori. Invece è necessaria una seria riflessione, fatta nella fede e nella consapevolezza dell’azione dello Spirito, perché questo momento di crisi diventi una nuova opportunità di testimonianza e di trasmissione della fede. In alcune parti del mondo ciò avviene come nei primi secoli e forse con più sofferenza attraverso il martirio. Non dobbiamo difenderci dal mondo ma ritrovare l’autenticità e la bellezza di una fede che umanizza, che trasfigura e guarisce. Non in difesa né all’attacco ma al centro campo, cioè nel mondo.
Il cammino, a volte stanco, a volte carico di entusiasmo che molte comunità cristiane stanno facendo per ritrovarsi fraternamente e accogliersi in una forma nuova ma vera è ineludibile e riguarda ogni cattolico proprio perché cattolico cioè capace di accogliere tutti e di rivolgersi a tutti.
Per questo il duplice comandamento dell’amore ne diventa il battito del cuore: non un generico sentimento ma la forma stessa dell’atteggiamento con il quale Cristo è sceso incontro agli uomini chiamandoli a seguirLo nel farsi prossimo di tutti: tutti, come ha detto la pastora Silvia Rapisarda, nudi cioè sprovvisti di segni di riconoscimento che ridurrebbero il nostro rapporto con l’altro nell’accoglienza dell’altro che appartiene alla mia identità: religiosa, sessuale, culturale. Nudo, non etichettabile era, infatti, quell’uomo derubato dai ladri e lasciato esanime sulla strada tra Gerusalemme e Gerico. La compassione è la viscerale esigenza di chinarsi su di lui, come della misericordia di Dio, verso quell’uomo, semplicemente un uomo. La compassione di Dio è la forma dell’essere cristiano.
Riprendiamo nella quotidianità dei cammini delle nostre comunità questo atteggiamento proposto da Cristo come un comando: Va e anche tu fa lo stesso. Non solo i bisognosi, non solo i nostri bisognosi ma ogni uomo perché ciascun uomo è radicalmente povero, al di là delle maschere con le quali nasconde la propria nudità.