di Maria Antonietta Chiavaro
In netta controtendenza rispetto a quanti preferiscono lasciare il sud per andare a studiare nelle città universitarie del nord Italia, Alessandra Corso, veronese d.o.c., ha scelto l’Ateneo di Catania per la sua formazione post-laurea.
La incontro, durante una pausa dal suo lavoro, presso il Dipartimento di Ingegneria elettrica, elettronica e informatica di UniCT, dove sta svolgendo il dottorato di ricerca.
Ciao Alessandra, parlami un po’ di te. Di cosa ti occupi? Che formazione hai?
Ho conseguito la laurea triennale in Psicologia cognitiva e la laurea magistrale in Data Science, che è una disciplina del ramo matematico-informatico. Data Science vuol dire «saper analizzare i dati e conoscere contemporaneamente la natura dei dati che si stanno analizzando». Dopo la laurea ho iniziato a fare ricerca nel ramo dei “Sistemi complessi” e ora sto iniziando il mio secondo anno di dottorato presso il Dipartimento di Ingegneria elettrica, elettronica e informatica dell’Università di Catania.
Ma tu non ti sei laureata a Catania…
No. Io sono di Verona, dove ho studiato fino alla maturità scientifica, e poi mi sono iscritta all’Università di Trento, dove ho conseguito la laurea triennale e poi la laurea magistrale.
E come mai, dopo la laurea, hai deciso di venire a studiare a Catania?
C’è un link che collega le due estremità d’Italia, dall’estremo nord all’estremo sud, ed è il professore con cui ho fatto il tirocinio per laurearmi durante la magistrale e con cui ho scritto la tesi. Lui è il docente che mi ha messo in contatto con il mio attuale gruppo di lavoro e che mi ha fatto scoprire questo dipartimento, questa area scientifica e i docenti che si occupano delle materie per cui lavoro adesso.
Prima di scegliere l’Università di Catania avevi valutato anche la possibilità di frequentare altre università italiane o estere?
Sì, mi ero guardata attorno, c’erano diverse possibilità. Per me era importante sia il progetto su cui avrei fatto ricerca, ma anche il gruppo di lavoro,. Fare il dottorato non è semplicissimo e sono importanti anche l’atmosfera, l’ambiente, le persone di cui circondarsi. Ho dato importanza al gruppo e, avendo saputo che quella di Catania era una buona Università, dove si lavorava bene, ho scelto con maggior convinzione rispetto a realtà universitarie che conoscevo meno.
Qual è il tuo progetto di ricerca?
Il mio è un dottorato in “Ingegneria dei sistemi energetici, informatici e delle telecomunicazioni”, il ramo è sempre quello dei Sistemi Complessi, su cui ho iniziato a fare ricerca durante il tirocinio magistrale. Consiste nell’analizzare i dati prendendoli come fossero un insieme di punti, che si chiamano nodi, interconnessi da collegamenti che si chiamano link. L’insieme dei nodi e dei link costituisce un network, che è uno strumento utile per svolgere studi di vario tipo (sociologici, epidemiologici, ecc…)
Hai sperimentato cosa vuol dire studiare in un Ateneo del nord, a Trento, e adesso stai proseguendo la tua formazione in un Ateneo del sud, a Catania.
Quali sono le differenze, dal punto di vista della realtà universitaria, che hai riscontrato?
L’Università di Trento ha un’organizzazione che sembra quella di un esercito militare, super organizzata, con servizi di segreteria super efficienti. Questo è il motivo, per cui ho scelto di rimanere lì anche per la laurea magistrale. A Catania, invece, l’organizzazione è meno efficiente. Probabilmente dipende dal fatto che è un’università molto grande, mentre quella di Trento è un’università medio-piccola, che, quindi, può permettersi di seguire molto da vicino gli studenti e le studentesse. Da questo punto di vista, quindi, Trento batte Catania.
Ciò che, invece mi ha assolutamente convinto a proseguire gli studi qui, come ho già accennato prima, è la differenza di atmosfera. Una città come Trento, che può essere bellissima per alcuni, per me, per il mio carattere, è un po’ soffocante. Al di là della vita strettamente universitaria, non ci sono tanti eventi, quindi la giornata dello studente finisce con le lezioni. Anche se ci si organizza, non c’è la scelta di attività ed eventi che vengono organizzati qui. A Catania ho trovato una grande varietà di attività satellite, collegate all’università, come la radio (Radio Zammut) con cui collaboro, il teatro (Centro Universitario Teatrale)…. Qui ho trovato un ambiente, un’atmosfera veramente arricchenti.
Anche rispetto al teatro ho notato una differenza tra nord e sud. In generale al nord fare teatro è “di nicchia”, mentre qui al sud ho trovato tantissime associazioni che promuovono l’attività teatrale e tutti hanno almeno un cugino, uno zio, una nonna, un conoscente che fa teatro. Io frequento un’associazione teatrale che si chiama “Buio in sala”.
In base alla tua esperienza e a quella di tuoi conoscenti, quali sono i limiti di un’università del sud rispetto ad un’università del nord?
Non ci sono limiti, c’è solo una percezione diversa, che non sempre corrisponde alla realtà. Quando ero all’Università di Trento facevo un’attività di orientamento per gli studenti. Sono venuta anche qua in Sicilia, a Palermo, per far conoscere l’offerta formativa di Trento. In quell’occasione ho notato un differente approccio tra gli studenti del nord e quelli del sud nella scelta dell’università da frequentare. Mentre lo studente del nord opera una scelta tra le Università che si trovano nei pressi della sua città di origine, quello del sud orienta la sua scelta anche in funzione del futuro lavorativo e, una volta deciso di allontanarsi dalla Sicilia, valuta tutte le possibili alternative (da Roma a Torino, a Milano financo a Bolzano!). E poi si lascia condizionare da tanti stereotipi: ad esempio è convinto che il nord sia il paese dei balocchi, dove tutto funziona benissimo e non c’è crimine e delinquenza. Niente di più falso! Secondo me, se c’è qualcuno che ha dei preconcetti verso i meridionali sono i meridionali stessi. Questa cosa mi mette in crisi, mi fa andare in confusione, perché anche qui le cose vanno bene, ma i ragazzi meridionali si rifiutano di crederlo.
Quindi cosa diresti ad uno studente che si diploma a Verona, o comunque in una città del nord, per convincerlo a venire a studiare a Catania?
Di guardare, di non lasciarsi condizionare da stereotipi perché gli stereotipi sono concetti culturali così forti che determinano alcune nostre scelte immotivate. Quindi le persone giudicano prima di vedere, prima di sperimentare. Una persona dovrebbe invece viaggiare, azzerando tutte le cose che gli sono state raccontate (belle o brutte), guardarsi attorno, valutare, da nord a sud, tutte le possibilità per l’ambito al quale è interessato, senza escludere a priori qualcosa solo perché “qualcuno” ne ha parlato negativamente.
Parliamo della città. Sul piano umano, ti sei sentita ben accolta?
Sì, molto. Da subito ho trovato accoglienza in casa, ho avuto fortuna con i coinquilini e le coinquiline e poi, attraverso le persone che ho conosciuto al teatro, alla radio e all’università sono riuscita ad inserirmi in giri diversi di gente molto bella.
Cosa ti piace di Catania come città?
La vita che si fa, il fatto che si può uscire in qualsiasi momento e c’è sempre gente in giro, per strada, nei locali, nei bar, e questo, per una che ha il carattere come il mio, è proprio bello.
E invece cosa reputi negativo?
Il trasporto locale. Per le grandi distanze c’è l’aeroporto, che è molto centrale, ci sono diverse compagnie che collegano Catania con tantissime città anche distanti, e questo è positivo. Invece per gli spostamenti più brevi, in treno e autobus, lì anche per raggiungere luoghi che sarebbero molto vicini, tutto diventa molto complicato. Questo è un difetto.
Pensi quindi che Catania, e il sud in generale, abbia delle potenzialità di sviluppo dal punto di vista sociale, culturale e lavorativo?
Ma certo che sì, solo che vengono magari escluse a priori senza conoscere.
Io sono una persona molto ottimista e credo che pian piano, avendo fiducia nei giovani, dando loro molto più spazio e facendo in modo che si abbattano gli stereotipi di cui parlavo prima, la città possa migliorare. L’importante è fare in modo che il sud non diventi un capro espiatorio, superando la convinzione che se una cosa non funziona è “perché tanto siamo a Catania”. Ci sono tante cose che non funzionano in tutte le città, ma se qualcosa non va, la si prende e la si migliora. Quindi si può migliorare sotto tutti i punti di vista, basta solo volerlo ed impegnarsi.
Alessandra, finita questa esperienza di dottorato. tornerai al nord oppure pensi di proseguire qua la tua attività?
Quando ho iniziato la mia esperienza catanese ero assegnista di ricerca. Doveva essere un’esperienza di un solo anno ed io pensavo che, se avessi fatto il dottorato, lo avrei svolto da qualche altra parte. Invece, ho vinto il concorso ed eccomi qua per altri tre anni . Adesso sono alla fine del primo anno di dottorato e me ne mancano altri due, poi i tempi un po’ si allungano, magari rimarrò ancora per qualche tempo, non lo escludo, però io a Verona ho la famiglia, il fidanzato, mio fratello e mia sorella, quindi, per il futuro, mi vedrei più vicina a loro. Ora sto vivendo un momento in cui voglio viaggiare, voglio conoscere un’altra città e vivere di nuovo un’altra esperienza….che sia a Roma, che sia a nord o a sud non mi importa.
Lasciando Catania, cosa ti porterai dietro di questa esperienza?
Tantissime cose. Ci penso ogni tanto, anche se è prematuro, e immagino che il giorno in cui me ne dovrò andare sarà un dramma! Come farò senza Etna, senza mare, senza sole, senza gli arancini…e mi arrabbierò quando li sentirò chiamare “arancine”…ormai fa parte di me, non posso dimenticarlo. Poi, fisicamente, me ne porterò dietro tanti di arancini e anche tanti cannoli! Questa città la sto proprio vivendo, per me non è solo un’esperienza, è una parte di vita. Ora ho 27 anni, ma questi quattro anni, forse cinque, me li ricorderò per sempre!
La pausa è finita. Saluto la vulcanica Alessandra e mi avvio verso l’uscita, contagiata dalla sua solarità e dalla sua carica di ottimismo, sempre più convinta che a Catania, in Sicilia, al sud le opportunità non mancano, intercettarle è compito nostro.
Questa ragazza ha messo il dito su molte piaghe, una fra tante il provincialismo di quei molti siciliani per i quali è diventata una moda mandare i figli a studiare fuori; e quello di coloro che anche se hanno il raffreddore vanno al nord a curarsi, perché da noi, per definizione, non funziona niente (secondo loro).
Lei è la dimostrazione vivente che anche la nostra Università ha diverse eccellenze.
Grazie per la scelta fatta e per i giudizi obiettivi che ha espresso.
Ad maiora.