Prospettive

Giovedì Santo, Messa in Coena Domini: Amore contemplativo e servizio oltre le apparenze

Dopo aver celebrato in mattinata la solenne Messa Crismale, al vespro l’Arcivescovo Mons. Luigi Renna è ritornato in Cattedrale per presiedere la concelebrazione della S. Messa stazionale nella Cena del Signore, inizio del Triduo Pasquale, in sintonia con i divini misteri commemorati: l’istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio ministeriale e del comandamento del Signore sull’amore fraterno. Per comprendere meglio il precetto evangelico l’Arcivescovo ha proceduto al rito della Lavanda dei piedi a 12 fratelli, scelti tra volontari e assistiti della Caritas diocesana ed un carcerato, che ha ottenuto un permesso.

La celebrazione liturgica è stata conclusa dalla mistica processione lungo le navate del Santissimo Sacramento all’altare provvisorio della Reposizione per l’adorazione notturna allo struggente canto del “Pange lingua” musicato da Vincenzo Bellini ed eseguito dalla Cappella Musicale del Duomo diretta dal can. Giuseppe Maieli. Di seguito il testo dell’omelia di Mons. Luigi Renna:

Carissimi fratelli e sorelle,

tutto ciò che noi viviamo nella Chiesa rende presente il Signore Gesù grazie al dono dello Spirito Santo. Abbiamo ascoltato le parole di San Paolo nella seconda lettura: “Ho ricevuto quello che a mia volta vi ho trasmesso …” (I Cor 11,23). Non un ricordo qualunque, ma la Cena del Signore, con le parole: “Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me”. Cosa sarà mai questa memoria? Un ricordo che si ferma solo alla mente? San Paolo, che con la prima comunità cristiana ha continuato a celebrare l’Eucarestia dopo la risurrezione del Signore, ce ne spiega il senso: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore finché egli venga” (I Cor 11,26).

Non ricordiamo la Cena del Signore come si potrebbe ricordare un fatto del passato che non si verificherà più, ma la celebriamo così come il Signore l’ha vissuta, con il dono del pane e del vino per annunciare la Sua morte, per rendere presente quel dono. Gesù ha celebrato questo banchetto prima di andare incontro alla morte e, a differenza dei nostri fratelli ebrei che hanno seguito le prescrizioni date da Mosè per vivere e poi fare memoria della Pasqua, consumando insieme un agnello immolato e dei pani azzimi, noi facciamo memoria della sua morte e risurrezione ricevendo il pane e il vino in cui è presente il suo corpo e il suo sangue. “Ogni volta …”: che grande dono! Ma come è possibile tutto questo oggi? Con il dono dello Spirito: è lo Spirito che ci fa dono del Corpo e del Sangue di Cristo. È lo Spirito che ci rende fratelli. È lo Spirito che ci spinge al servizio.

Nella preghiera eucaristica II, noi ascoltiamo queste parole: Veramente santo sei tu, o Padre, fonte di ogni santità. Ti preghiamo: santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo”. È lo Spirito santo che rende presente il Signore Gesù, lo rende nostro contemporaneo e rende presente il Suo dono d’Amore, perché è sempre l’Amore di Dio che agisce, così come ricordavo nella Messa Crismale citando sant’Agostino: “Le persone divine sono tre: la prima, il Padre che ama quello che da lei nasce; la seconda, il Figlio, che ama quella da cui nasce; la Terza è lo stesso amore, lo Spirito Santo” (De Trinitate VI, 5,7).

Lo stesso Amore rende presente l’Amore di Cristo. Scrive in un bellissimo commento monsignor Mariano Magrassi: “Il pane e il vino devono dunque attraversare il braciere della Pentecoste (il dono dello Spirito) per uscirne Corpo e Sangue dell’Agnello immolato. Anche sul piano naturale non c’è pane che non sia passato per un forno ardente, né vino i cui grappoli non siano stati prima inebriati dal calore del sole” (M. Magrassi, Il fuoco dello Spirito nel calice, 33). È lo Spirito che rinnova la presenza del Signore immolato e risorto in mezzo a noi.

È lo Spirito che ci rende fratelli, non le nostre forze. Nell’offertorio di oggi è proposto al canto il celeberrimo testo: “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio”. Come faremo ad avere tanto amore, ad evitare divisioni, lotte maligne e liti, a lasciare regnare in mezzo a noi Cristo e la carità? Ci vorrà il nostro impegno, ma non dimentichiamo che dopo aver invocato lo Spirito Santo sul pane e sul vino, il celebrante lo invoca sull’assemblea, perché quel Corpo che è la Chiesa, diventi santo nell’amore come il Pane e il Vino sull’altare. Sempre nella seconda preghiera eucaristica il celebrante dice:

“Ti preghiamo umilmente: per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.” Ma cosa sarà questo amore? Solo amicizia tra uguali, o non piuttosto servizio? Il servizio che è espresso nella lavanda dei piedi non è il gesto poco impegnativo di un giorno solo, ma il segno di un amore che sa spogliarsi, lavare i piedi, asciugarli e far sì che questo avvenga “gli uni gli altri”. È difficile lavare i piedi dei poveri, nel senso di avere premura ed attenzione per ciascuno di loro: a Catania sono tanti! Nel mondo sono tanti! È difficile anche lavarsi i piedi gli uni gli altri: il marito alla moglie, la moglie e il marito ai figli, le persone nella stessa comunità, i confratelli presbiteri o voi di questa comunità gli uni gli altri. Amore ai poveri e amore gli uni gli altri, nel segno del gesto più umile, ha il senso di creare amicizia e comunità.

La lavanda dei piedi è un gesto di accoglienza e di una relazione continua con i poveri e con gli altri, che non può ridursi ad un rito da fare una volta all’anno. Ce lo ricorda papa Francesco nella Evangelii gaudium: “Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. «Dall’amore per cui a uno è gradita l’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratuitamente» (n.199). Ieri sera ho vissuto la via Crucis dei peccatori a san Berillo; oggi incontrando uno degli organizzatori sono stato colpito dal suo invito ad andare a trovarlo semplicemente per amicizia. Ed ho pensato: si trova difficoltà forse per il tempo di una via Crucis, di un gesto di carità; ma l’amicizia, la frequentazione di questi nostri fratelli, è la cosa più importante per noi cristiani, il punto di arrivo della carità al cui appuntamento il Signore ci aspetta oggi e nell’eternità.

Non voglio dimenticare il dono del sacerdozio: fatto a me, ai fratelli che concelebrano, a quelli che il Signore con l’imposizione delle mani ha chiamato ad essere gli annunciatori della Parola, a coloro che a loro volta invocano lo Spirito Santo perché esso riempia la faccia della terra e santifichi. Guardiamo ai sacerdoti con gratitudine; pensiamo a tutto il bene che abbiamo ricevuto da loro, che è il Cristo stesso. Preghiamo affinché le loro mani profumate di crisma non perdano mai, neppure dopo anni, la fragranza di chi è stato unto dal Signore per diffondere il buon odore di Cristo. E che sentano, come Pietro, che Cristo lava anche loro i piedi perché “abbiano parte con lui”, gli appartengano, non in un geloso e distaccato servizio, ma con un amore umile e casto per ogni figlio di Dio.

 + Luigi Renna, Arcivescovo metropolita di Catania

Exit mobile version