di Don Antonio De Maria
Per la prima volta nella nostra Arcidiocesi, grazie all’interesse del nostro Arcivescovo e a tante buone circostanze, celebreremo il 17 gennaio alle ore 17,30 presso l’aula magna del Polo Fad San Luca, un incontro-dialogo sul tema condiviso della giornata: Consolate, consolate il mio popolo (Is. 40, 1-11).
La Parola di Dio scelta è molto attuale in un tempo di difficoltà e di timore sia per l’epidemia di Covid-19 sia per i suoi effetti sociali ed economici. È un invito alla speranza e al lavoro per condividere quanto di bene il Signore ci dona. Sia gli Ebrei che i cristiani riconoscono in questa parola profetica la volontà di Dio di stringere un’alleanza con il popolo sofferente e stanco e ci rafforza perché usciamo anche noi dalle strette della depressione e della disillusione, e donandoci la grazia della carità che ci fa uscire dagli schemi rigidi di gruppo e di contrapposizione per riconoscerci fratelli, figli dello stesso Padre.
Sarà un momento importante anche perché la più alta autorità del rabbinato italiano ha scelto di venire a Catania tra i tanti inviti ricevuti: sarà presente, infatti, rav Alfonso Arbib, presidente dell’Assemblea rabbinica d’Italia (ARI) e per la nostra chiesa, oltre all’Arcivescovo, interverrà don Antonino La Manna, Vicario per la Cultura e riconosciuto studioso di Sacra Scrittura.
Ci accostiamo a questo momento nell’atteggiamento proposto dalla seconda fase del sinodo, quella dei Cantieri di Betania, in ascolto e nella consapevolezza, ribadita da Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, che non possiamo comprendere il nostro essere cristiani senza il popolo di Israele che ci ha consegnato li Primo Testamento: “Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo. La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti. Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell’esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso. Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell’apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l’adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine. Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo. Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata; gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione. Tuttavia secondo l’Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9). Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo. (…)
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo. La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia.” N. A. 4. E nel quale come scrive Paolo ai Romani siamo innestati: “Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Dirai certamente: Ma i rami sono stati tagliati perché vi fossi innestato io! Bene; essi però sono stati tagliati a causa dell’infedeltà, mentre tu resti lì in ragione della fede. Non montare dunque in superbia, ma temi! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te! Considera dunque la bontà e la severità di Dio: severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai reciso. Quanto a loro, se non persevereranno nell’infedeltà, saranno anch’essi innestati; Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo! Se tu infatti sei stato reciso dall’oleastro che eri secondo la tua natura e contro natura sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!” (11, 16-24). C’è un mistero che solo Dio conosce: la fedeltà di Israele ai doni di Dio e la fedeltà dei cristiani all’incontro con Cristo. Nessuno dunque può vantarsi per una appartenenza senza essere fedele a ciò che ha ricevuto per fede da Dio stesso.
Sicuramente ascoltare Israele ci aiuterà a crescere nella fedeltà a Cristo e nella lode del Signore.