Prospettive

L’arcivescovo incontra Confindustria: «La risposta risolutiva alla povertà è creare posti di lavoro»

All’interno della sede catanese di Confindustria, l’Arcivescovo di Catania Mons. Luigi Renna ha incontrato i componenti della principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia. L’incontro ha come obiettivo quello di lavorare insieme e impegnarsi per cercare di realizzare una società sostenibile e inclusiva, ricercando un equilibrio tra impresa e sviluppo. Si è discusso inoltre della necessità di una nuova etica dell’economia, in cui il progresso cammini di pari passo con il concetto di responsabilità sociale.

«Una preziosa occasione di riflessione con i nostri imprenditori – ha detto il presidente dell’associazione, Antonello Biriaco  – sul ruolo cruciale che siamo chiamati a svolgere in una società sempre più segnata dalle incertezze alimentate dalla guerra e dall’instabilità economica. In una fase così complessa, occorre il contributo di tutti. Tanto più in un territorio come il nostro, dove accanto ad un tessuto produttivo fatto di eccellenze che competono nel mondo, esiste una profonda frattura economica e sociale che divide il centro dalla periferia. Viviamo il paradosso di essere la prima città manifatturiera della Sicilia, che produce il 23% del Pil della regione, ma al contempo la città in cui esiste un tasso di disoccupazione giovanile che è il triplo di quello europeo, una dispersione scolastica che tocca il 25%, un altissimo numero di giovani che non studiano né lavorano. Solo se riusciremo a ricucire questa frattura sociale che richiede il coinvolgimento della politica, delle imprese, della società civile sarà possibile parlare di sviluppo compiuto e durevole».

Parole ampiamente condivise dall’arcivescovo Renna che parlando alla platea degli imprenditori ha focalizzato il suo intervento sul ruolo sociale dell’impresa, che a seguire riportiamo per intero: 

«Alcune settimane fa, il Santo Padre ha tenuto uno splendido discorso a Confindustria, in cui ha delineato il profilo dell’imprenditore cristiano, indicando una strada, già solcata dalla Dottrina sociale della Chiesa, ma nuova per quanto riguarda i paragoni utilizzati, quelli del buon pastore e al buon samaritano.

Di solito queste due icone bibliche sono riferite la prima ai vescovi e ai presbiteri, coloro che guidano il popolo di Dio nel nome dell’unico Bel Pastore, che è Gesù Cristo; la seconda icona identifica tutti i cristiani che si “fanno prossimo” di chi è nel bisogno, ma ha una valenza universale, che va ben al di là di chi si identifica con il credo cristiano, come è stato sottolineato dal Papa stesso, affermato nell’enciclica Fratelli tutti i

“la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare”( n.56).Mai nessuno ha riferito queste icone agli imprenditori, così come ha fatto papa Francesco, presentandole in alternativa ad altri modelli di vita: “… ci sono imprenditori mercenari e imprenditori simili al buon pastore (Gv 10,11-18), che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai lupi che si aggirano attorno”.E riguardo al farsi prossimo  la parabola del buon samaritano, evidenzia che la sua carità si incarna anche nel gesto di lasciare due denari al locandiere, affinché si prenda cura dell’uomo malcapitato che egli stesso aveva soccorso: il denaro può essere mammona che asservisce a sé, oppure può diventare un bene da condividere: “…

nel Vangelo – Ha aggiunto l’Arcivescovo –   non ci sono solo i trenta denari di Giuda(…) L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda”. La virtù che il papa ha indicato agli imprenditori è stata la condivisione, che si concretizza nella filantropia, nella contribuzione fiscale tesa a favorire la distribuzione delle ricchezze, nella creazione di posti di lavoro, nella impostazione di una impresa secondo criteri personalistici e comunitari.

Il Papa ha fatto esplicito riferimento ad alcuni vostri colleghi, come Adriano Olivetti, e al sistema da essi inaugurati e sperimentati; in particolare di Olivetti ha detto che egli tendeva a non divaricare la forbice tra stipendi più alti e stipendi più bassi, perché sapeva che quando si crea disuguaglianza, si perde quel “senso di appartenenza a un destino comune. non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte ad una crisi, la comunità di lavoro non risponde come dovrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti”.

“Di fronte alla crisi”: sembra un leitmotiv in questi ultimi armi, e circa un mese fa, il 21 settembre 2022, il Consiglio permanente della CEI ha indirizzato agli uomini e alle donne del nostro Paese un messaggio in cui si invita ad osare la speranza in un momento molto delicato, attraverso lo strumento qualificato del voto: la povertà in aumento costante e preoccupante; l’inverno demografico; i divari dei territori; la transizione ecologica e la crisi energetica; la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani; l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti; le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale.

Sono le stesse questioni che ha a cuore chi ispira il suo impegno culturale, politico ed imprenditoriale ai principi della dignità dell’uomo, del bene comune, della partecipazione responsabile alla vita socio-politica, della solidarietà e conseguente destinazione universale dei beni, della sussidiarietà.

In questo elenco di questioni, come si pone il mondo dell’impresa?

Giova ricordare che dopo la crisi di Wall Street, la grande enciclica sociale di Pio X1 Quadragesimo anno, affermò il primato del lavoro sul capitale incoraggiando la comproprietà dei mezzi dì lavoro e la partecipazione dei lavoratori alla gestione eio ai profitti dell’impresa, il cosiddetto “azionariato del lavoro”. Quello che veniva proposto nel 1931 e riproposto nel 1981 con la Laborem exercens di Giovanni Paolo II, non era altro che un invito a riconoscere “la giusta posizione del lavoro e dell’uomo del lavoro nel processo produttivo” (ef LE 14). Avere una visione personalista e comunitaria significa creare alleanza tra capitale, impresa e lavoro: non si nega nessuno dei Ire, perché il profitto è un indicatore del buon andamento di un’impresa, ma non è l’unico, perché non trascura le esigenze profonde di quel capitale umano che è costituito dal lavoratore, il più grande capitale dell’azienda (cf. Centesirnusannus, 35). È grandioso l’esempio di Olivetti che si affidava alla consulenza di psicologi del calibro di Cesare Musatti per progettare il modello di un’impresa che non fosse alienante: l’attenzione alle scienze umane rivela una sensibilità che non si ferma alla richiesta sindacale del lavoratore, ma studia conseguenze di tipi di lavoro, ritmi ed orari.

Quali problemi si trova ad affrontare oggi un imprenditore che vuole avere una visione che tiene insieme capitale, lavoratore e impresa e come può affrontarlo ispirandosi alla DSC? Premetto che la DSC non è una terza via economica tra collettivismo e capitalismo, bensì una srie di principi che apre vie nuove alla ricerca economica, ma che ha al centro sempre la persona e la sua dignità. Sta all’economista, ispirandosi a tali principi percorrere vie nuove. Per questo motivo è nata la Economy of Francesco. Scrive Stefano Zamagni.

Anzitutto non può non ignorare il fenomeno della povertà in crescita nel nostro Paese, anche a fronte della crisi energetica causata dalla guerra. Non possiamo limitarci ad auspicare sostegni economici che risolvono solo in un breve periodo lo stato di indigenza: l’unica risposta lungimirante e risolutiva alla povertà è la creazione di posti di lavoro. Diamo si una risposta immediata ai bisogni dei poveri con la carità e la solidarietà, ma li risolviamo totalmente solo se mettiamo mano a politiche che favoriscano l’occupazione e che promuovano imprese che perseguano “simultaneamente e congiuntamente finalità economiche, sociali e umane” (M. Toso). Ci sono strumenti che fungono da ammortizzatori sociali, come il reddito di cittadinanza, ma essi non raggiungeranno pienamente il loro scopo in un’ottica di sussidiarietà, se non si creerà un’alleanza con il mondo dell’impresa, per un inserimento lavorativo che restituisca dignità ad ogni persona. papa, nel suo discorso a Confindustria, parla di creazione di posti di lavoro come modalità di condivisione della ricchezza, come la creazione di una ricchezza condivisa. C’è una visione politica che deve tenere presente questo e creare condizioni e alleanze; ma c’è anche una responsabilità dell’impresa che non deve sottrarsi a questa progettualità. Un ruolo decisivo è giocato dalla visione politica di fondo: “La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica.” (LS 129)E’ una frase tratta dalla Laudatosì, l’enciclica sulla cura della casa comune, che non si limita a fare un’analisi della situazione in cui versa il creato, ma richiama a responsabilità che investono in primo luogo l’economia e le politiche economiche.

Un altro aspetto della crisi che sta attraversando il nostro Paese e tutto l’Occidente è

L’inverno demografico

Che mette a rischio la qualità della vita nel presente e nell’immediato futuro. La questione dell’inverno demografico visto dalla prospettiva, che ovviamente non può essere l’unica, del mondo del lavoro, richiama in modo particolare la criticità del ruolo professionale della donna. Anche qui il già citato discorso di papa Francesco fa riferimento a questo argomento, andando al cuore di un tema che riguarda la dignità femminile, la sua vocazione alla maternità che non può essere mai disgiunta dalla vocazione al lavoro, la cura di una relazione che non può non facilitare una nuova primavera demografica. Olivetti aveva creato attorno alla sua azienda un tipo di assistenza che garantiva il lavoro femminile, con la creazione di asili aziendali ad esempio, e con una modulazione di ritmi che ancora oggi in alcune aziende sono impensabili. Quella che era l’iniziativa di un imprenditore illuminato quale lui era, oggi persino in alcuni Comuni non è più garantita, e se pensiamo che c’è un divario enorme tra presenza di asili nido e scuole che assicurano il tempo pieno tra Nord e Centro Sud, ci rendiamo conto che c’è molto da fare, ma allo stesso tempo. è chiaro cosa fare. All’inverno demografico poi si accompagna una crescente emigrazione dal nostro Paese, favorita dalla delocalizzazione di alcune imprese e dal depauperamento di alcuni territori. Non è raro che industrie che hanno un alto fatturato e che non soffrono nessun tipo di crisi, all’improvviso si trasferiscano laddove la manodopera è a minor costo e i diritti dei lavoratori sono tutelati in maniera blanda: si crea povertà laddove l’impresa aveva rigenerato dei territori e si trasferisce povertà altrove, perché le intenzioni con le quali si va ad impiantare una nuova attività economica sono di mera speculazione e di amore del solo profitto. Occorrerebbe un codice deontologico in seno alle aziende che non permetta tali operazioni ed una legislazione che vigili in maniera stringente su chi ha rinunciato in maniera chiara a creare aziende nelle quali vi sia un clima di responsabilità e compartecipazione.

L’ultima questione sulla quale mi soffermo è quella della:

Crisi energetica

Che a differenza di quelle del passato, non è solo determinata dalle contingenze determinate dalla guerra, ma dall’ esaurimento di risorse, dalla necessità di invertire rotta nel dissennato sfruttamento che non è più sostenibile dall’umanità. Cosa fare? Oggi è urgente rivedere tutto il sistema di approvvigionamento energetico e questo non lo si può fare senza la tecnologia. La tecnica deve essere alleata del lavoro, come auspicava Giovanni Paolo II nella Laborem exercens, perché le soluzioni per una efficace transizione, se in ambito personale e familiare assumono il volto di nuovi stili di vita, in una azienda hanno bisogno di tecnoscienza, non di tecnocrazia ma di una ricerca del bello e del buono. Come non pensare al “culto della bellezza” dell’azienda Olivetti, frutto della collaborazione di ingegneri e artisti, quando si riascoltano le parole di papa Francesco nella Laudato si al n. 109? Egli afferma: “La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino a grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. E’ anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso a nuovi strumenti tecnici. In tal modo il desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla, si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana” (Laudatosì, 103). Dalla ricerca tecnologica possono nascere diversificazione produttiva e creatività imprenditoriale, come afferma la stessa enciclica (cf, ivi, 129).11 frutto della Settimana sociale di Taranto è stato l’impegno a costituire comunità energetiche, che sono un vero segno di amore e di responsabilità dei cattolici nei confronti del nostro Paese e dell’umanità. In ogni territorio il protagonismo di un’impresa può essere trainante se è arricchito non solo dalla consistenza dei suoi investimenti, ma anche dalla capacità di creare comunità.

Più volte è tornata nel mio intervento la parola

 “Visione”:

È quella che tante volte manca, in questo tempo caratterizzato dal “post”: postmoderno, post-ideologico, post-cristiano, post-industriale. Ma “post” non significa eliminazione di ogni radice, inizio da un punto “zero”. Nella “Fratelli tutti” papa Francesco ha stigmatizzato alcune caratteristiche del nostro tempo come “ombre” e tra queste c’è il decostruzionismo della storia, che ci appiattisce in un presente senza radici, in cui la dimenticanza di acquisizioni culturali, come anche di avvenimenti, non giova né al presente,nè al futuro. Scrive papa Francesco nella detta enciclica: “Un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione è quello di svuotare di senso o alterare le grandi parole. Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione.” (FT 14) Cosa significa oggi “fare impresa”? Sembra che a fare scuola ci siano solo modelli influenzati dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione, ovvero modelli che vedono protagonista assoluto il ruolo della finanza. L’obiettivo così non è più la produzione e lo sviluppo dell’azienda in tutte le sue componenti, ma la massimizzazione degli interessi degli azionisti: “Il valore della partecipazione è diventato l’unico parametro con il quale gli imprenditori e i manager definiscono il proprio patrimonio” (Toso).La finanza, con il breve periodismo, favorisce attività ed imprese finanziarie rispetto ad altre attività lavorative, e il divario dei salari non crea affatto un clima di solidarietà. I modelli alternativi ci sono e l’incontro di Assisi, l’economy of Francesco che vede proprio oggi (22 settembre) riuniti i giovani economisti, costituisce per tutti noi motivo di speranza. Ci è necessario in questo tempo di crisi, una classe imprenditoriale che non assomiglia aí mercenari che fuggono, ma buoni pastori che hanno “l’odore del lavoro” sulla loro giacca di imprenditori. Voglio concludere con uno dei discorsi di Olivetti per gli auguri di Natale alla sua impresa. Il tenore delle sue parole ci dicono Io spessore morale di questo imprenditore».

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